Per il Buddhismo Zen ogni attività umana, specialmente manuale, può essere utilizzata quale “sentiero”, quale Via verso il “risveglio” o l’illuminazione poiché lo scopo della specifica attività scelta come Via non è la mèta bensì il “processo”; ciò significa fare una cosa non per il risultato, bensì impegnarsi perché compiere gli atti specifici di quell’attività aiuta a modificare noi stessi nel senso indicato dal Buddhismo in generale e dallo Zen in modo specifico.

 

Se ogni attività manuale potenzialmente può essere utilizzata quale mezzo per percorrere questa Via a maggior ragione una disciplina (artistica o “sportiva”) può essere usata a tale scopo: sin dall’epoca del primo shogunato di Kamakura (1185-1333) un gruppo di arti tradizionali sono state influenzate dal Buddhismo Zen e, nel periodo Edo, utilizzate dai laici come Via ( Dō ) verso l’illuminazione; tali discipline si riconoscono per il suffisso -dō (= Tao = via) :

arti marziali:

Kyu-dō (via dell’arco), Ken-dō (via della spada), Karate-dō (via della mano nuda ), Ju-dō (via della cedevolezza), Iai-dō (via della estrazione della spada)

altre arti performanti (performing arts, in inglese):

Cha-dō (cerimonia del tè), Sho-dō (via della scrittura), Ka-dō (via dei fiori o ikebana), Kō-dō (la via dei profumi)

 

Altre manifestazioni artistiche, anche se non hanno il suffisso -dō, sono pure state influenzate dallo Zen come ad esempio: teatro Nō, Bonsai, Suiseki (collezione di pietre), architettura tradizionale giapponese, cucina Kaiseki, Kare sansui (giardini “secchi” – solo pietre e ghiaia), ceramica Raku, poesia Haiku, Suiboku-ga (pittura ad inchiostro diluito) .

 

Come mai l’esecuzione manuale di un Ikebana può essere usata come Ka-dō, come disciplina formativa del proprio carattere, quale via di realizzazione personale, quale via di liberazione ?

Per spiegarlo a chi non conosce il buddhismo-zen, questo è possibile poiché le regole compositive dell’ikebana sono una “messa in pratica” manuale delle idee che lo Zen promuove: applicando queste regole in modo cosciente e ripetitivo facendo la composizione esse vengono assimilate e fatte proprie dall’ikebanista diventando sue caratteristiche etiche.

Ad esempio la ripetizione dell’esercizio manuale di “togliere il superfluo lasciando solo l’essenziale del ramo“ (per lo Zen vale il concetto ”meno è più”), se fatto coscientemente, si trasforma in esercizio spirituale per cui si impara a “togliere il superfluo lasciando solo l’essenziale” anche in altre situazioni della propria vita.

 

Il “fare il vuoto attorno alla composizione, attorno ai vegetali e nei vegetali stessi“ lasciando solo il necessario (sempre il concetto “meno è più”), esercita l’ikebanista a “fare il vuoto” nella propria mente ossia lasciar transitare, senza lasciarsi influenzare, i pensieri considerandoli solo pensieri e niente di più.

 

L’esercitarsi a considerare i rapporti di “forza”, di misure, di volumi, costruendo un ikebana esercita l’ikebanista-consapevole a dare maggior valore ai rapporti con le persone, animali, natura, oggetti, ambiente, ecc.

 

Il tentare di creare un Ikebana “shibui” (austero, elegante, sobrio, raffinato, quieto) e “wabi-sabi” (rifiuto dell’ostentazione, povertà come rinuncia volontaria), due qualità favorite dallo Zen, esercita l’ikebanista a comportamenti “shibui” e “wabi-sabi” nella vita di ogni giorno ossia porta ad azioni povere in aspetto ma ricche di significato, semplici ma importanti, sobrie ma efficaci, dunque un affinamento formale nell’esecuzione materiale della composizione (il praticare manualmente l’arte dell’ikebana ) porta l’ikebanista ad un suo perfezionamento etico.

 

 

Una poesia di Costantinos KAVAFIS ( 1863-1933 ) esprime benissimo il concetto Zen che “la mèta è la via che noi percorriamo“ :

ITACA

 

La nascita dello Zen, nella tradizione, è legata a un fiore:

un giorno a Buddha fu chiesto di tenere un sermone; egli colse un fiore (si dice di loto) e, in silenzio, lentamente col braccio teso, lo fece vedere ai suoi seguaci: solo uno, il più sagace (Mahakasyapa = Kasiypa il grande) intuì il messaggio “silenzioso“ del Maestro e sorrise con comprensione: nacque così l’insegnamento silenzioso dello Zen e Mahakasyapa fu il primo di una serie di Patriarchi che dall’India portarono lo Zen in Giappone, ove la nobiltà shogunale, già nel periodo Kamakura, lo preferì alle altre correnti buddhiste praticate dalla nobiltà imperiale, poiché più consono alla mentalità guerriera .

Lo Zen diede all’Ikebana le stesse caratteristiche date allo stile di vita ideale della nobiltà shogunale, ossia queste caratteristiche furono applicate in tutte le manifestazioni della vita quotidiana dal modo di costruire le case, alle arti marziali e alle altre arti come la cerimonia del tè, il teatro Nō, calligrafia, poesia Haiku, giardini secchi, cucina Kaiseki, ceramica Raku e altro.

Queste caratteristiche sono riassumibili nei seguenti concetti, espressi dal monaco zen Shin’ichi Hisamatsu nel suo libro “ZEN and the fine ARTS”: