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Il meraviglioso mondo dell'Ikebana - The wonderful world of Ikebana - Le monde merveilleux de l'Ikebana

Monthly Archives: Dicembre 2022

28 sumo e ikebana

 

il sumo, forma ritualizzata di combattimento, e l’ikebana visti “in superficie” appaiono come due entità aventi assolutamente niente in comune.

Osservati con più attenzione, “in profondità”, ci si rende conto che sono accomunati da fattori che ritroviamo nel patrimonio culturale giapponese, ossia la stessa simbologia su cui ambedue sono parzialmente basati.

Ad esempio,

la sacralità: ambedue avvengono o sono posti in un luogo “sacro”

il sumo è una pratica strettamente legata alla religione shinto e prima di essere svolta deve adempiere ad alcuni riti di purificazione, con acqua, sale, sabbia. Lo stesso ring è delimitato dalla sacra corda (shimenawara) che separa lo spazio sacro/rituale, in cui i lottatori si confrontano, da quello profano, come nei templi shinto.

 

lottatori che spargono il sale per purificare il luogo sacro in cui combatteranno

 

L’arbitro indossa un abito tradizionale ed ha nelle mani un ventaglio, simile a quello che i generali-samurai usavano in guerra per guidare le fasi della battaglia, che serve sia ad indicare il vincitore sia come sostegno sul quale viene posato l’attestato della vincita da consegnargli.

 

 

Particolare affascinante per chi si interessa di vegetali è il fatto che i lottatori sono gli unici che possono acconciare la capigliatura terminante con un ciuffo a forma di foglia di Ginkgo biloba.

 

 

L’ikebana viene messo, nella casa tradizionale giapponese, solo nell’unico spazio “sacro” della casa, il tokonoma che, anche se non limitato dalla corda sacra, è nettamente separato dallo spazio profano del resto della casa.

 

la disposizione spaziale

in ambedue ritroviamo la stessa disposizione spaziale coerente col simbolo del tai-ji (vedi art. 15°) e con le regole del feng-shui (vedi articolo 9°)

 

nel sumo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

le quattro nappe ( o i quattro colori dei pali in questa stampa del periodo Edo), appese sotto il tetto sovrastante il ring, fissano la struttura dell’arena nello spazio, segnalando le direzioni cardinali coi colori simbolici legati ad esse e alle sue quattro divinità protettrici:

 

 
nero per il nord (tartaruga), 

bianco per l’ovest (tigre),

rosso per il sud (fenice)

azzurro/verde per l’est (drago)

giallo per il centro (serpente) assente nel ring

stessi colori simbolici

usati in altro contesto

 

 

schema del ring del sumo con i colori simboleggianti le direzioni cardinali e la suddivisione del ring in lato yang e lato yin, esattamente come nell’ikebana.

 

 

Il secchio con l’acqua è situato a sud, punto simbolico in cui l’acqua è maggiormente necessaria essendo il punto più caldo (massimo yang nel simbolo delTai-ji), mentre il sale, essendo bianco, è situato a ovest, direzione associata al colore bianco della tigre.

 

La zona di combattimento, con gli accessori, assume la stessa posizione spaziale come i rikka e shoka (vedi articolo 9° -feng-shui e ikebana-), ossia la zona yang (quadranti segnati a lato dalla nappa rossa/fenice e dalla nappa azzurra/drago) è a sinistra di chi guarda mentre la zona yin (quadranti segnati a lato dalla nappa nera/tartaruga e nappa bianca/tigre) sono situate a destra di chi guarda.

 

nell’ikebana

 

(vedi precedenti articoli sul feng-shui e sul simbolismo taoista)

 

come nel ring del sumo, la composizione è suddivisa in una zona yang, alla nostra sinistra, che contiene vegetali yang, e in una zona yin, alla nostra destra, che contiene vegetali yin

 

Concludendo, sia nel sumo che nell’ikebana riscontriamo la stessa sacralità e la stessa disposizione simbolica, coerente coi simboli del tai-ji e del feng-shui, in cui il lato alla nostra sinistra rappresenta il lato yang (dell’ikebana hongatte o del ring) mentre il lato alla nostra destra rappresenta il suo lato yin.

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27 buddhismo zen e ikebana

Un celebre detto  zen dice: “se incontri il Buddha per la strada, uccidilo!”

Lo Zen, scaturito dall’incontro fra Buddhismo e Taoismo, non è considerato una religione dalla Chiesa cattolica ed essa permette ai sacerdoti di essere monaci zen.

Lo zen è considerato una via di sviluppo personale, un processo di conoscenza e crescita interiore ed è un metodo pratico, una disciplina del corpo e della mente che richiede sforzo, perseveranza e fede per rendere possibile l’illuminazione che porta il praticante zen all’accettazione attiva della vita quotidiana e al riconoscimento delle sue qualità straordinarie: lo scopo pratico dello zen è il condurre la persona ad un’esperienza diretta della vita, togliendo i condizionamenti delle parole e dei concetti accumulati con gli anni – “con lo studio si aggiunge, con il Tao si toglie”-. Tao e Dō sono due letture On dello stesso kanji.

Secondo lo Zen si raggiunge l’illuminazione tramite la meditazione e la concentrazione sulle più umili azioni quotidiane.

Al suo diffondersi in Giappone, incontrando resistenza e ostilità da parte delle altre sette buddhiste già esistenti, lo Zen pose l’accento sulla fiducia in sé stessi, sull’autodisciplina della mente e incoraggiò i suoi seguaci ad abbandonare tutti i modi convenzionali del Buddhismo, non attribuendo alcun valore alle sacre scritture o all’adorazione delle icone buddhiste.

Non necessitando di istituzioni religiose, sacre scritture, templi e icone usati da tutte le altre correnti buddhiste, considera che ogni attività umana può essere “utilizzata” come sentiero – Via, Dō – verso il risveglio; a maggior ragione ogni forma artistica è ritenuta adatta a questo scopo. Lo Zen influenzò delle arti già esistenti, modificandole perché corrispondessero alle sue esigenze di insegnamento, e nacquero le Arti Tradizionali riconoscibili dal suffisso -dō (via o strada, tanto nel senso letterale quanto in quello di percorso etico-morale), arti che mettono l’accento sulla spontaneità, sulla semplicità e sulla moderazione secondo il concetto: meno è più.

Le più conosciute sono :

arti marziali :

 

 

Kyu-dō (Via dell’arco), Ken-dō (Via della spada), Karate-dō (Via della mano vuota), Iai-dō (Via dell’estrazione della spada)

 

altre Arti :

 

 Cha-dō (Via del Tè), Sho-dō (Via della scrittura), Ko-dō (Via dei profumi), Ka-dō (Via dei fiori = Ikebana)

Lo Zen incontrò i favori del primo shogunato di Kamakura (1185-1333) e divenne la corrente buddhista preferita sotto il secondo shogunato degli Ashikaga (1333-1568), non tanto per il suo aspetto religioso ma per la cultura che esso coltivava.

A partire dal tempo di Sen no Rikyū – al servizio di Hideyoshi quale uno dei suoi cinque Maestri della Cerimonia del Tè e quale curatore dei suoi beni – si sviluppa un uso delle decorazioni con vegetali in funzione dello Zen  (nageire/chabana) e dissociato dalle rigorose tecniche costruttive tramandate dalla Scuola Ikenobō.

L’ikebana, come alcune arti marziali o delle attività quotidiane come il bere del tè, scrivere, costruire giardini, il teatro, la poesia, il riconoscere i profumi, sotto l’influsso dello zen viene “utilizzato” come Via -Dō- per arrivare all’illuminazione.

È nel Periodo Edo che appaiono sia i nomi terminanti in -dō sia le varie scuole che insegnano, ad esempio, lo sho-dō (via della scrittura), il ken-dō (via della spada), il kyu-dō (via dell’arco), il koh-dō (via dei profumi) il cha-dō (cerimonia del tè) e il ka-dō (via dei “fiori”).

In Giappone, fino agli anni 1930-40 (vedi: di Gusty Herrigel, lo Zen e l’arte di disporre i fiori), l’ikebana si imparava ancora da un/a maestro/a nel solco del Ka-dō, mentre era in atto il cambiamento per cui queste scuole élitarie si aprivano a tutta la popolazione e la Scuola Ohara, progressista, organizzava delle lezioni alla radio impartite non solo da insegnanti uomini, come d’abitudine, ma anche da donne .

Per lo zen, seguire la via significa concentrarsi sul processo di produzione e non sul risultato ossia, creando un ikebana, eseguendo i gesti e i kata formalizzati e codificati dalle scuole, bisogna avere in mente i concetti buddhisti prima presentati: la transitorietà, l’interdipendenza, il vuoto che vengono applicati nell’atto del comporre.

Componendo un ikebana, il “togliere il superfluo” dai vegetali insegna a “togliere il superfluo” dalla propria vita, il considerare l’interdipendenza delle misure dei vegetali insegna a capire la nostra dipendenza dal resto del mondo, il creare il vuoto nei rami, fra di essi e attorno all’ikebana aiuta a “fare il vuoto” nella nostra mente così da considerare i pensieri che si affacciano alla mente solo come pensieri e non come realtà.

Fra le Arti Tradizionali citate, alcune “producono” un oggetto; nello sho-dō si produce il foglio con lo scritto e nell’ikebana si produce la composizione “floreale”. Nelle altre arti non si “produce” nessun oggetto (arti marziali, cerimonia del tè, via dei profumi).

Nell’ikebana, la presenza di un’opera  -la composizione “floreale”-  rende più difficile il concentrarsi sul processo di produzione cioè sulla serie di azioni che creano l’opera, poiché l’orgoglio di aver fatto “qualcosa di bello” tende a rinforzare nell’ikebanista il suo Ego mentre la Via ha lo scopo di diminuire l’ipertrofia dell’Ego, tipica della cultura occidentale; dunque il Ka-dō è una Via più difficile da seguire rispetto alle altre poiché produce la composizione-ikebana a cui “ci si può attaccare” o su cui si può concentrarsi (la meta) a discapito del processo di creazione (la Via) : per lo zen –la meta è la via-.

Per il Buddhismo, l’illudersi che vi sia qualcosa di sostanziale e di permanente (la composizione, nel caso specifico dell’ikebanista) crea le premesse perché sorga e si sviluppi ogni sorta di attaccamento: attaccamento all’oggetto, al desiderio di possederlo, al desiderio di utilizzarlo in vista di uno scopo, ma soprattutto attaccamento all’Ego come soggetto del sentire, del possedere, dell’utilizzare. Chi ignora la natura insostanziale e impermanente della realtà finisce inevitabilmente con l’attaccarsi a qualcosa che crede autonomo e permanente: tale attaccamento diventa causa di sofferenza quando quel qualcosa cessa di esistere.

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26 caratteristiche zen delle arti tradizionali giapponesi, ikebana incluso mono no aware, yugen, wabi-sabi

La nascita dello Zen, nella tradizione, è legata a un fiore :

 

un giorno a Buddha, sul picco dell’Avvoltoio, fu chiesto di tenere un sermone: egli colse un fiore e in silenzio lo mostrò ai suoi seguaci: solo uno, il più sagace (Kashyapa), intuì il messaggio “silenzioso“ del Maestro e sorrise con comprensione; nacque così l’insegnamento silenzioso dello Zen e Kashyapa fu il primo di una serie di Patriarchi che dall’India portarono lo Zen in Cina e poi in Giappone ove la nobiltà shogunale, nel periodo Kamakura, lo preferì alle altre correnti buddhiste seguite dalla nobiltà imperiale poiché più consono alla mentalità guerriera.

Lo Zen diede all`Ikebana le stesse caratteristiche date allo stile di vita ideale della nobiltà shogunale, ossia queste caratteristiche furono applicate in tutte le manifestazioni della vita quotidiana dalle arti marziali alle altre arti non-marziali, apparse più tardi nel Periodo Ashikaga e Muromachi, quali la cerimonia del tè, la ceramica Raku, il teatro Nō, poesia Haiku, Karesansui “giardini secchi”, cucina Kaiseki, stile di costruire le case, ed altro.

 

La cultura zen, contrariamente a quella occidentale, considera positive le seguenti caratteristiche :

° uno            oppure      uni-, mono- (in opposizione a “molti”)

° piccolo           “            poco

° povero            “           misero

° vecchio           “           brutto , sporco (nel senso che presenti i segni dell`usura)

° senza              “            in- (ad es. incompleto , incolore , ecc.)

° buio                 “           scuro

° quieto              “           silenzioso

° semplice          “           sobrio , disadorno

° fermo               “            lento

° irregolare          “           deforme (ad es. tazze raku), asimmetrico

 

Queste caratteristiche sono riassunte dal monaco zen, filosofo, Maestro della cerimonia del Tè, professore universitario a Kyoto, Shin’ichi Hisamatsu (1889-1980) nel suo libro “ZEN and the fine ARTS”

 

Le prime cinque caratteristiche sono relativamente facili da capire:

ad esempio una tazza da Tè Raku è semplice, austera, asimmetrica, appare naturale, dà il senso di tranquillità se vista o presa in mano; un ikebana dev’essere semplice, austero, asimmetrico, apparire naturale come se i vegetali fossero cresciuti spontaneamente in quel vaso e la composizione nel suo insieme deve dare un senso di calma.

tazze da Tè Raku eseguite da

Raku Kichizaemon xv°  (1949)

Sonyu v° Raku (1664-1716)
 

 

Le ultime due caratteristiche necessitano di spiegazioni.

PROFONDITÀ MISTERIOSA

questo termine è connesso con concetti già presenti nella cultura giapponese, fra i quali i più importanti sono :

MONO NO AWARE (turbamento delle cose)

° caratterizza la vita della Corte imperiale già in epoca Heian

° è una sensazione di malinconia, ma non di pessimismo, e deriva dall’espressione

AA ARE che significa: “oh , quella cosa!” trasformata col tempo in AWARE e poi in MONO NO AWARE che indica ciò che porta l’animo, per un breve ma eterno attimo, a vibrare all’unisono con il pulsare della vita tutt’intorno.

In esso sono presenti due diversi aspetti:

  • l’incanto della natura, connesso principalmente con lo shintoismo

  • la fugacità del tempo, connessa col buddhismo

 Ariwara no Narihira

Col passare del tempo, il concetto di Mono no Aware si trasforma in

Yūgen che significa profondo, misterioso, impenetrabile, imperscrutabile

° si riferisce ad un clima psicologico tendente alla malinconia causata dalla presenza di due elementi che si sovrappongono, come un terzo colore che si ottiene sovrapponendo due vetri colorati.

 

 

 

In questo waka il primo elemento ricordato dall’autore è il vivace colore di fiori e delle foglie autunnali al quale si sovrappone il secondo elemento che è il grigio del crepuscolo autunnale associato all’incolore e sobria disadorna capanna di giunchi. La sovrapposizione di questi due elementi contrastanti genera questa “malinconia” definita Yūgen .

con l’introduzione dello Zen, lo Yūgen si sviluppa dall’epoca Kamakura fino al suo apice con Sen no Rikyū in:

Wabi/Sabi

Praticamente sono equivalenti e sono termini difficili da spiegare anche per un giapponese:

Wabi è usato in tutto ciò che ha a che fare con la Cerimonia del tè

Sabi è usato nell’arte e letteratura

° mentre nello Yūgen un elemento, anche se parzialmente offuscato dall’elemento che gli si sovrappone, è ancora visibile, nel Wabi/Sabi un elemento copre totalmente l’altro cosicché l’elemento completamente occultato dev’essere percepito, indovinato, sentito col cuore da chi osserva.

Murata Jukō (1423-1502), considerato il primo Maestro del Tè di cui si abbia notizia, diceva:

“sarebbe buona cosa tenere uno splendido cavallo in una stalla dal tetto di paglia”

ossia la semplicità, l’estrema povertà dell’elemento totalmente coprente, l’umile stalla col tetto di paglia, corrisponde a qualcosa di grande significato dell’elemento coperto, lo splendido cavallo.

Altra frase a lui attribuita: “non è interessante la luna senza nubi”

Bashō (1644-1694 ), più di  centocinquanta anni dopo, esprime lo stesso concetto in sole tre righe

Nebbia e pioggia
il Fuji non si vede.
È suggestivo

Il Wabi/Sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee, incompiute, umili e modeste, insolite, senz’arte, non sofisticate, ruvide e irregolari, che diano sensazione di protezione, calma e tranquillità.

Concludendo il tentativo di spiegare il concetto di PROFONDITÀ MISTERIOSA, basato principalmente sul Wabi/Sabi, ci sono alcuni autori che parlano anche di SUBLIME AUSTERITÀ o anche di SECCHEZZA SUBLIME, termini che esprimono anche il passare degli anni, la maturazione, la stagionatura, lo sparire delle carni e della pelle per lasciare solo l’essenziale, solo le “ossa”:

quale esempio si può immaginare un vecchio pino che ha lottato tutta la vita contro le intemperie, la cui corteccia è segnata da questi eventi, di cui è rimasto solo l’essenziale della sua struttura oppure il viso di un vecchio contadino con la pelle rugosa, segnata dall’età, dal sole e dalle fatiche.

Nell’arte sono Wabi/Sabi tutte quelle forme influenzate dallo Zen e dal Teismo quali, fra le molte,  il teatro Nō, i giardini secchi, la pittura a inchiostro -suiboku-, la ceramica Raku.

Nell’ikebana l’unica forma veramente Wabi/Sabi è  il Chabana, composizione usata per la Cerimonia del Tè.

Nell’ikebana, di qualsiasi scuola, la composizione sarà Wabi/Sabi a dipendenza da quanto l’ikebanista si senta “percorrente la Via (Dō)” e lo esprima durante la composizione sia tramite l’atteggiamento mentale e corporeo sia con la scelta del tipo di vegetali e del contenitore e da quanto le caratteristiche elencate da Shin’ichi Hisamatsu siano percepibili nella sua composizione.

LIBERTÀ DAGLI ATTACCAMENTI, DA OGNI LEGAME

è la perdita del senso del mondano e significa essere libero nell’eseguire l’opera, dalle abitudini, dalle convenzioni, dalle consuetudini, dai concetti religiosi, dalle regole scolastiche, dall’attaccamento al proprio Ego, dal voler ottenere un risultato.

Nello Zen si parla della “regola della non-regola”.

Il fatto di appartenere ad una Scuola di Ikebana e seguirne le regole esclude questa libertà; questa settima caratteristica esiste, per quanto riguarda l’ikebana, solo parzialmente nello Cha-bana, in cui non esistono regole scolastiche ma solo modi di esprimersi legati allo zen.

Per arrivare a questa libertà dagli attaccamenti bisogna imparare a controllare l’esuberanza del proprio Ego, ipertrofico e ipersensibile nell’Uomo comune di cultura occidentale moderna; la pratica di tutte le arti tradizionali giapponesi, nei loro modi differenti, aiutano in questo senso.

Una frase di Bashō (1644-1694), conosciuto sopratutto come autore del celebre Haiku sulla rana , dice :

“Rivolgiti al pino, se vuoi imparare tutto sul pino, e al bambù, se vuoi imparare tutto sul bambù , e facendolo, lascia via i tuoi preconcetti, altrimenti tu imponi te stesso sul soggetto e non imparerai niente”

 

Secondo lo Zen, la meditazione è parte essenziale per arrivare al “risveglio”, all’illuminazione (satori). Uno dei tanti possibili modi di “meditare” è quello praticato nel Ka-dō tramite l’esecuzione di un ikebana .

La meditazione utilizzata nello Zen non è la meditazione nel senso occidentale, ossia considerare con attenzione e a lungo un’idea, un testo, ma è esattamente l’opposto; concentrarsi su un’idea, su un problema è proprio ciò che non si deve fare poiché meditare, per lo Zen, significa tentare di liberare la mente dai pensieri associati ai problemi personali delle ore precedenti alla lezione e da quelli che ci saranno dopo la lezione poiché questi pensieri limitano la concentrazione dell’allievo sul ciò che sta facendo in quel momento;

meditando si impara a considerare i pensieri solo dei pensieri, senza lasciarsi influenzare dal loro contenuto.

Chi vuole utilizzare il tempo dedicato all’ikebana quale pratica di meditazione, dopo un breve momento di concentramento sulla respirazione, applica la regola del QUI e ORA e si concentra, cosciente che sta utilizzando la “Via dei Fiori” durante il tempo dedicato alla composizione, sul proprio corpo, sui vegetali e sulle regole compositive non in modo cartesiano ma nell’ottica buddhista che gli rammenta la transitorietà , l’interdipendenza , la sobrietà , l’essenzialità e il rispetto .

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25 omote e ura dell’ikebana

Nelle Arti tradizionali giapponesi esiste un

OMOTE, ciò che si vede in superficie, di primo acchito, facile da capire, che non richiede una profonda conoscenza del soggetto,

ed un URA, ciò che è profondo, che bisogna cercare, che richiede una conoscenza dettagliata dell’arte in questione, che è inaccessibile al profano.

Per dare almeno una vaga idea dei due termini  guardiamo una parte di un quadro “occidentale”, dipinto da  David Bailly nel 1651.

 

 

Il suo Omote è ciò che si può vedere, l’esteriorità, ciò che ci colpisce appena vediamo il quadro ossia la bellezza delle forme e dei colori dei vari oggetti dipinti mentre il suo Ura è la parte nascosta, non appariscente o visibile, ma di importanza uguale al suo lato omote ossia i  significati di ciò che vediamo nel dipinto.

Solo per citarne alcuni:

sono rappresentati i cinque sensi: le bolle di sapone rappresentano la vista, il flauto rappresenta l’udito, le rose rappresentano l’odorato, le statue rappresentano il tatto mentre il gusto è rappresentato dal calice di vino e dalla pipa; le bolle di sapone e il teschio rappresentano la transitorietà della vita, e così via.

Questi significati facevano parte della cultura comune sia del pittore sia del committente e della cerchia dei suoi conoscenti,  ossia l’Ura del dipinto (il suo significato profondo) era conosciuto e capito da chi osservava il quadro.

Per l’ikebana il suo Omote è ciò che ha attirato qualsiasi persona quando ha visto per la prima volta un ikebana: la bellezza dei vegetali, la loro disposizione spaziale, la semplicità della composizione, l’asimmetria, solo per citarne qualche caratteristica percepibile di primo acchito.

 

La sua parte Ura, la parte storico-culturale e filosofica,  è quella che si tenta di descrivere in questo sito che si rivolge specialmente a chi conosce già le tecniche dell’ikebana, che conosce già il suo Omote e sente la necessità di approfondire le proprie conoscenze.

Come chi guarda il quadro di Bailly al giorno d’oggi, non avendo più nel suo bagaglio culturale le conoscenze descritte, ammira solo l’ Omote del dipinto, anche per l’ikebana contemporaneo la tendenza è l’ammirarne solo l’apparente.

 

Questo sito si rivolge agli ikebanisti “curiosi” di tutte le scuole legate, anche solo in parte, alla tradizione, anche se la scuola Ohara è quella presa come esempio, poiché tutte derivano dalla scuola Ikenobo ed è nel loro passato storico e filosofico comune che si è formato l’Ura dell’ikebana.

 

L’Ura dell’ikebana era conoscenza ordinaria dei suoi autori e fruitori da quando è nato nel 15 sec. fino all’inizio del periodo  Edo  (1600), epoca in cui comincia a decadere sia la visione cosmica e mitica dell’esistenza sia la percezione sacrale della natura; contemporaneamente è in questo periodo che inizia  il processo di secolarizzazione delle arti in genere, ikebana incluso, per cui anche in Giappone la simbologia legata alle epoche passate viene sempre più dimenticata, dimenticanza che è cresciuta con la sua occidentalizzazione e al giorno d’oggi sempre meno persone possiedono il retroterra culturale a cui attingere .

 

Facendo una costatazione molto generica, con poche eccezioni, in Occidente quasi tutte le Arti tradizionali giapponesi, ikebana incluso, sono apprezzate ed insegnate solo per il loro Omote poiché l’aspetto più superficiale è quello che si insegna più facilmente.

 

Negli ultimi anni, soprattutto nel campo delle arti tradizionali marziali, alcuni Maestri occidentali cominciano a sentire la necessità di occuparsi anche dell’Ura della loro arte e trasmetterla ai loro allievi.

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24 lo shintoismo e l’ikebana: dal rikka allo shōka e seika

 per i curiosi della storia dell’ikebana

Lo shintoismo ha influenzato le regole compositive dell’ikebana.

Già nel periodo Nara (710-794 d.C.), con la costruzione della prima capitale stabile, il Tenno (Imperatore) era paragonato alla Stella Polare: come tutto il firmamento, se visto dalla terra, ruota attorno alla stella polare così nell’antico Giappone il Tenno era ritenuto il perno attorno al quale “ruotava” il Giappone.

Siccome la Stella Polare è situata a nord anche il Tenno, nelle situazioni formali, prendeva il posto più a nord e il suo palazzo era costruito nella parte più a nord della città imperiale, sia a Heijō (Nara) che a Nagaoka-kyō (sede della Corte per soli 10 anni) e a Heian-kyō (Kyōto). Tokyo, l’attuale sede dell’imperatore, non è nata come città imperiale ma è cresciuta “disordinatamente” attorno alla residenza  dagli shogun Tokugawa, ora Palazzo imperiale, al centro della città.

 

 

 

 

 

 

 

 

Heian-kyō (Kyōto)

Queste città furono costruite seguendo le regole del feng-shui (vedi art. 9°) copiando il modello cinese, sull’asse nord-sud, senza piazze ma solo strade disposte a griglia che limitavano degli isolati e la residenza del Tenno era sempre posizionata a nord della città.

 

Gli antichi romani costruivano le città orientate nord-sud (cardo) e est-ovest (decumano) mentre sin dagli albori del cristianesimo era tradizione orientare i luoghi di culto est-ovest, con l’abside a est

 

Non solo le capitali ma anche le dimore della nobiltà erano costruite sull’asse nord-sud con un ruscello al lato est (il drago azzurro) che da nord scende a sud e forma un laghetto a sud della residenza (la fenice rossa) per poi uscire verso est (la tigre bianca)   vedi art. 9°, feng-shui e ikebana

il Kami Amaterasu, Dea del sole

 

 Per lo shintoismo il Tenno discende direttamente dal kami Amaterasu, perciò nelle situazioni formali egli assume una posizione simbolica a nord (come la Stella Polare) ed è rivolto verso sud, sede simbolica della sua progenitrice, la dea del sole.

  

Per le ragioni esposte, sempre nelle situazioni formali, il Tenno si posizionava in modo da essere rivolto verso il sud/sole/Amaterasu mentre i suoi sudditi prendevano posizione in modo da guardare verso di lui; alle sue spalle poche persone poiché doveva essere protetto dalla tartaruga, ossia una parete (vedi art. 9°)

Queste posizioni protocollari sono  trasferite nell’ikebana in cui, usando i nomi usati dalla Scuola Ohara, shu, l’elemento più importante della composizione, assume il ruolo del Tenno e tutti gli altri elementi  (fuku, kyaku e tutti gli ausiliari) quello dei sudditi.

Da questo schema protocollare shintoista deriva la regola, che ritroviamo già nei primi Rikka,  arrivata modificata di poco fino ai nostri giorni che:

shu guarda verso il sole mentre tutti gli altri vegetali guardano verso shu.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Shōka d’Aspidistra hon-gatte della scuola Ikenobō

Questo concetto è ben visibile nel Rikka e nello Shōka, con il sole “dietro alla composizione, alla sinistra” di chi guarda, se la composizione è hogatte/di-destra. Il lato yang/positivo della foglia shu (verde scuro nel disegno)  è rivolto (“guarda”) verso il sole mentre il lato yang di tutte le altre foglie guarda verso shu.

Il sole è dalla parte opposta della composizione rispetto all’osservatore, shu è rivolto verso il sole e tutte le altre foglie guardano shu: causa questa disposizione simbolica, nello Shōka, noi vediamo “il dietro” della composizione nella sua totalità poiché vediamo la parte negativa/yin (verde chiaro) della maggioranza delle foglie.

La composizioe è vista dalla parte opposta al sole, come noi vediamo la parte all’ombra di questo albero; simbolicamente il sole è posto a sud-est  vedi Art. 15°  perciò chi guarda questo albero è situato simbolicamente a nord

 

 

Con il crescere dell’importanza della classe dei commercianti e artigiani e con la loro voglia di imitare l’aristocrazia shogunale e imperiale anche nel voler occuparsi dell’ikebana, gli stili vennero semplificati e dal complicatissimo e simbolico rikka si passò al semplificato uso di soli tre elementi principali -shu, fuku e kyaku della Scuola Ohara- che la scuola ikenobō mantenne nella stessa posizione -basata sui simboli taoisti del rikka- mentre le altre scuole abbandonarono il simbolo taoista preferendo a questo i simboli del neo-confucianesimo, cambiando la posizione del sole e, di conseguenza, la direzione di shu e fuku.(vedi art. 9°: feng-shui e ikebana)

 

Per differenziarsi dalle altre Scuole che avevano cambiato le posizioni di due dei tre elementi principali,la Scuole Ikenobō chiamò shōka la nuova composizione mentre le altre Scuole la chiamarono Seika.

NB: shōka e seika sono due differenti letture ON dei due kanji che in lettura KUN verranno letti in un periodo successivo  IKEBANA (vedi art. 50° lingua giapponese)

 

Il passaggio dal rikka allo shōka non ha modificato la posizione dei tre elementi principali; invece con il passaggio dal Rikka al Seika e poi al Moribana ed Heika della Scuola Ohara, il sole e il sud sono stati spostati dalla posizione simbolica del tai-ji, dietro e a lato del vaso, a sopra la testa dell’ikebanista ( per essere pignoli, sopra la sua spalla destra, per le composizioni hongatte, e sopra la spalla sinistra, per le composizioni gyakugatte)

shōka

shōka di Ikenobo

 

seika di altre scuole

 

nello shoka, sole e shu-fuku-kyaku sono allineati sulla retta che unisce simbolicamente  cielo(fuku)-uomo(shu)-terra(kyaku) mentre nel seika sole, shu(cielo) e fuku(uomo) sono sulla nuova posizione davanti e alla nostra sinistra mentre kyaku(terra) è rimasto come prima.

ATTENZIONE: la Scuola Ikenobō basa lo shōka sul simbolismo taoista spiegato sopra perciò chiama Cielo il fuku poiché è nel lato yang/cielo del tai-ji e uomo lo shu mentre le altre Scuole associano uomo a fuku e Cielo a shu poiché hanno abbandonato il simbolo taoista in favore del neo-confucianesimo   vedi art. 15°

 

 Nello schema sopra si vede chiaramente che:

° il sole, nel seika, è spostato in avanti: dalla sua posizione simbolica taoista dello shoka assume una posizione più “naturalistica” ossia mentre nello shōka la composizione è visto da nord, dal suo lato negativo, nel seika essa è vista da sud, dal suo lato positivo.

un albero o un cespuglio crescono prevalentemente verso la luce, verso il sole simbolicamente posto a sud: dunque il guardare un vegetale da sud equivale a vederne il suo lato migliore, il suo lato positivo: chiamo questa posizione “naturalistica” ossia chi guarda e il sole sono dallo stesso lato per contrappormi alla posizione “simbolica” del rikka e shōka in cui chi guarda è posizionato a nord e vede il vegetale da dietro, dal suo lato negativo, dal suo lato meno “bello” per gli ochi occidentali.

Da evidenziare che non è possibile, guardando un disegno o una fotografia senza riferimenti esterni, capire le direzioni dei singoli rami e comprendere se si guarda uno shōka o un seika

shōka o seika?

shōka   seika

° la posizione di shu e fuku cambia mentre quella di kyaku rimane inalterata: nello shoka shu e fuku sono diretti verso il retro ossia verso la posizione simbolica taoista del sole mentre nel seika shu e fuku sono diretti in avanti verso una posizione “naturalistica” del sole.

La regola -shu guarda verso il sole e tutti gli altri elementi guardano verso shu- rimane invariata ed è applicata avendo, nel seika, il sole “davanti”; mentre nello shoka si vede maggiormente il lato negativo/yin dei vegetali, causa il cambiamento della posizione del sole, nel seika, chi guarda l’ikebana vede in maggioranza il lato positivo/yang di tutti gli elementi

Ikebanista e sole, che nel Rikka/Shōka si trovavano ai lati quasi opposti rispetto al vaso -ikebanista davanti e sole dietro a sinistra- con il Seika si trovano dalla stessa parte, davanti alla composizione.

La scuola Ohara ha dedotto le sue regole principalmente dal Seika spostando il sole all’incirca sopra la testa dell’ikebanista, perciò ikebanista e sole sono dallo stesso lato del vaso, davanti ad esso. (Per essere precisi il sole si trova sopra la spalla destra dell’ikebanista per le composizioni hongatte o di-destra mentre è sopra la sua spalla sinistra per quelle gyakugatte o di-sinistra)

Si potrebbe dire che la Scuola Ohara guarda la composizione dal davanti in contrapposizione alla scuola Ikenobo che la guarda da dietro.

per la Scuola Ohara shu guarda in avanti verso il sole sopra la testa dell`ikebanista mentre tutti gli altri vegetali guardano contemporaneamente verso shu e verso il sole. se i vegetali sono rigidi e non possono essere piegati per fare in modo che guardino sia verso shu (la loro base) che verso il sole (la parte alta del vegetale), vince la regola che guardano solo verso shu e non verso il sole come in questa composizione con foglie di Sanseveria

Nella scuola Ohara, quando c’è un conflitto fra la regola -tutti gli elementi guardano verso shu- e -tutti gli elementi guardano verso il sole- , la prima regola predomina sulla seconda poiché di origine più antica.

 

 

Come già detto, lo spostamento del punto ideale del sole, all’inizio dietro il vaso e in seguito spostato davanti a questo, è avvenuto con il passaggio dal Rikka al Seika nei primi decenni del periodo Tokugawa (1600 -1867), quando vennero create nuove scuole, tutte derivanti dalla Scuola Ikenobō, per soddisfare il numero sempre più crescente di richieste dei “nuovi ricchi” cittadini (in questo periodo ancora solo uomini).

Nel periodo Edo la classe dei mercanti e artigiani comincia ad emergere; per questa classe, che voleva imitare la nobiltà imperiale e shogunale, il Rikka era troppo complicato da eseguire e il suo contenuto religioso-filosofico era ostico da capire. Per queste ragioni si semplificò il Rikka tenendo solo tre elementi pricipali dei sette/nove del Rikka.

La Scuola ikenobo chiamò Shōka la nuova semplificazione mantenendo la posizione simbolica shintoista dei tre elementi, come nel Rikka, allineati lungo la retta che unisce il punto massimo-yang del cielo al punto massimo-yin della terra e lasciando il sole nella parte posteriore della composizione.

Tutte le altre scuole ritennero questo simbolo taoista ormai superato, spostarono il sole in una posizione più naturalistica in modo da vedere la composizione non più da nord, da dietro, come faceva la scuola Ikenobo, ma da sud e di conseguenza modificarono le posizioni di shu e fuku, chiamando questo tipo di composizione Seika.

Inoltre queste scuole  assunsero una nomenclatura dall’alto in basso usando i nomi cielo-uomo-terra per shu-fuku e kyaku, ( cielo l’elemento più alto, terra l’elemento più corto, uomo l’elemento fra i due) nomi derivanti dalla visione neo-confuciana  che i Tokugawa preferirono al taoismo.

Interessante notare che gli Ikenobo mantennero anche nella costruzione dello Shoka il concetto taoista su cui era basata quella del Rikka e usarono il termine -terra- per kyaku, come le altre scuole, non perché fosse il più basso ma perché si dirigeva nello schema taoista verso la terra. A differenza di tutte le altre scuole,  diedero il nome -cielo- non a shu ma a fuku poiché nello schema del tai-ji, fuku va nella direzione del sole e quindi è nel cielo, mentre usarono il termine -uomo- per lo shu, essendo questi fra cielo e terra.

La Scuola Ohara ha mantenuto il concetto che :

shu guarda verso il sole, situato sopra la testa dell’ikebanista, mentre tutti gli altri vegetali guardano contemporaneamente verso shu e anche verso il sole.

La regola che -shu guarda verso il sole e tutti gli altri elementi guardano verso shu- è palese nella tecnica degli Hagumi di Iris nei Paesaggi Tradizionali della scuola Ohara in cui il fiore shu guarda verso il sole ma tutti gli altri fiori e tutte le foglie devono avere il lato positivo/yang verso la linea passante per il fiore shu.

 

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23 Tai-ji e scuola Ikenobō

articolo  per gli ikebanisti più sfegatati !

 

Nell’articolo 15° si è spiegato come l’ikebana rappresenti con vegetali il simbolo del tai-ji, usando vegetali yang/forti/legno dalla parte yang e vegetali yin/deboli/fiori/erbe dalla parte yin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

shoka Ikenobō,

composizione di-destra/hongatte

 

Nel disegno sopra shoka hongatte della scuola Ikenobo, il simbolo del Tai-ji è mostrato usando nel lato yang la Nandina e nel suo lato yin dei piccoli crisantemi

 

 

 

Oltre alla simbologia taoista del Tai-ji, visibile nella composizione con nandina sopra, la Scuola Ikenobō, per evidenziare la simbologia shintoista “shu guarda verso il sole mentre tutti gli altri vegetali guardano verso shu”, ancora oggi propone l’esecuzione dello Shōka con le foglie di sole Aspidistra.

 

Essendo tutta la composizione eseguita con un solo tipo di vegetale, in questo caso non si vede la differenza fra i vegetali yang/legno/forti nel lato yang e vegetali yin/fiori/deboli nel lato yin.

 

Siccome shu ha il suo lato verde-scuro che “guarda” verso il sole, dietro alla composizione alla nostra sinistra, mentre il lato verde-scuro di tutte le altre foglie “guarda verso shu, noi vediamo il lato verde-chiaro della maggior parte delle foglie della composizione ossia vediamo la composizione nel suo insieme da Nord.

 

Per evidenziare la differenza fra il lato yang della composizione e il suo lato yin, si sfrutta una peculiarità delle foglie di aspidistra:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due foglie d’Aspidistra A e B, viste dalla parte negativa Yin/didietro, in cui si vedono le due metà diseguali, la più grande alla nostra destra nell’esempio A, la più grande a sinistra nell’esempio B.

queste foglie, oltre ad avere un lato Yang, un davanti, e un lato Yin, un didietro, come tutte le lamine delle foglie, mostrano anche in ogni singola foglia, in modo casuale, due metà diseguali per cui la metà più grande è considerata Yang mentre la metà più piccola è Yin.

Questo fatto “complica” il lavoro dell’ikebanista poiché il lato yang di ogni singola lamina (il davanti) deve seguire la simbologia shintoista (shu guarda verso il sole, gli altri vegetali guardano verso shu), ma anche la parte yang di ogni singola foglia (la parte della lamina più grande) deve pure essere dalla parte yang/sole della composizione, indipendentemente se le foglie sono dietro o davanti a shu.

 

La metà più grande, indipendentemente se a destra o a sinistra, viene identificato con il lato Yang mentre la metà più piccola si identifica con il lato Yin. La metà Yang di ogni foglia dev’essere verso il lato Yang della composizione, quello alla nostra sinistra dove c’è il sole, mentre la metà Yin dev’essere verso il lato Yin della composizione ossia alla nostra destra nella composizione hongatte/di-destra sottostante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel disegno accanto di una composizione hongatte/di-destra il lato chiaro della foglia d’Aspidistra è il lato Yang, il lato scuro è quello Yin. La metà della foglia segnata con il segno ° è quella Yang, più grande.

Tutte le foglie, sia quelle davanti che dietro shu, sono posizionate in modo che il loro lato più grande/yang sia dalla parte yang/sole della composizione alla nostra sinistra, essendo il sole ipoteticamente dietro alla composizione e alla nostra sinistra.

riassumendo:

° shu guarda verso il sole e tutti gli altri elementi guardano verso shu, ossia la parte -yang/più scura-  della foglia più alta (lo shu della scuola Ohara) guarda verso il sole mentre tutte le altre foglie mostrano la loro parte -yang/più scura- verso shu.

° la metà Yang di ogni singola foglie, la più grossa, è dalla parte Yang della composizione, quella verso il sole, mentre la metà Yin di ogni singola foglia è dalla parte Yin della composizione, quella opposta al sole.

Come verrà spiegato in un futuro articolo, la posizione del sole della scuola Ikenobō, posteriore al vaso, è stata spostata da tutte le scuole non-Ikenobō (Ohara inclusa) davanti al vaso.

 

La maggior parte delle regole compositive della scuola Ohara deriva dalle regole ikenobō poiché i due primi Iemoto Ohara hanno imparato l’ikebana in  questa scuola.

 

Anche se la scuola Ohara non tiene conto della differenza fra le due metà diseguali di ogni singola foglia ma solo il suo “davanti”/lato yang/positivo e del suo “dietro”/yin/negativo, il conoscere come la scuola Ikenobo posizionava i vegetali aiuta a capire le  regole compositive degli Ohara.

 

 

 

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22 Influsso del buddhismo sulla struttura dell’ikebana

Negli articoli precedenti si è evidenziato come le regole che ancora oggi governano la costruzione di un ikebana simboleggino religioni, filosofie e credenze.

La struttura del Rikka simboleggia anche il monte Sumeru (o Meru), mitica montagna sacra per il buddhismo, e ne mostra sette caratteristiche rappresentate dai sette rami principali che nello Shōka e Seika saranno ridotti a tre (shu, fuku e kyaku della scuola Ohara)

Tipico del sincretismo religioso giapponese, alla rappresentazione di questa mitica montagna buddhista viene affiancata la visione taoista con il suo lato yang ( in giapponese ), al sole, e yin ( in in giapponese ), all’ombra, e i disegni sottostanti mostrano la sua idealizzazione e la sua trasposizione nel Rikka, con le sue sette parti simboliche (la cima, il lato yang, il lato yin, la collina, la cascata, i piedi della collina e la città)

 vedi anche Art.67° Simbolismo delle composizioni

Nei tre disegni sottostanti,

il primo mostra solo i 7 rami principali formanti la struttura di base del Rikka

 

il secondo i singoli 7 rami principali con l’aggiunta dei loro rami ausiliari

 

 ed il terzo il Rikka completo

 

La fotografia di un Rikka (foto C) della Scuola Ikenobo e i due disegni preparatori A e B illustrano chiaramente i passaggi dal disegno ideale del Monte Meru alla sua rappresentazione con i vegetali.

La parte alta del Rikka mostra una prospettiva “in lontananza”, quella intermedia “a media distanza” mentre la parte bassa mostra una prospettiva “ravvicinata”, prospettive derivanti dalla pittura cinese.

Da notare come il ramo shu rappresenti la parte in lontananza, i suoi rametti collaterali con le loro fronde rappresentino i picchi delle montagne e il suo tronco principale rappresenti la valle delineata da queste montagne.( vedi anche art. 67°)

Con il passaggio dal Rikka allo Shōka e Seika nei primi decenni dell’epoca Tokugawa, periodo in cui la visione cosmica e mitica dell’esistenza e la percezione sacrale della natura vengono abbandonate e le arti -ikebana compreso- vengono secolarizzate, il simbolo Buddhista del Monte Meru viene abbandonato mentre quello taoista yang/yin viene mantenuto.

E’ interessante notare che la Scuola Ohara ha mantenuto la distinzione fra le tre prospettive del Rikka  nel Moribana Paesaggio:

Paesaggio ravvicinato,               che deriva dalla parte bassa del Rikka                    

Paesaggio in lontananza,           che deriva dalla sua parte alta                                  

Paesaggio a media distanza,     derivante dalla sua parte intermedia

Anche se la rappresentazione del Monte Sumeru è stata abbandonata completamente quando si è passati dal Rikka alle sue semplificazioni di Shoka e Seika, l’influsso del buddhismo sull’ikebana è rimasto evidente ed è collegato al concetto estetico del “bello”, concetto che in Giappone è stato molto influenzato da questa religione:

“bello” è ciò che richiama i concetti buddhisti

dell’impermanenza e dell’insostanzialità.

Un ikebana è “bello” quando queste due caratteristiche sono in esso espresse.

Molto succintamente

IMPERMANENZA (anicca in lingua Pāli)

Per il buddhismo ogni cosa che nasce comincia a consumarsi appena vede la luce e procede fatalmente verso la sua fine quindi vale, come ogni forma, non in quanto permanente ma in quanto scompare, si trasforma, si dilegua.

“Bello” sarà considerato ciò che esalta l’impermanenza, la transitorietà:

paravento: ciliegi in fiore a Yoshinogama

Watanabe Shikō 1683-1755

 

dai fiori di ciliegio che durano pochi giorni,

 
 

 

 

 

 

 

 

paravento di Sakai Hōitsu 1761-1828

alla luna piena che dura una sola notte,

 

porte scorrevoli: “susini e uccelli”

di Kano Sanraku   1559-1635

 

al tronco o ramo “vecchio” coperto di licheni su cui sbocciano delle “giovani” infiorescenze.

Interessante notare che già nel kanji hana, che forma la parola ikebana, è visibile questa transitorietà: esso è composto dal radicale “erba” sopra al kanji cambiamento: si può immaginare che rappresenti un uomo giovane, che significa “erba giovane”, che si trasforma nello stesso segno erba sopra un uomo anziano ossia “erba  vecchia”, perciò il kanji significa “erba che invecchia” ossia “vegetale che si trasforma, che invecchia”

Anche il Tao afferma: “l’unica costante della realtà è il cambiamento”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

disegno di Katsushika Hokusai

 

Il concetto di transitorietà o impermanenza viene assimilato dai bambini giapponesi imparando a creare gli origami, pezzetti quadrati di carta che si trasformano tramite piegature, ad esempio, in animali; la carta si trasforma in animale o oggetto che a sua volta, se si disfa l’origami tirando delicatamente i lembi del foglio, ritorna ad essere solo un pezzo di carta.

Ma sopratutto lo assimilano quando memorizzano il primo sillabario fonetico Hiragana tramite una poesia, chiamata IROHA dal nome delle prime tre sillabe che contiene, tutte presenti un’unica volta le 47 sillabe che lo compongono. La poesia è tratta dal Sutra del Nirvana e la tradizione la attribuisce al monaco Kukai colui che, sempre secondo la tradizione, introdusse la scrittura hiragana in Giappone.

La poesia dice:

“I fiori possono avere colori smaglianti ma sono tutti destinati a sfiorire. Così in questo mondo, chi durerà in eterno? Oggi, attraversate le montagne dell’illusione umana, mi libererò dei sogni fuggevoli, né sarò più inebriato ” (sottinteso : dai piaceri del mondo).

negli anni recenti i metodi di insegnamento sono cambiati e la poesia non viene più insegnata

 

Nell’ikebana, transitorio per eccellenza rispetto alle altre Arti Tradizionali Giapponesi poiché la composizione dopo pochi giorni finisce nella spazzatura, l’impermanenza viene mostrata utilizzando, ad esempio,:

* i fiori a vari stadi di apertura

in questo shoka è evidente la transitorietà, mostrata da un fiore chiuso, uno aperto e uno molto aperto

* se si usano rami fioriti o con bacche e foglie, la transitorietà viene evidenziata lasciando quantità differente degli elementi elencati sui singoli rami: uno con più fiori/bacche rispetto alle foglie e nell’altro più foglie rispetto ai fiori/bacche.

* gli ausiliari del gruppo shu-fuku saranno rami “giovani” rispetto ai rami “vecchi” di cui sono ausiliari

* si usano rami coperti da licheni (vecchi) con rametti collaterali fioriti o con foglie che stanno spuntando (giovani).

INSOSTANZIALITÀ (anattā in lingua Pāli)

Per il buddhismo ciascun sé, sia inteso come semplice elemento fisico o come singolo individuo vivente, non è né costituito né pensato come unità separata, come un ente autonomo e indipendente. Ogni ente è sempre e necessariamente costituito da relazioni, sia a livello biologico che a livello etico.

L’ikebana evidenzia le relazioni fra misure dei vegetali e misure del contenitore, misure dei vegetali sempre in relazioni tra di loro, relazioni fra masse – volumi – colori – linee, fra composizione e suo ambiente circostante.

Schema della scuola Ohara indicante la relazione sia fra le misure dei tre elementi principali e il contenitore, sia fra i tre elementi

Anche la denominazione hon-gatte o “di destra” e gyaku-gatte o “di sinistra”, che definisce la posizione relativa dei tre elementi principali (shu, fuku e kyaku della Scuola Ohara) sottintende la relazione con qualcosa rispetto alla quale l’ikebana si situa alla sua destra o sinistra vedi articolo n°5

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21 SHIN, GYŌ, SŌ

Fino alla fine dell’era Meiji, l’estetica giapponese utilizzava catalogare oggetti e situazioni basandosi su tre suddivisioni:

aggettivi equivalenti, a seconda dei soggetti

shin = formale,                   lento, simmetrico, importante, solenne, imponente

= informale,                   veloce, asimmetrico, “alla buona”, rilassato

gyō = semi formale,          ciò che è situato fra i due estremi shin e sō

Questo sistema, di origine cinese e all`inizio applicato solo alla calligrafia, fu esteso già in Cina ma soprattutto in Giappone sia alle persone, al comportamento, all’abito indossato o al tipo di inchino o ad altro come la cerimonia del Tè, il tokonoma, la costruzione di giardini, l’ikebana, i disegni delle stoffe per i kimono e le arti marziali ( sia per gli stili che per gli oggetti usati come l’arco e la spada).

periodo Edo, da un Trattato sulle “buone maniere”:

da seduti

inchino formale o SHIN

inchino semi-formale o GYŌ

 inchino informale o SŌ

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

in piedi, inchino formale o SHIN

Ad esempio un giardino shin è grande e pubblico, appartiene a un tempio o a una casa signorile mentre un giardino gyō ha contemporaneamente degli aspetti formali e informali come quelli delle case private mentre un giardino sō è quello esistente nelle case contadine.

Per capire quanto fosse esteso l’uso di questa classificazione, si può portare l’esempio dell’ Hojojutsu (l’arte di bloccare un prigioniero per mezzo di una corda) utilizzato dalla polizia del periodo Edo in cui si usavano i tre modi SHIN, GYŌ, SŌ, -formale, semiformale e informale- per i prigionieri legati in modo differente probabilmente secondo la loro posizione nella gerarchia sociale del tempo.

Nella scrittura, shin corrisponde al nostro stampatello, sō al corsivo, più pratico e veloce, mentre gyō al semicorsivo.

Ad esempio il kanji DŌ = Via Il kanji UTSUWA = vasellame

  nei tre stili shin, gyō e   sō

È evidente la difficoltà, se non si conoscono i corrispondenti shin di via e vasellame, di capire che i segni “astratti” sō, talmente “stilizzati”, indichino le stesse parole dei kanji shin.

Nelle scuole, ancora oggi, gli scolari imparano la grafia stile shin, usata da tutta la popolazione, lo stile gyō è usato da molti mentre la maggior parte dei giapponesi, se non ha seguito studi particolari, non sa leggere lo stile sō.

Nella Cerimonia del Tè , ad esempio, la scelta dei vasi per il Chabana:

° shin,        vasi di bronzo o cinesi o di porcellana

° gyō,         vasi di terracotta lucidi

° sō,           vasi di terracotta semi lucidi o opachi e cestini

I cestini di bambù contenenti i vegetali, sono a loro volta classificati:

° shin, a forma simmetrica con le “onde” delle liste di bambù precise ed elaborate

° gyō, a forma simmetrica ma con “onde” meno precise

° sō,  a forma irregolare con “onde” irregolari

le tavole su cui sono posati i contenitori sono pure classificate

°shin,        tavole laccate di nero con angoli o bordi squadrati

°gyō,         tavole laccate con bordi ed angoli smussati

° sō,          tavole di Paulonia o Cedro, lasciate al naturale

Da evidenziare il fatto che, in tutte quelle situazioni in cui questo sistema di catalogazione estetica è usato, occorre una coerenza fra tutti gli elementi usati:     nel caso dell’ikebana è importante la coerenza fra tipo di vegetale, contenitore, dai (tavola di legno) e la ragione o l’occasione per cui si esegue la composizione, vale a dire che tutto è o shin o gyō o sō e non si possono mescolare fra di loro elementi shin con elementi sō o gyō.

esempio di composizioni per la Cerimonia del Tè

shin, formale

gyō, semi-formale sō, informale

 

Ad esempio, nella cerimonia del Tè, alcuni fiori sono ritenuti shin: ecco alcuni esempi

– camelia, probabilmente per la sua appartenenza allo stesso genere della pianta del Tè

– crisantemo, simbolo dell’imperatore

– peonia, simbolo cinese

– loto, fiore di Buddha

In generale sono shin gli oggetti fatti dall’uomo in contrapposizione a quelli sō, lasciati naturali e gyō quelli che contengono le due caratteristiche.

Dal punto di vista storico sono shin gli oggetti che hanno mantenuto la forma originale, di solito importati dalla Cina e dalla Corea, sō quelli che sono stati trasformati e migliorati nella permanenza giapponese.

Questa classificazione, ai nostri occhi occidentali, è ulteriormente complicata dal fatto che ogni divisione shin, gyō, sō è a sua volta ulteriormente suddivisa in tre sottodivisioni shin, gyō, sō ottenendo in tutto nove possibili categorie, con riferimento alle nove posizioni del Buddha Amida “tre corpi e nove forme”.

1- shin no shin          formale-formale

2- shin no gyō              formale-semi formale

3- shin no sō                    formale-informale

4- gyō no shin          semi formale-formale

5- gyō no gyō              semi formale-semi formale

6- gyō no sō                    semi formale-informale

7- sō no shin           informale-formale

8- sō no gyō               informale-semi formale

9- sō no sō                    informale-informale

Nell`ikebana

la codificazione shin, gyō, sō è già presente nel Rikka, attestata dai manoscritti del samurai Hisamori Osawa, datati 1460-1492, ma le sottodivisione sono apparse soprattutto nel periodo Edo per i Seika e Shōka.

Esempi, utilizzando schemi di Seika:

composizioni hongatte o di-destra

categoria shin, formale, con le sue tre sottodivisioni

La differenza tecnica fra i tre modi risiede nella curvatura degli elementi, tendente al diritto nello stile formale e maggiormente curvo in quello informale.

L`apice della curvatura di shu da un lato e la punta di kyaku dall’altro, non devono oltrepassare il bordo del vaso.

 Al giorno d’oggi queste differenziazioni estetiche non vengono più usate e sono rimaste parzialmente solo nella Cerimonia del Tè e in poche altre situazioni nelle arti marziali.

Cosa è rimasto di tutto questo nell’ikebana della Scuola Ohara?

Molto, anche se le nove differenziazioni non vengono più utilizzate; dallo schema sottostante è evidente come i tre stili principali del Moribana ed Heika derivino ognuno da una delle categorie shin, gyō, sō del Seika :

lo Stile Alto deriva da shin, lo Stile Obliquo da gyō e lo Stile Cascata da sō.

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20 il decalogo dell’ikebanista che coglie i vegetali

L’imparare a cogliere correttamente i vegetali in funzione della composizione programmata è un’arte !

Geneviève Ausenda, quando l’attuale Chapter Ohara di Milano era ancora uno Study Group, aveva scritto:

 

10 comandamenti del buon ikebanista

 

commento integrativo, riferendosi ai 10 numeri del decalogo

 

 

1- se possibile, arrivare di buon mattino nel luogo scelto; dopo aver parcheggiato l’auto all’ombra, partire per la “caccia” con forbici adatte, un ampio telo quadrato (minimo 1 m di lato) e uno o più contenitori (ad esempio bottiglie in plastica a cui vien tolta la parte alta col tappo) contenenti acqua, utili se dobbiamo cogliere erbe, fiori o foglie “fragili”

Non precipitarsi a cogliere ciò che ci attira a prima vista ma perlustrare il luogo in modo d’avere una visuale di insieme e cogliere gli elementi al ritorno, dopo aver perlustrato tutto  il territorio scelto.

 

2- bisogna avere ben chiaro in mente le posizioni di ogni vegetale nella composizione che si vuol fare.

Visualizzare mentalmente la posizione specifica che ogni singolo elemento avrà nella composizione e scegliere l’elemento che ha la sua naturale posizione di crescita più vicina alla posizione che dovrà assumere nello schema prescelto.

 

 

3- la tendenza del principiante è di raccogliere troppi vegetali; l’esperto ikebanista raccoglie solo il necessario, con qualche elemento in più per gli imprevisti.

 

4-in ogni stile si usano rami verticali e obliqui perciò, indipendentemente dallo stile scelto, raccogliere vegetali di posizione naturale di crescita sia verticale che obliqua.

Evitare di cogliere vegetali troppo “giovani” poiché appassiscono molto rapidamente

 

5- avendo presente la misura del vaso che useremo, cogliere dei rami in funzione di questa: ad esempio per un Heika, il ramo shu dev’essere colto di almeno 1 m di lunghezza, pensando anche alla sua parte che entra nel vaso. Togliere subito rametti collaterali e foglie nei primi 20 cm dalla loro  base e legarli assieme facendo attenzione che la parte tagliata di tutti i rami sia allo stesso livello per evitare che, quando si immerge il gruppo nell’acqua, qualche ramo non “beva”.

 

6-7- disporre “il bottino” nella diagonale del telo, inumidito se fa molto caldo,con i vegetali già separati, in funzione del loro utilizzo; le grandi foglie piatte, una sull’altra, erbe-fiori-foglie molto fragili messi a parte nei contenitori con acqua.

 

8-  al ritorno subito condizionare ciò che si è raccolto, mettendolo nel secchio e lasciar pulito il luogo dove questi è posto. Se non si conosce il nome di alcuni vegetali, informarsi.

 

9- per evitare di forare il sacco dei rifiuti, se in plastica,  e minimizzare il volume dei vegetali scartati, tagliuzzare tutti i vegetali che non si usano, specialmente i rami, in pezzettini corti.

 

10- regala il vegetale più “bello” che hai colto…………………………………………..

 

 

 

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19 i kata nell’ikebana/Ka-dō

similitudini fra arti marziali giapponesi e ikebana

(C) scuola Ohara

 

 

 

Quando consideriamo l’ikebana con mentalità occidentale abbiamo la tendenza ad associarlo alle arti figurative, alle “belle arti”, poiché usiamo i colori e le linee come nella pittura, le masse e i volumi come nella scultura o architettura.

Il termine arte, per secoli anche nella nostra cultura occidentale, ha indicato qualsiasi attività manuale esercitata con perizia e già nel Medioevo la parola “capolavoro” indicava l’oggetto che l’apprendista presentava all’esame per essere ammesso fra i membri di una corporazione.

Arte è soprattutto l`abilità di un mestiere: ancora oggi parliamo di arti sanitarie, mediche, culinarie, grafiche, militari, magiche.

Se consideriamo quale esempio un falegname o un calzolaio, il loro prodotto finito -tavolo o scarpa- può essere giudicato bello o brutto ma, indipendentemente da questo giudizio, può essere valutato se è stato eseguito “a regola d`arte” ossia se sono state applicate con perizia le tecniche tradizionali tipiche del falegname o del calzolaio.

Lo Zen, che come tutte le altre correnti del buddhismo si oppone alla visione dualistica bello/brutto del tavolo o della scarpa, riconosce il “bello”, l`”arte”, non nell`oggetto creato -tavolo o scarpa- ma nella successione delle azioni compiute per crearlo, ossia se e come è stato eseguito “a regola d`arte”.

Lo zen ha influenzato un gruppo (eterogeneo, per la cultura occidentale) di attività manuali che vengono raggruppate sotto il nome di Arti Tradizionali Giapponesi e sono riconoscibili nel fatto che il loro nome finisce in -dō (= tao = via )

Fra le più conosciute e praticate, troviamo alcune arti marziali:

Ken-dō:   Via della spada,

Kyu-dō:   Via dell’arco,

Aiki-dō:   Via dell’armonia o dell’unione,

Iai-dō:   Via dell’estrazione della spada

e anche un gruppo di arti estetiche, apparentemente dissimile,

che comprende

Cha-dō  o  Via del tè

Sho-dō  o  Via della scrittura

Kō-dō    o  Via dei profumi

Ka-dō    o  Via dei “fiori”/ikebana

Anche se agli occhi occidentali il praticare un’arte marziale  appare qualcosa molto differente dal praticare l’ikebana, in realtà queste attività sono simili fra di loro poiché lo scopo finale della pratica di tutte le Arti Tradizionali Giapponesi, che è lo sviluppo personale e il processo di conoscenza e crescita interiore, è lo stesso mentre le modalità per raggiungerlo, solo in apparenza, sono molto differenti.

kyu-dō

iai-dō

ken-dō

 

cha-dō

kō-dō   

                

sho-dō

ka-dō

 

 

Tutte queste nomenclature terminanti in -dō sono apparse solo nel periodo Edo: i Tokugawa riuscirono ad imporre la fine delle guerre fra vari clan e la maestria dell’uso delle varie armi per uccidere il nemico venne trasformata in abilità “nell’uccidere il proprio ego” ossia una “disciplina” vista come “percorso”, “via”, “cammino”, in senso non solo fisico ma anche spirituale.

Tutte queste arti terminanti in -dō, ikebana compreso, prima che l’influsso della cultura occidentale fosse così prorompente, erano praticate esclusivamente dagli uomini, inizialmente solo da quelli appartenenti alla parte colta della classe dei samurai, dalla nobiltà imperiale, poi in seguito nel periodo Edo anche dalla classe dei ricchi mercanti e artigiani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

samurai che ammirano una esposizione di Rikka

 

Le Arti Tradizionali Giapponesi presentano un “ura” (visione in profondità) e un “omote” (visione in superficie)      vedi Art. 25°

In tutte le Arti Tradizionali si dà un’importanza grandissima all’uso del corpo: tutti i movimenti sono molto curati e basati sul concetto zen “meno è più” e sul concetto del “minimo sforzo per il massimo rendimento” ossia tutti i movimenti sono calibrati, essenziali, spogliati del superfluo, seguono specifici criteri, influenzati dallo Zen, imposti dalla tradizione di ogni singola Arte e di ogni singola Scuola.

Certamente i movimenti di un’Arte Marziale come il tiro con l’Arco o l’uso della Spada sono differenti da quelli usati nella Cerimonia del Tè o nella Via della Scrittura o nel Ka-dō/ikebana, ma tutti, oltre ad essere funzionali ed efficienti, sono di un’elegante bellezza.

lettura Kun: kata vedi Art. 50° lingua giapponese

 

Tutte le Arti Tradizionali sono basate sui kata, parola che, non avendo equivalenti nel pensiero occidentale, è tradotta in senso letterale con : forma, tipo, stampo.

Per kata si intende

“sequenza composta da gesti formalizzati e codificati sottesa da

uno stato di spirito o mentale orientato verso la realizzazione della Via o Dō”.

 

La maggior parte di queste arti “non produce” un oggetto, come le Arti marziali, la Cerimonia del tè, la Via dei profumi, mentre altre ne producono, come la composizione ikebana o il foglio scritto nella Via della scrittura.

Per lo Zen la produzione di un oggetto nelle arti tradizionali elencate è potenzialmente dannosa poiché distoglie l’attenzione dal processo di produzione che è la Via (-dō).

La necessità occidentale di valutare un’opera in base alla sua forma porta spesso a dimenticare questo principio così importante per lo Zen ma è proprio nella capacità di vedere le azioni invisibili, ossia la serie di azioni e gesti che hanno prodotto l’opera -azioni assenti poiché passate- che risiede la chiave di valutazione dello Zen.

Il valore di queste arti nel contesto zen non sta nell’oggetto prodotto (ikebana, nel nostro caso) ma nella successione di azioni compiute per costruirlo ossia nella sequenza composta da gesti formalizzati e codificati dalle singole scuole sottesa da uno spirito orientato verso la realizzazione della Via (Dō).

 

 

Agli occhi degli occidentali, i kata sono ben riconoscibili quando vediamo una persona che, in tutte le arti marziali citate, si allena in gruppo ripetendo quelle sequenze di gesti, ponendo la loro attenzione sulla loro concatenazione, cercando la perfezione tecnica. Questi kata sono specifici per ogni singola scuola di arti marziali; ad esempio nel karate i kata sono quella serie di gesti che, fatti propri durante gli allenamenti, resi automatici e messi in pratica durante un combattimento, servono ad affrontare l’avversario.

 

Però i kata esistono (molto meno evidenti) anche in tutte le arti tradizionali giapponesi non-marziali, ikebana incluso.

 

L’apprendimento dei Kata  ha lo scopo di creare l’automaticità di una serie di gesti tecnici, trasmessi dalla tradizione, che mirano alla realizzazione perfetta delle forme e dei movimenti.

Per l’ikebana l’automaticità è quella di mettere in posizione naturale di crescita ogni vegetale appena preso in mano, del tagliarlo della lunghezza dovuta, a seconda della sua funzione, dell’inserirlo nella composizione nelle inclinazioni prestabilite dalla scuola e così via.

 

I Kata non sono l’opera di una singola persona ma il risultato di un sapere tradizionale che si è condensato di generazione in generazione ossia ogni Kata è la memoria del movimento elaborato per anni dai vari maestri e dai loro allievi.

Nel concetto di kata, la tecnica occupa un posto essenziale riassunta dalla formula: ” la tecnica è l’uomo “

La qualità della tecnica si acquisisce con l’allenamento incessante, ma talvolta l’esercizio può essere ripetuto senza progressi se, contemporaneamente, non esista una progressione qualitativa “spirituale” del praticante quell’arte,  sia marziale o ikebana o della scrittura o del Tè .

 

Per i giapponesi la perfezione è umana (vedi esecuzione dei Maestri nella Cerimonia del tè, o dei Maestri della scrittura o composizione ikebana o in un Haiku o in un “giardino secco”).

 

  

I KATA nell’Ikebana

Nell’ikebana, essendo ai giorni nostri erroneamente concentrati sul risultato ossia la composizione, non si parla mai dell’importanza dei movimenti del corpo dell’ikebanista. Questi movimenti, pur non essendo mai stati codificati come nelle altre Arti, sono importanti poiché rivelano lo “stato d’animo” di chi compone e certamente la consapevolezza del modo d’uso del corpo influenza il risultato cioè la composizione.

 

 

 

 

Nell’ikebana i movimenti del corpo, pur essendo liberi e non codificati, devono seguire gli stessi criteri di funzionalità ed estetica comuni a tutte le Arti Tradizionali e l’ikebanista deve avere un uso consapevole del proprio corpo.

 

 

 

 

Per l’Ikebanista i kata sono gli stili delle composizioni facente parte della tradizione della Scuola.

 

 lettura On: kei

 lettura Kun: kata

vedi Art. 50° lingua giapponese

 

Per l’ikebanista Ohara i kata sono gli stili delle composizioni (stile Alto, Obliquo, Cascata, Che si riflette nell’acqua) che vengono chiamati –kei ( ad esempio Chokuritsu-kei = stile Alto) leggendo il kanji, che in lettura Kun si pronuncia kata, in lettura On. 

Ma importanti sono anche  tutte quelle sequenze di gesti che, col tempo, devono diventate automaticihe e servono per eseguire una corretta composizione con dei vegetali; ad esempio queste azioni, ripetute fino a renderle automatiche,

quali:

– la scelta dei vegetali e del vaso in funzione del materiale

vegetale o viceversa

 

– la presa in mano del singolo vegetale per valutare il suo “peso

ottico” e se è più idoneo ad essere usato come shu, fuku, kyaku o un ausiliare

– il togliere il superfluo

 

– il tagliare i vegetali mantenendo le proporzioni sia col

contenitore che con gli altri attori della composizione-ikebana

– l’inserirli nei giusti angoli d’inclinazione

 

 

 

In tutte le Arti Tradizionali, prima di iniziare la loro pratica, occorre concentrarsi.

Di solito la concentrazione sul corpo passa attraverso il concentrarsi sulla respirazione che evidenzia istantaneamente la transitorietà, l’impermanenza – non possiamo trattenere il fiato – e l’interdipendenza – dipendiamo dall’ossigeno a sua volta prodotto dai vegetali – e tale semplice costatazione dovrebbe mitigare l’esagerata invadenza del nostro Ego, causa delle varie situazioni di scontentezza dell’allievo durante la lezione di ikebana.

 

Idealmente l’ikebanista che deve comporre un ikebana, dopo la

breve fase di concentrazione, avendo davanti a se i vegetali che ha selezionato richiama mentalmente i kata e inizia la composizione mantenendo la concentrazione sul suo operato.

 

L’ikebanista che vuole andare oltre l’apprendimento scolastico e

dall’atteggiamento mentale di voler imparare l’Ikebana passa

all’atteggiamento mentale di voler seguire la Via dei “fiori” / Ka-dō

capisce che il suo scopo non è l’eseguire una “bella” composizione ma ottenere

un cambiamento della sua persona tramite la pratica dell’ikebana.

 

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18 importanza di conoscere le opere artistiche giapponesi

Per un gaikokujin ( 外国人 = straniero) che studia e pratica l’Ikebana, una volta imparate le regole scolastiche, bisogna sviluppare quella capacità che permetta di “rappresentare il tutto tramite alcune sue parti ”:

un albero, un arbusto, dei fiori, devono essere rappresentati in un vaso tramite pochi rami o fiori che sono stati tolti dal loro contesto di crescita naturale;  di conseguenza devono essere “modificati” affinché “rappresentino” la pianta o il fiore da cui sono stati tolti.

Per imparare ad eseguire queste modifiche che servono a “mettere in evidenza l’essenza del vegetale” bisogna :

° conoscere il vegetale: Houn Ohara, 3° Iemoto, diceva : “fate l’Ikebana con i piedi”, volendo sottolineare l’importanza di camminare nella natura per osservarla

° ma soprattutto osservare come i più famosi artisti giapponesi hanno raffigurato questi vegetali sia nei dipinti che nelle stampe o nei disegni dei kimono o dei ventagli oppure degli stemmi araldici, poiché le modifiche che l’ikebanista apporta al vegetale sono anche basata sulla sua rappresentazione data dagli artisti, rappresentazione che è diventata patrimonio culturale della tradizione giapponese.

L’ikebana è una delle arti tradizionali e “la tradizione” è sempre presente nei suoi esecutori; l’ikebanista, mentre “opera” sul vegetale, deve assolutamente osservare le caratteristiche specifiche del vegetale però non deve fermarsi solo a questo ma deve anche essere cosciente di come questo vegetale è rappresentato nell’immaginario e nella tradizione pittorica giapponese (vedi art. 59° e 60°)

Questo immaginario, basato sulle immagine della pittura o delle stampe del periodo Edo ha origine nella poesia: già nel Man Yō Shū (Raccolta di mille foglie), la più antica antologia poetica giapponese datata attorno al 759 d.C., con 4516 poemi, sono citati più di 1600 vegetali.

I dipinti con fiori, arbusti ed alberi dei più noti artisti giapponesi frequentemente fanno riferimento o hanno come tema le poesie che citano tali vegetali, poesie facenti parte del patrimonio culturale giapponese vedi Art. 59° e 60°

 

 

 

Prendendo ad esempio il pino, che in natura si presenta come nella foto a lato, si tolgono gli aghi “vecchi” lasciando solo il ciuffo apicale creando una successione di spazi vuoti e pieni;

mentre lo si adatta alla composizione scelta, l’ikebanista rivede come il pino è rappresentato ad esempio da Sesshu, o nelle xilografie di Utamaro, Hiroshige e Hokusai o al grande pino del teatro Nō o quello piccolo sui ventagli , sui kimono, sugli stendardi e stemmi

.

Kitagawa Utamaro  (1753-1806)

Kano Motonobu (1476-1559)

Fiori e uccelli delle quattro stagioni

 

 

 

 

oppure riferirsi al paravento “fagiano e pino” di Kano Kōi (1569-1636)

 

 

 

 

 

 

 

 

o al disegno di questo ventaglio usato nella danza tradizionale bujo

anche i rami fioriti,

            

in natura come nella foto a sinistra, devono essere lavorati togliendo il superfluo e tenendo presente, ad esempio, questo disegno di anonimo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

oppure i disegni diSakai Hōitsu   (1761-1828)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

o osservare il cosode dipinto pure da Sakai Hōitsu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

o anche questo ventaglio di

,

altro esempio:

 

l’acero, molto folto in natura, dev’essere lavorato dall’ikebanista togliendo il superfluo

       

ricordando fra i molti autori che l’hanno dipinto, ad esempio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Utagawa Hiroshige (1797 – 1858)

 

In tutti questi esempi prevale il concetto zen:

meno è più

concetto evidente anche in questo disegno di Hakuin (1685-1769) intitolato

ciechi che attraversano un ponte

 

 

Importante è anche conoscere le combinazioni fra i vari vegetali che la tradizione giapponese tramanda, sia poetica che pittorica  vedi art. 59° e 60°.

Nel bagaglio culturale dell’ikebanista, oltre alle conoscenze delle religioni e filosofie che hanno influenzato la nascita e la formazione delle regole compositive dell’ikebana, occorre anche avere una conoscenza della tradizione artistica inerente ai vegetali.

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17 composizione di-destra e di-sinistra

ancora per gli smanettoni dell’ikebana

Nomenclatura di origine ancora più antica di hongatte e gyakugatte è quella di-destra o di-sinistra, storicamente esistente già in epoca Heian (794-1185), di origine cinese.

In Occidente noi definiamo di-destra o di-sinistra un oggetto che è situato a-destra o a-sinistra di chi guarda ossia il punto di riferimento è chi guarda.

 

Ci sono delle eccezioni come la denominazione dei partiti politici di-destra e di-sinistra basata sul fatto che in parlamento i parlamentari dei partiti “progressisti” sono seduti nell’emiciclo alla sinistra del presidente e quelli “conservatori” alla sua destra.

In questo caso il punto di riferimento non è chi guarda bensì la persona più importante del parlamento, il presidente, e di conseguenza la destra e la sinistra sono quelle del presidente e non dei parlamentari

Rispetto ai parlamentari seduti al centro dell’emiciclo, i partiti di-destra sono seduti alla loro sinistra e quelli di-sinistra sono seduti alla loro destra.

Nell’antico Giappone la destra o la sinistra non è quella di chi guarda ma quella di una persona (o oggetto) più importante al cui lato destro o sinistro si trova l’elemento preso in considerazione.

° A Corte, sin dal periodo Heian, si praticavano dei giochi chiamati awase, giochi di paragone fra cose come fiori, radici, canto o piumaggio di uccelli, insetti, ventagli, incensi, dipinti, oppure fra poesie.

I partecipanti venivano divisi in due gruppi chiamati:

gruppo di-destragruppo di-sinistra (rispetto al giudice, la persona più importante, seduta al centro).

A turno un membro del “gruppo di-destra” e uno del “gruppo di-sinistra” mostrava l’oggetto o declamava la poesia e il giudice assegnava un premio a uno o all’altro gruppo.

Tutto ciò veniva annotato sui diari, arrivati fino a noi.

Ad esempio, nel paragone delle radici (ne-awase), giocato durante la festa del Giaggiolo nel quinto mese, i partecipanti mostravano i giaggioli con le radici, accompagnandoli con poesie e il giudice considerava la bellezza delle radici, la loro lunghezza e la loro rarità. In quello degli uccelli (kotori-awase) venivano giudicati il canto, la bellezza del piumaggio e la loro rarità.

interessante notare che l’apprezzamento della bellezza di certe radici, praticato alla Corte Heian, è rimasto nelle composizioni Bunjin della Scuola Ohara.

In questo tipo di ikebana le radici di alcuni fiori vengono messe in evidenza, fuori dal vaso.

Bunjin

(C) Scuola Ohara

° Le due cariche statali giapponesi più importanti al di sotto dell’imperatore in epoca Heian erano:

il Ministro-di-destra e il Ministro-di-sinistra, così chiamati poiché, alla presenza dell’imperatore, sedevano alla sua destra e alla sua sinistra ; per i cortigiani che guardavano verso l’imperatore, il Ministro della Destra (dell’imperatore) era seduto alla loro sinistra  mentre il Ministro della Sinistra era seduto alla loro destra.

 ricostruzione immaginaria, per mostrare le posizioni dei sudditi, dei due ministri e dell’imperatore

° Capitale di-destra e Capitale di-sinistra

Le città, sede della Corte imperiale, di Heijō (Nara), Nagaoka-kyō, Heian-kyō (Kyoto) furono costruite sul modello della capitale cinese dei T’ang, Ch’ang-an, con pianta ortogonale, in luoghi protetti dalle quattro divinità cardinali, seguendo le regole del feng-shui (vedi articolo 9°).

La consuetudine era di costruire sia le case della nobiltà che le città sull’asse nord-sud e si sceglieva un luogo in cui ci fosse la protezione della tartaruga nera a nord (montagne alte, per le città), la fenice rossa a sud (spazio libero con acqua diretta da est a ovest), il drago blu a est (fiume che scorre da nord a sud) e la tigre bianca ad ovest (colline basse)

° Il palazzo imperiale era edificato a nord poiché il Tenno, paragonato alla Stella Polare, nelle situazioni formali, doveva stare  a nord.

A lato vediamo la planimetria dell’antica Kyoto: la città era suddivisa in due metà da una strada che andava dal Palazzo imperiale, a nord, verso sud, sede ideale del kami Amaterasu; le due parti chiamate Capitale di-destra e Capitale di-sinistra, rispetto al Palazzo imperiale, l’oggetto più importante della città  preso come punto di riferimento.

 

In città esistevano pure, nelle sue due metà, la prigione di-destra e quella di-sinistra, il mercato di-destra e quello di-sinistra, la guarnigione di soldati di-destra e di-sinistra.

La capitale di-destra è a sinistra di chi guarda il disegno e la capitale di-sinistra è alla sua destra.

IKEBANA

Per capire la ragione per cui si introdusse la denominazione di-destra e di-sinistra nell’ikebana bisogna conoscere l’origine del tokonoma e dell’ikebana, apparsi nella seconda metà del 1400, alla corte degli shogun Ashikaga (vedi articolo n° 13 -la nascita dell’ikebana secondo le fonti storiche-).

Si è spiegato che l’ikebana è nato nel tokonoma: in esso venivano posti i “tre oggetti sacri”  ossia l’incensiere (1), il candelabro (2) e il vaso con fiori (3), posti davanti a tre kakemono, quello centrale, il più importante, rappresentava sempre Buddha.

Ai tre oggetti sacri, più tardi, si sono aggiunti ai lati ulteriori due vasi con fiori (4).

Col tempo si sono tralasciati l’incensiere e il candelabro lasciando solo i tre vasi,il cui contenuto ha cominciato ad essere strutturato.

Il kakemono con Buddha, pur mantenendo la sua “sacralità” e rimanendo l’oggetto più importante del tokonoma, venne sostituito con temi laici.

La definizione di-destra e di-sinistra date all’ikebana sono basate sul fatto che l’oggetto più importante del tokonoma è il kakemono centrale che rappresentava, all’inizio, Buddha per cui, dei due vasi aggiunti ai tre oggetti sacri, il vaso alla destra del kakemono  è stato chiamato di-destra e quello alla sua sinistra, di-sinistra.

La composizione centrale, la più importante delle tre poiché direttamente sotto al kakemono con Buddha, è rimasta “formale”, con il ramo centrale diritto, e venne in seguito usata solo nelle situazioni molto formali.

Il ramo principale dei due vasi laterali, col passare del tempo, da diritto lo si mise curvato e quando, per mancanza di spazio si è cominciato ad usare un solo ikebana nel tokonoma, la nomenclatura di-destra e di-sinistra è rimasta, anche se il kakemono con Buddha è diventato laico.

Da tre vasi si è passati a due

 

per poi passare a uno solo, essendo i tokonoma delle case cittadine più piccoli di quelli dei palazzi shogunali e dei samurai.

composizione di-destra

a destra del kakemono

composizione di-sinistra

a sinistra del kakemono

Da evidenziare che, anche se il l’aggettivo di-destra o di-sinistra fa riferimento al kakemono del tokonoma ai cui due lati possono essere posizionate le composizioni, i due aggettivi in realtà descrivono il rapporto di posizione all’interno della composizione stessa fra uno shu centrale e fuku e kyaku ai suoi lati posizionati a specchio se la composizione è a destra o sinistra del kakemono.

 

La definizione hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra è basata sulla presenza di tre elementi che nell’ikebana sono shu, fuku e kyaku (vedi articolo 16°)

In quasi tutte le composizioni, anche se non ci sono tutti e tre gli elementi principali shu-fuku-kyaku da cui dipende la denominazione di-destra o di-sinistra, esiste un “movimento” dato dall`assieme dei tre elementi predominanti nella composizione (vedi articolo 16°)

Ad esempio in un Hana-Isho in cui esistono solo due elementi principali, shu e kyaku, la distinzione fra le due possibilità è data dalla posizione dei due ausiliari di shu.

 

Questo Hana-isho, Forma elementare eretta, che presenta solo shu e kyaku, è hongatte o di-destra poiché i tre elementi che determinano il suo essere di-destra o di-sinistra sono shu, ausiliare alto, ausiliare basso, disposti in questo caso in modo hongatte o di-destra.

 

Anche il tokonoma stesso può essere costruito di-destra o di-sinistra: in questo caso il punto di riferimento alla cui destra o sinistra si trova il tokonoma, è la sorgente della luce, la finestra.

Nelle abitazioni della nobiltà, posizionate tradizionalmente sull’asse sud-nord, con la stanza più importante che dava sul giardino posto a sud, il tokonoma era costruito, nella maggior parte dei casi, nella parete est, con la luce derivante dal giardino.                             Raramente esso veniva costruito nella parete ovest.

Il tokonoma nella parete est, a destra della sorgente di luce, era chiamato di-destra ed essendo quello più frequentemente costruito, perciò ritenuto “normale”, viene anche chiamato Hon-toko.

Il tokonoma nella parete ovest è alla sinistra della fonte di luce, dunque è anche chiamato di-sinistra ed essendo quello raramente costruito lo si chiama anche Gyaku-toku, ossia l’opposto (gyaku) a quello costruito  di solito (vedi articolo n° 15).

La Scuola Ohara ha mantenuto questa denominazione hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra in coerenza con la storia dell’ikebana, per gli stili creati in origine per essere messi nel tokonoma: un unico “adeguamento” è stato fatto riguardo lo Stile -Che si riflette nell’acqua-, come verrà spiegato in un futuro articolo.

 

Per un occidentale che non conosce la storia dell’ikebana questo modo di definire l’ikebana di-destra o di-sinistra risulta di difficile comprensione.

Per questa ragione alcune scuole di Ikebana, ad esempio la Ryusei, negli ultimi anni hanno dissociato le corrispondenze hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra, prendendo come punto di riferimento non più il kakemono/Buddha rispetto al quale l’ikebana può essere di-destra o di-sinistra ma prendendo come punto di riferimento chi guarda la composizione perciò, per queste scuole,l’ikebana di-destra è quello a destra di chi guarda e l’ikebana di-sinistra è alla sinistra di chi guarda

Questa apparente semplificazione fa perdere un pezzo di storia dell’ikebana basata su un ancestrale modo di dare un nome in base a un punto di riferimento che non è chi guarda ma chi è più importante in quella situazione: il Tenno da cui dipendono i due Ministri di-destra e di-sinistra, le due metà della capitale Heian rispetto al palazzo imperiale e l’ikebana rispetto al kakemono, rappresentante anticamente Buddha.

 

N.B:

nella scia delle semplificazioni in corso per adattarsi ad un numero sempre maggiore di persone che imparano l’ikebana, dal 2015 la Scuola Ohara preferisce usare solo le espressioni hongatte e gyakugatte al posto delle equivalenti (ma legate ad un passato storico più difficile da capire) di-destra e di-sinistra

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16 hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra: introduzione

per gli “smanettoni” dell’ikebana

 

Ogni composizione ikebana che sia composta dai tre elementi principali (shu, fuku e kyaku della Scuola Ohara) può essere eseguita in due modi, una specchio dell’altra.

composizione hongatte/di-destra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

composizione gyakugatte/di-sinistra

(C) scuola Ohara

Gli aggettivi hongatte o di-destra e gyakugatte o di-sinistra, usati per differenziare le due possibilità, non sono stati creati per l’ikebana ma facevano parte della cultura della Corte imperiale giapponese sin dall’epoca Heian.

La disposizione degli oggetti in modo hongatte o gyakugatte è comune ad altre situazioni come la disposizione di pietre nei giardini, la disposizione dei suiseki (pietre da collezione) nei suiban, la disposizione degli oggetti nel tokonoma, la costruzione sia del tokonoma che della sala per la Cerimonia del tè, la disposizione del cibo nei piatti.

 

origine della nomenclatura hongatte e gyakugatte

     

Parlando in modo semplificato e generico, in presenza di tre elementi diseguali, in Occidente di solito questi vengono posizionati in ordine crescente o decrescente .

esempio con tre oggetti di volume differente 

disposizione ideale giapponese degli stessi tre oggetti

 

 

 

In Giappone l’elemento più importante dei tre era posto al centro con ai suoi lati i due elementi meno importanti poiché lo stile Alto (scuola Ohara) che fu il primo ad essere introdotto e diede origine a tutti gli altri stili, imita la posizione della triade buddhista vedi art. 64°

 

NB: essendo idealmente i tre oggetti inseriti nel cerchio del Tai-ji  vedi articolo 15°,  i due elementi più grandi, essendo ambedue nella parte yang del Tai-ji, devono essere fra loro più vicini rispetto all’elemento più piccolo,: quest’ultimo, per evidenziare il fatto che è nella parte yin, dev’essere più staccato dagli altri due.

A                           B

Essendo l’elemento più importante fisso al centro ( nella triade buddhista rappresentava Buddha), ci sono solo due possibilità di disporre i tre elementi: la situazione A e la situazione B.

 

 

Siccome la situazione A è preferita e più frequentemente usata, essa viene definita:

hongatte

katte = gatte = situazione, condizione, circostanza

hon = più usata, preferita, normale, principale, giusta

La posizione a specchio B è meno usata ed è chiamata:

gyakugatte

ossia “situazione opposta”                     gatte = situazione, gyaku=opposta

poiché opposta (a specchio) alla situazione A, la più usata

alcune Scuole, al posto di gyakugatte,  usano la parola higatte (da hidari= sinistra)

 

La disposizione hongatte è considerata Yang/maschile/forte in rapporto alla disposizione gyakugatte che è considerata Yin/femminile/debole rispetto all’altra ( definire yang o yin una cosa,  è sempre esprimere un paragone fra questa e un’altra ).

La preferenza per la situazione A -hongatte- è dovuta al fatto che questa è scelta da chi usa la mano destra mentre la B è preferita dai mancini. Benché in Giappone si scrivesse dall’alto in basso e da destra a sinistra, per cui si potrebbe sospettare la preferenza per la disposizione gyakugatte, anche i giapponesi destrimani sono la maggioranza come nel resto del mondo perciò la disposizione di-destra/hongatte è stata sempre preferita.

Anche le direzioni da sinistra a destra e oraria sono scelte dai destrimani, dunque la maggioranza, perciò sono considerate hongatte (situazione preferita).

A chi è mancino risulta più facile la direzioni da destra a sinistra e antioraria considerate gyakugatte (situazione opposta alla preferita ) e meno frequentemente scelte.

esempi di disposizioni:

 all’interno del tokonoma con il kakemono sempre al centro e due oggetti, con “peso visivo” decrescente, ai suoi lati .

disposizione gyakugatte

 

 disposizione del cibo

disposizione dei sassi nei paesaggi con pietre (in questo esempio, vietnamita)

oggetti della Cerimonia del Tè

disposizione hongatte del contenitore dell’acqua al centro, la tazza da tè col frullino alla sua destra e il contenitore della polvere del tè alla sua sinistra.

 

 Nell’attuale cultura occidentale non esistono situazioni di disposizione di tre entità simili al modo giapponese: unico esempio è la posizione hongatte che assumono sul podio i primi tre atleti nelle gare sportive:

 

il 1° (più forte) è sempre al centro,

il 2° alla sua destra, un poco più basso

e il 3° alla sua sinistra ancora più basso

IKEBANA

i tre elementi da disporre in modo hongatte o gyakugatte sono shu, fuku e kyaku  -Scuola Ohara-; queste due possibilità di disposizione sono già presenti nel primo manoscritto specifico sull’ikebana, il SENDENSHO, scritto da differenti autori anonimi, datato 1445 dal suo primo possessore Fu’ami, monaco della setta Ji e dōbōshῡ al servizio degli Ashikaga, e 1536 dal suo ultimo possessore, Ikenobō.

Siccome ogni Scuola d’ikebana chiama ed ha chiamato i suoi tre elementi principali in modo differente, per evitare di complicare le spiegazioni, in tutti gli articoli chiamo i tre elementi principali di tutte le Scuole e di tutte le epoche con i nomi usati dalla Scuola Ohara, ossia shu, fuku e kyaku.

 

Nel periodo di formazione delle regole compositive del Rikka,  lo shu era sempre al centro vedi art.64° e 70° perciò le possibilità di posizionamento dei tre elementi principali erano solo due

           

disposizione hongatte                                     disposizione gyakugatte

Siccome, sin dall’introduzione del Buddhismo nel 6° sec., i due personaggi a lato del Buddha erano disegnati in posizioni tendenti alla curvatura verso il centro come in questo kakemono del 13° sec., quando si creavano tre Rikka, quello centrale ai piedi di Buddha il più importante dei tre manteneva il ramo principale diritto mentre nei due Rikka ai lati, i loro rami principali assunsero la curvatura in senso orario nella composizione hon-gatte e anti-orario in quella gyaku-gatte.

 

 

tre Rikka: il più importante, quello centrale posto sotto il kakemono con Buddha, con il ramo principale diritto mentre i due Rikka ai lati con il ramo principale curvato in senso orario nel Rikka hon-gatte e anti-orario in quello gyaku-gatte

Le posizioni degli elementi principali del Rikka vengono mantenute nello Shōka/Seika

Notare che le composizioni, sia nel Rikka che nello Shōka/Seika, escono dal centro del vaso, perciò la definizione hongatte e gyakugatte non dipende dal punto dell’uscita dei vegetali dal vaso ma esclusivamente dal rapporto delle relative posizioni dei due elementi fuku e kyaku attorno a uno shu centrale e verticale.

 

La Scuola Ohara ha mantenuto i tre elementi che chiama shu, fuku e kyaku negli Stili Alto, Obliquo, Riflesso nell’acqua e Cascata che possono essere disposti hongatte o gyakugatte

direzione gyakugatte

In generale, se colleghiamo i tre elementi (ad esempio nel tokonoma o nell’ikebana) partendo dal più piccolo al medio al grande, le due composizioni ci danno un senso di rotazione, orario per la disposizione hongatte, antiorario per quella gyakugatte

Questa direzione generale dei tre elementi è mantenuta, se fattibile, anche nei tre singoli elementi che la compongono: ad esempio nella foto sopra della -direzione hongatte- anche il tronco del bonsai assume questa direzione.

È Importante per l’ikebanista il sottolineare che questa direzione non può essere contrastata, ossia come il tronco del bonsai non può essere nella direzione anti-oraria in una composizione hongatte anche shu, nello Stile Alto, non può avere un movimento anti-orario.

A lato vediamo un Paesaggio tradizionale, stile alto, hongatte/di-destra in cui lo shu riprende la stessa direzione della composizione nel suo insieme con la curvatura di shu in senso orario

L’elemento centrale funge da asse attorno al quale si posizionano gli altri due elementi perciò è la posizione di quest’ultimi che determina se il trio è hongatte o gyakugatte,

Questo concetto  è importante per capire la disposizione delle singole foglie, gruppi di foglie e ceppi nei Paesaggi Tradizionali con Iris nella Scuola Ohara.

Nell’assemblaggio delle foglie di Iris usato nella tecnica tradizionale della scuola Ohara, la disposizione del gruppo di foglie è hongatte o gyakugatte.

Il fiore (1) assume la funzione di shu, mentre le due foglie più grandi (2) e (3) quella di fuku e kyaku. Anche quando il fiore non c’è ed esiste solo il gruppo di foglie, queste hanno una disposizione hongatte o gyakugatte.

 

È la posizione delle foglie 2 e 3 ( sempre le più grandi del gruppo ) che determina se il gruppo è hongatte o gyakugatte.

Le foglie aggiunte 4, 5 e 6,sempre di dimensioni minori rispetto alle due principali 2 e 3, non modificano la disposizione hongatte o gyakugatte iniziale.

Questa nomenclatura è usata attualmente da tutte le scuole; fino a pochi decenni fa la dicitura hongatte era sinonimo di di-destra mentre gyakugatte era sinonimo di di-sinistra     vedi articolo 17°

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15 origine simbolica dell’ikebana: tao e shinto

per gli “sfegatati” dell’ikebana

Come accennato in precedenza, le regole compositive dell’ikebanana rappresentano simboli religioso-filosofici.

 

 

L'”occidentalizzazione” valorizza solo il lato estetico dell’ikebana mentre alla sua origine, pur essendo importante questo suo aspetto, la comprensione del suo contenuto simbolico ne era una parte basilare.

Taoismo

Il taoismo classifica la realtà secondo un sistema binario in cui le forze opposte yang e yin sono complementari e interdipendenti, ciascuna contiene il germe dell’altra, sono costantemente in mutamento caratterizzato da fasi di espansione yang, e concomitante contrazione yin, seguite da fasi di espansione yin, con concomitante contrazione yang; tale sistema è rappresentato dal simbolo del taiji.

 

Questo simbolo taoista lo troviamo nell’ikebana sin dalla sua prima forma codificata, il Tatebana, ed è ancora più evidente nel Rikka che rappresenta il monte Sumero con il suo lato yang al sole e il suo lato yin all’ombra ( vedi art. 22° )

Il Rikka, molto complicato da eseguire, nella prima metà del periodo Edo venne semplificato nel Seika/Shoka, lasciando solo i tre elementi principali, elementi che ritroviamo immutati nel Moribana e nell`Heika della Scuola Ohara.

In tutti gli articoli di questo blog, per le spiegazioni teoriche del Rikka viene considerato lo Shoka/Seika che ha mantenuto la struttura di base del Rikka ma molto semplificate e quindi più semplici da spiegare.

 

Una delle rappresentazioni simboliche dell’ikebana era l’unione fra il cielo e la terra espressa posizionando i tre elementi principali sulla linea simbolica taoista che unisce il cielo alla terra.

Per capire la ragione della disposizione spaziale simbolica dei vegetali, bisogna conoscere la rappresentazione grafica del Taijitu, il suo orientamento e i suoi rapporti simbolici con i punti cardinali della bussola.

 

Costruzione del Taijitu:

 

All’interno del cerchio che rappresenta “il Tutto” vengono disegnati due cerchi con diametri equivalenti al raggio del cerchio che li contiene.

 

 

 

 

Si caratterizzano con colori “opposti” :

– colori yang, come il bianco o rosso ( colori della luce o del sole) in  uno dei due cerchi e si colora l’altro con

–  colori yin, “opposti” a quelli usati nell’altro cerchio, come il nero o blu.

Dunque il cerchio bianco rappresenta la parte yang e il cerchio nero la parte yin.

Nel centro dei due cerchi si lascia il colore del cerchio opposto per sottolineare che non esiste niente di puro yang e niente di puro yin.

 

Per evidenziare che le due forze yang e yin sono sempre in movimento e si trasformano continuamente una nell’altra, si estende il bianco e il nero indifferentemente a una o all’altra parte parte dei lati che contornano i due cerchi, ma la parte yang rimane quella metà del cerchio grande in cui è inserito il cerchio bianco (quadrante completamente bianco + quadrante con semicerchio bianco e “coda” nera) e non quella con la maggior superficie di bianco; il ragionamento è uguale per la parte yin.

 

 

 

Nei vari testi il Taijitu è posizionato in vari modi: quello corretto, che lo mette in relazione con i punti cardinali e su cui è basata la costruzione dell’ikebana, è unicamente quello disegnato sopra; i due esempi mostrati ai lati non sono collegati coi punti cardinali.

 

bandiera della Corea del Sud

 

Il posizionamento corretto del taijitu, per capire il simbolismo dell’ikebana e le sue relazioni con i punti cardinali, è visibile nella bandiera della Core del Sud a lato importante è la posizione del cerchio e non la sua coda, ed è il seguente

 

 

 

Contrariamente alla moderna convenzione occidentale di mettere il nord in alto e il sud in basso, in Cina, e di conseguenza in Giappone, si metteva il sud in alto e il nord in basso poiché il sole, al suo apice associato al sud, è in alto sopra la nostra testa e non in basso.

 

 

 

 

 

 

A sinistra una mappa del Giappone con leggende in portoghese, datata 1585, in cui si vede che il sud (SUL) è in alto sopra la scritta IAPAM, mentre il nord (NORTE) è visibile in basso ai piedi della cartina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A destra un paticolare di una mappa datata 1596, di Arnold Van Langren, che rappresenta Cina, Corea e Giappone, pure col nord in basso e il sud in alto

 

 

 

Il sud posto in alto lo troviamo anche nella cartografia medioevale europea, vedi Tabula Rogeriana, mappamondo di fra Mauro e altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A lato il mappamondo di Fra Mauro datato 1440-conservato a Venezia-, in cui il sud è in alto e il nord in basso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mappa datata 1584 della regione dell’attuale Svizzera in cui i laghi di Como (Larius), di Lugano e Locarno (Verbanus) sono in alto a sud segnato MERIDIES e la Svizzera tedesca è disegnata a nord, in basso segnato SEPTENTRIO al di sotto di Basilea, attuale città più a nord della Svizzera, e del fiume Reno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Noi vediamo il Taijitu da nord, come se guardassimo l’Italia da nord, perciò come il sole/sud, rispetto a noi che guardiamo, è in alto sopra l’Italia, anche nel Taijitu il sole/sud è posizionato in alto, sopra a questo.

 

 

 

 

Altra differenza fra Oriente e Occidente è che in Occidente consideriamo le direzioni cardinali nord, ovest, sud, est, mentre in Oriente si consideravano i quadranti nord, ovest, sud, est.

 

 

 

Guardando il Taijitu vediamo che il quadrante sud, in alto, è yang, associato al solare quando è allo zenit, al fuoco, all’estate, al caldo, al colore rosso, alla fenice (vedi 9° articolo)

Se il quadrante sud è yang, quello nord in basso è yin ed è pure lui associato agli “opposti” elencati nel quadrante yang/sud, ossia: freddo, acqua, inverno, colore nero, tartaruga.

Con lo stesso ragionamento si fanno gli altri abbinamenti : il sole nasce ad Est e la sua luce e calore aumentano, crescono: l’aumento/crescita è una caratteristica yang per cui il quadrante è considerato yang, mentre cala ad Ovest, si indebolisce e l’indebolimento è una caratteristica yin perciò questo quadrante è ritenuto yin.

 

Abbiamo così il cerchio del Taijitu diviso a metà in una parte yang (quadranti sud e est) e yin (quadranti nord e ovest)  separati da una linea A-A, inclinata di 45° rispetto a chi guarda e perpendicolare alla linea B-B,  che unisce il punto di massimo-yang col punto di massimo-yin, pure essa inclinata di 45° rispetto a chi guarda.

 

Immaginiamo di disporre il simbolo del Taijitu su di un tavolo. Il sole, che nelle rappresentazioni occidentali viene posizionato a sud, nel simbolismo orientale viene posizionato fra i due quadranti est/sud, nel punto considerato come massimo-yang. Noi  guardiamo il Taijitu da nord e il sole risulta dietro al disegno, posizionato simbolicamente sulla perpendicolare del punto B (massimo yang)

 

 

Siccome il Rikka è composto da tanti elementi vegetali e la sua costruzione risulta difficile da interpretare, per le spiegazioni uso lo schema dello Shoka, (semplificazione del Rikka,  con solo i tre elementi principali che la scuola Ohara chiama shu, fuku e kyaku) per evidenziare la posizione simbolica dei vegetali: vediamo che questi tre elementi principali sono allineati lungo la linea BB per rappresentare simbolicamente l’unione fra cielo/sole e terra

 

 

 

 

Siccome ogni scuola di ikebana nomina i tre elementi principali in modo differente, è una convenzione internazionale per cui l’elemento principale (lo shu della scuola Ohara) viene disegnato con un cerchio, il secondo (il fuku Ohara) con un quadrato, mentre il terzo elemento (il kyaku Ohara) è disegnato con un triangolo (purtroppo non tutte le scuole seguono questa regola)

 

 

i tre elementi principali della composizione sono allineati sull’asse B-B, linea che rappresenta la congiunzione fra il massimo-yang e il massimo-yin ossia la simbolica congiunzione fra cielo e terra.

 

Inoltre i due elementi principali shu/fuku sono nel lato yang, in rosso nello schema, mentre kyaku è nel lato yin, blu:

di conseguenza il materiale vegetale usato per shu e fuku dev’essere yang rispetto a quello usato per kyaku; questa è la ragione per cui, ancora oggi nella scuola Ohara, negli stili tradizionali, il gruppo shu-fuku è composto da materiale Ki-legno mentre il gruppo kyaku è composto da materiale Kusa-“erba” (vedi 2° articolo “concetto di forte e debole”)

 

 

 

In questo schema di shoka, visto di fronte e dall’alto, è chiaramente visibile la direzione simbolica cielo-terra assunta dai tre elementi principali allineati:

l’elemento centrale più alto (lo shu della scuola Ohara):

parte dal centro, si dirige verso il sole e ritorna verso il centro in modo che la sua punta rimanga sulla perpendicolare del punto di partenza

Soe (fuku scuola Ohara):  si dirige verso il sole

Tai (kyaku scuola Ohara): si dirige verso la terra

Evidente pure che shu e fuku sono nel lato yang della composizione mentre kyaku è nella sua parte yin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Shoka Ikenobo di sole foglie d’Aspidistra: come nello schema descritto sopra, shu e fuku sono diretti all’indietro a sinistra (verso la posizione simbolica del sole in alto alla nostra sinistra) mentre kyaku è diretto verso la nostra destra, in avanti, nella direzione simbolica verso il massimo-yin.

 

Lungo la linea BB sono allineati solo i tre elementi principali mentre i loro ausiliari assumono tutti direzioni differenti sia all’indietro che in tutte le altre direzioni.

 

Altra regola importante ( vedi art. 24 ), di origine shintoista, è che:

shu guarda verso il sole mentre tutti gli altri vegetali guardano verso shu.

 

Nel disegno con Aspidistra è chiaramente visibile che il lato positivo/yang/scuro delle foglie segue la regola citata e noi vediamo la composizione, nel suo insieme, da nord, “da dietro”, essendo questa rivolta verso il sole, posizionato dall’altra parte del vaso rispetto a noi che lo guardiamo.

 

Quando si usa una sola specie di vegetali, come nel caso con aspidistra, non si può evidenziare che il gruppo shu-fuku, nel lato yang, dev`essere composto da vegetali “più forti” rispetto ai vegetali del gruppo kyaku, poiché quest’ultimi sono nel lato yin della composizione e dunque devono essere “più deboli” dei vegetali del lato yang.

 

Questa differenza è palese nell’Heika hongatte a lato in cui il gruppo shu-fuku, essendo nel lato yang, è materiale legno “più forte” del materiale usato per il gruppo kyaku, fiori  che sono yin, ossia “più deboli”, rispetto al materiale legno del gruppo shu-fuku.

(C) Scuola Ohara

 

 

Nel periodo Tokugawa al Taoismo fu preferito il Neo-confucianesimo: la direzione dei  tre elementi principali venne cambiata e la composizione fu chiamata Seika.

L’unica scuola che non cambiò le direzioni dei tre elementi pricipali fu  l’ Ikenobo e chiamò la composizione Shoka.

Shoka                   Seika                      Seika                        Seika 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il simbolo che i tre elementi principali della composizione uniscono il cielo alla terra rimase nel Seika ma fu espresso in modo differente passando dal simbolismo taoista (yang-yin) al simbolismo del neo-confucianesimo preferito al taoismo dai Tokugawa per il quale il cielo è in alto, la terra in basso e l’uomo fra questi due.

 

– mentre nello Shoka, basato sullo schema taoista, questa unione simbolica è data dall’allineamento dei tre elementi sull’asse BB che unisce il cielo/sole alla terra nel taiji (fuku=cielo, shu=uomo, kyaku=terra)

– nel Seika, basato sullo schema del neo-confucianesimo, questa unione è dall’alto in basso per cui  l’elemento più alto venne chiamato cielo e di conseguenta quello intermedio uomo mentre l’elemento più basso rimane terra (shu=cielo, fuku=uomo, kyaku=terra)

(vedi anche art. 24°: shinto e ikebana)

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14 nageire o heika

La tradizione associa la creazione del Nageire con Sen no Rikyū ( alle dipendenze di Hideyoshi quale Maestro del Tè dal 1585 al 1591 ) e racconta che, durante una pausa in una campagna militare, il kampaku ordinasse a Rikyū di creare un ikebana .

Rikyū, non avendo a disposizione il materiale necessario, col suo pugnale tagliò fiori e foglie di Iris, li legò al manico del pugnale stesso lanciando il tutto in un piccolo mastello: la lama si conficcò nel fondo del mastello mantenendo gli iris diritti.

Hideyoshi lo complimentò dicendo:

“che bel nage-ire (= buttato dentro )”

Sen no Rikyū 1522 –  1591
nageire in un mastello

 

storicamente il Nageire appare circa 140 anni prima di quello che racconta la tradizione poiché nel Sendensho (più antico manoscritto sull’ikebana arrivato fino a noi, datato 1445) si usa già questo nome per le composizioni libere, non codificate come i Tatebana .

Utamaro ( 1753 – 1806)

esempio di rikka e di nageire

 Il Rikka rappresenta l’evoluzione del Tatebana e ne ha mantenute tutte le caratteristiche citate nello specchietto sopra.

esempi di nageire tratti da Utamaro, 1793

 

 

 dunque usando la parola NAGEIRE ci si riferisce al modo (libero, rispetto al Tatebana) di comporre: i vegetali, con caratteristiche differenti dai vegetali usati per il Tatebana, vengono “buttati dentro” in un vaso alto o basso .

Interessante sapere che i primi Moribana Ohara erano chiamati -Suiban Nageire- ossia Nageire (composizione libera) in un vaso basso (suiban), nome probabilmente scelto per evidenziare il distacco e l’uso più libero dei vegetali da parte della scuola Ohara, rispetto alle altre scuole ancora legate alla tradizione del tempo.

Attualmente la Scuola Ohara usa i termini:

 

° HEIKA

Hei=vaso, sottinteso alto + Ka=”fiori”,

per le composizioni in vaso alto, differenziandole dalle composizioni in vaso basso, chiamate Moribana .

Dunque la parola Heika si riferisce al tipo di vaso (alto) usato .

 

 

 

° NAGEIRE per le composizioni in vaso alto, equivalente ad heika, anche se la composizione non è libera, come indicava il termine quando è stato coniato, ma sottostà alle regole compositive equivalenti alle regole compositive del Moribana

Dunque la parola Nageire si riferisce al modo di comporre (in passato libero, attualmente codificato)

 

Tenendo presente il primo nome dato al Moribana (suiban Nageire) e il nome Nageire usato per le composizioni in vaso alto, i Moribana e gli Heika Ohara dovrebbero dare l`impressione di naturalezza, nonostante l`obbligo di seguire delle regole compositive, come se i vegetali fossero stati “buttati dentro”.

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13 la nascita dell’ikebana secondo le fonti storiche

Le fonti storiche mostrano che l’ikebana, con una struttura basata su regole, è nato durante il periodo Muromachi (1333-1568) grazie al patrocinio degli shogun Ashikaga.

Il 3° shogun Yoshimitsu, (1358-1408) favorì quelle arti che noi conosciamo come  “tradizionali giapponesi”.


Quando si ritirò dalla carica di shogun, egli fece costruire e si stabilì nel Padiglione d’oro, a Kitayama, sobborgo di Kyoto.

 

Del periodo in cui nasce l’ikebana abbiamo molteplici racconti legati alla tradizione tramandati dalla scuola Ikenobo ma poche informazioni storiche poiché gli attuali storici, conoscendo ancora poco  l’ikebana, si occupano finora in modo limitato del soggetto. Una delle caratteristiche di questo periodo è il termine basara (ostentatazione, eccesso, stravaganza) e l’inizio dell’ikebana parte proprio da quei samurai basara come Sasaki Dōyo (1306-1373), shugo al serivio del primo shogun Ashikaga Takauji, che ha raccontato nei suoi diari i raffinati festini dell’aristocrazia guerriera in cui si esponevano i tatebaba, si gareggiava nel citare poesia o indovinare i nomi dei profumi bruciati negli incensieri opoure la provenienza dei vari tè che venivano serviti con saké e prelibati cibi; Sasaki ha anche scritto un  libro sull’etichetta dei Tatebana che viene indicato col titolo Tatebana Kuden Daiji ( al giorno d’oggi il kanji tatebana viene letto rikka ).  vedi Art. 54°

Suo nipote, 8° shogun, Yoshimasa (1443-1473) porta queste arti al massimo splendore e le rende “tipicamente giapponesi”; anche lui, quando si ritira dalla carica di shogun, si fa costruire e prende residenza nel padiglione d’argento, nella zona di Kyoto chiamata Higashiyama.

 

L’importanza di questi due shogun, rispetto ai 15 shogun Ashikaga che ebbero il potere nel periodo Muromachi, è tale che la cultura di tutto questo periodo è suddivisa in soli due parti che prendono il nome dalle loro residenze, ossia:

cultura Kitayama (1333-1450), residenza di Yoshimitsu

e cultura Higashiyama (1450-1568), residenza di Yoshimasa

Nella gerarchia militare del tempo non era possibile che un Militare di grado inferiore allo shogun fosse più colto di questo in qualsiasi campo perciò gli Ashikaga avevano alle loro dipendenze i dōbōshῡ (attendenti), la maggior parte monaci buddhisti di umili origini, i quali prendevano i voti ma non entravano stabilmente in un monastero e, pur essendo monaci, continuavano il modo di vivere che avevano prima di ritirarsi dalla vita pubblica (ad esempio, se erano sposati, continuavano a vivere in casa loro con moglie e figli). Essi erano monaci-laici e, pur avendo la testa rasata come gli altri monaci, erano vestiti con colori sgargianti ( mentre i monaci buddisti erano in nero ), potevano portare la spada all’interno del palazzo shogunale ed erano gli uomini colti e guida culturale di quel tempo .

 

 

All’inizio del periodo Ashikaga, buona parte dei dōbōshῡ appartenevano alla setta Ji, fondata dal monaco Ippen a metà del 1200, i cui membri, quando fu fondata la setta, avevano la mansione di accompagnare i Daimyō nelle battaglie con il compito di curare i feriti, recitare le preghiere per i morti, comunicare ai clan l’avvenuto decesso e consegnare l’armatura del defunto. Erano caratterizzati dal nome che finiva con AMI, in onore del Buddha Amida (vedi, per i dettagli, articolo 33°: l’ikebana e la storia)

Nei momenti di non-battaglia intrattenevano i samurai con poesie, cerimonie del tè e dell’incenso, organizzavano gli inviti e si occupavano degli ospiti.

Col passare del tempo, le mansioni di “intrattenimento culturale” prevalsero sulle altre ed essi divennero gli attendenti esclusivi degli shogun Ashikaga.

 

I dōbōshῡ erano gli uomini colti del tempo,  arbitri del gusto e consiglieri estetici degli shogun, e ognuno di loro era esperto d’arte o come poeta o come pittore o ikebanista o come costruttore di giardini o come curatore e restauratore dei preziosi oggetti della collezione artistica shogunale (come i “tre Ami”, nonno-padre-figlio Noami, Geiami, Soami) .

 

La loro cultura, patrocinata dagli Ashikaga, era diventata quella egemone e questo fatto aveva permesso alla classe dei samurai di uscire dalla posizione culturale subalterna a quella della Corte Imperiale, unica fonte di cultura fino a questo periodo storico.

I dōbōshῡ si occupavano di catalogare le collezioni private degli Ashikaga, la stragrande maggioranza di origine cinese, dal vasellame, ai dipinti, ai disegni, e fra i loro compiti c’era anche quello di preparare le sale dei banchetti per gli ospiti dello shogun, addobbandole con “pezzi rari cinesi” (karamono) della collezione shogunale.

 

 

 

dipinto in cui sono visibili i karamono esposti, vasi cinesi che non contengono ancora dei vegetali

 

 

Durante i ricevimenti, contro la parete principale che ospitava gli oggetti esposti su scaffali, si cominciò a mettere anche una triade di dipinti (kakemono) sacri , in cui quello centrale rappresentava sempre Buddha; ai suoi piedi si metteva un tavolino rialzato (oshi-ita) con i tre “oggetti sacri”, mitsugusoku, ossia un incensiere, un candelabro e un vaso con fiori (il vaso era molto più importante dei fiori)

Questo modo di disporre i tre o cinque kakemono lo si faceva da tempo ma solo in ambito religioso: a lato disegno datato 1160 che mostra una cappella della setta buddhista Shingon, fondata da Kukai (774-835) in cui sono visibili 5 kakemono con davanti 5 tavolini con incensieri. I dōbōshῡ hanno trasferito questo modo di disporre i kakemono da un luogo sacro alla dimora laica dello shogun.

È da questa abitudine, formalizzata nella seconda metà del 1400 sotto il patrocinio dell’ottavo shogun Ashikaga Yoshimasa, che nasce l’ikebana: il tavolino con i tre oggetti sacri diventa il tokonoma e contemporaneamente i vasi con i fiori diventano sempre più importanti e il loro contenuto vegetale viene strutturato: da un vaso unico si passa a tre vasi.

o anche cinque, nelle situazionii molto formali;

Col passare del tempo, l’incensiere e il candelabro perdono di importanza e non vengono più messi nel tokonoma, lasciando solo i tre vasi il cui contenuto vegetale comincia ad essere strutturato con quelle regole che governano la costruzione di un ikebana ancora ai giorni nostri. All’inizio erano importanti i vasi che venivano esposti per la loro bellezza mentre i fiori avevano una parte secondaria; ora sono i vegetali che hanno assunto importanza maggiore e i vasi sono scelti in funzione dei vegetali: questi sono costruiti in modo specifico per contenere i vegetali dei tatebana/rikka.

composizione di-destra/hongatte                                             composizione di-sinistra/gyakugatte

Come spiegato nel 5° articolo (relazione fra ikebana e ambiente), la definizione delle composizioni “di-destra” (hongatte) e “di-sinistra” (gyakugatte) è associata alla loro posizione rispetto al dipinto centrale con Buddha nel tokonoma.

 

Questa “nascita” dell’ikebana avvenne nella seconda metà del 1400. Mettere dei fiori davanti agli altari è abitudine comune in tutte le religioni ma metterli strutturati con regole è avvenuto solo in Giappone: le offerte floreali a Buddha avvengono in tutto il mondo buddhista e dal cinquecento alla metà del 1400 (ossia per circa 900 anni) non esistono fonti storiche che descrivano dei fiori o rami disposti con delle regole nei vasi; le prime forme “strutturate” di ikebana (Tatebana) appaiono solo a metà del 1400 in concomitanza dell’apparire del tokonoma: quindi l’ikebana nasce in ambito “laico” nelle dimore dello shogun (ove il kakemono con Buddha non serviva da altare davanti al quale si pregasse realmente ma solo per dare importanza agli oggetti esposti).

 

Ad eccezione dei rikka fatti comporre a lato del Grande Buddha di Nara da Hideyoshi (che in fondo erano in onore di sé stesso e non del Buddha) vedi dipinto con le proporzioni dei due Rikka più alti della sua testa non esistono descrizioni che parlino di ikebana sugli altari di qualsiasi setta buddhista; anche gli Ikenobo non hanno mai messo degli ikebana nel Rokkakudo ma le loro esposizioni avvenivano sempre in altri edifici.

 

Dunque l’ikebana storicamente provato appare e diventa un’arte nell’ambito della decorazione e disposizione (kazari) degli oggetti preziosi degli shogun Ashikaga.

 

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12 la nascita dell’ikebana secondo la tradizione

la nascita dell’ikebana è associata a personaggi storici realmente vissuti ma il cui coinvolgimento con l’ikebana è storicamente improbabile.

Nel periodo Azuka (552-710 d.C.) viene eletta imperatrice Suiko, prima donna-tennō delle otto imperatrici che hanno regnato in Giappone e che rimane al potere dal 593 al 628 d.C.(vedi articolo n° 11)

Essa nomina Reggente suo nipote Shotoku Taishi, nel disegno accanto con due dignitari, disegnati più piccoli per evidenziare la sua importanza, secondo figlio dell’imperatore Yōmei, importante figura che favorì l’introduzione del buddhismo alla Corte imperiale e, secondo la tradizione, scrisse la prima Costituzione giapponese dei 17 articoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osservando gli abiti e le pettinature, è evidente  l’influsso cinese sulla Corte imperiale giapponese in quel periodo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tradizione racconta che Shotoku Taishi, fervido buddhista, portava sempre con se una statuetta della dea della compassione Kannon; durante un suo viaggio, accalorato, si fermò per rinfrescarsi in uno stagno ma quando volle rivestirsi e ripartire, la statuetta era diventata pesantissima perciò passò la notte vicino allo stagno e sognò che Kannon desiderava che in quel luogo fosse costruito un tempio in suo onore

 

 

 

 

 

 

Taishi fece costruire il tempio Rokkakudō (tempio esagonale) in una zona che, circa cento anni dopo, sarà  scelta come sede della Corte imperiale e chiamata Heian-kyō, l’attuale Kyoto. Gli storici concordano che il Rokkakudō fu costruito nella capitale più di 170 anni dopo la morte di Taishi -avvenuta nel 622-, quando la nuova capitale esisteva già. . Il Rokkakudō è la sede storica della Scuola Ikenobō.

 

 

 

banconote giapponesi mostranti sia Shotoku Taishi che il Rokkakudō

 

 

 

 

 

Alla guida di due ambasciate in Cina, nel 607 e 608,  viene messo ONO NO IMOKO, nipote dell’imperatore Bidatsu (538-585) e cugino di Taishi. Il suo ritorno dalla seconda ambasciata è storicamente documentato ma questa è l’ultima notizia storica che si ha di lui: dal suo rientro dalla Cina in poi, non viene più citato in nessuna fonte.

 

 

 

 

 

 

Il messaggio imperiale giapponese, portato da Imoko all’imperatore cinese Yang nella prima ambasciata, probabilmente irritò quest’ultimo poiché metteva sullo stesso piano i due imperatori mentre la Corte imperiale cinese riteneva il giapponese un popolo insignificante e barbaro; il testo consegnato da Imoko iniziava con le parole:

“il figlio del Cielo dove nasce il sole (ossia l Giappone) al figlio del Cielo dove il sole tramonta (ossia la Cina)………”

probabilmente irritò quest’ultimo poiché metteva sullo stesso piano i due imperatori, mentre la Corte imperiale cinese riteneva il giapponese un popolo insignificante e barbaro.

Quando Ono no Imoko rientra dalla seconda ambasciata, Taishi era morto e a questo punto subentra la tradizione che afferma: Ono no Imoko prese i voti diventando abate del  Rokkakudō assumendo il nome da monaco buddhista SENMU e si racconta che cominciò a creare delle offerte floreali all’altare di Buddha come aveva imparato in Cina.

 

 

 

 

 

attuale Rokkakudō, Kyoto

 

 

 

 

 

Sempre secondo la tradizione, egli viveva in una capanna presso uno stagno situato vicino al Rokkakudō, fatto che ha dato origine al nome Ike no bō (=capanna presso lo stagno); gli abati che lo seguirono nella guida del Rokkakudō continuarono ad occupersi e a sviluppare quest’arte che nel periodo Edo venne chiamata ikebana e, sin dal secondo abate, assunsero dei nomi da monaci che iniziano tutti con SEN, abitudine giunta fino ai giorni nostri.

Storicamente, il nome (Senkei o Senei) Ikenobō appare per la prima volta in un diario del monaco buddhista di Kyoto, Hekizan Nichiroku, in data 25 febbraio 1462, in cui si dice che molta gente ha visto delle composizioni in un vaso d’argento eseguite dal monaco Senei Ikenobō.

Dal 608, data storica in cui Ono no Imoko rientra dalla seconda ambasciata (e si ritira, secondo la leggenda, nel Rokkakudō assumendo il nome di Senmu) fino al 1462, anno in cui appare per la prima volta il nome ikenobō, questo nome non è mai citato in nessuna altra fonte storica a noi pervenuta.

Dato storico certo è che Senkei Ikenobō era al servizio dello shogun Yoshimasa e che nel 1479 questi lo nomina

Dai Nippon Kado no Iemoto  (colui che origina l’ikebana)

dimostrando la  preferenza per i Tatebana da lui creati rispetto a quelli dei dōbōshū della setta Ji, monaci-laici alle sue dipendenze, che per primi hanno creato i Tatebana.

Lo scritto più vecchio che ci è pervenuto in cui si parla di “disporre/mettere diritti” dei fiori è datato 20 aprile 1476: in un diario si dice che Yoshimasa, in occasione di una sua visita  al Palazzo Imperiale, chiese al suo dōbōshū Ryūami di “mettere diritti” (tateru) delle peonie, azione che viene descritta anche in altre pagine con altri fiori.

I dōbōshū ( vedi articolo 33 ), primi “creatori” di Tatebana, spariscono con la caduta degli Ashikaga e gli Ikenobō, ora gli unici che si occupano di quest’arte, iniziano quell’egemonia nel campo dell’ikebana che durerà  fino alla metà  del periodo Edo, quando nascono le altre scuole, tutte derivanti dalla scuola ikenobō.

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11 Tenno donne del Giappone

messo in rete l’otto marzo, festa della donna

 

L’istituzione monarchica giapponese è la più antica del globo e si è perpetuata quasi nella sua totalità per linea ereditaria maschile ad eccezione di pochi casi in cui sono divenute Tenno alcune figlie o mogli di Imperatori o donne parenti della Famiglia Imperiale e sempre solo con lo scopo di preservare il trono nella Famiglia, mai per libera scelta. La Famiglia Imperiale non ha cognome e tutti i Tenno sono conosciuti solo con il loro nome postumo, dato loro dopo la morte .
 
I primi 42 Imperatori di cui parla la tradizione risiedevano in altrettante sedi di dimensioni di un villaggio; siccome lo shintoismo considera impuro sia il sangue che la morte, alla morte dell’imperatore il villaggio, diventato impuro, veniva abbandonato .
 
 
 
 

Ci furono 8 Tenno donna :
 
periodi
ASUKA  552-710     cinque imperatrici :     1) SUIKO , 2) KOGYOKU  / SAIMEI
 
 
3) JITO 4) GEMMEI
 
 
NARA 710-794 tre imperatrici :       5) GENSHO 6) KOKEN / SHOTOKU

HEIAN 794-1185
KAMAKURA 1185-1392
MUROMACHI 1392-1568
MOMOYAMA 1568-1600

EDO 1600-1868 due imperatrici :      7) MEISHO 8) GOSAKURAMAKI

Dei 125 TENNO della storia ufficiale , otto furono donne e due di esse lo furono due volte con nomi diversi ; perciò il Giappone ufficiale ebbe per dieci volte delle Imperatrici.

 
 
 
 
 

 

Nella mitologia giapponese si parla di regine-sciamane che detenevano il potere;
ad esempio fu JINGO che guidò la prima invasione della Corea; essa era incinta e per permettere a suo figlio (futuro imperatore OJIN) di nascere in Giappone, la gravidanza durò 14 mesi e si sostiene che egli “guidò” dal grembo materno sua madre nelle battaglie; per tale motivo, alla sua morte, OJIN venne identificato con HACHIMAN, dio della guerra .
 
 
 
 
 
 
 
 
statuetta rappresentante Jingo
Nara, tempio di Hachiman
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il titolo TENNO ( 天皇 TEN=cielo , 0=sovrano ) è stato coniato da Shotoku Taishi  nella missiva per l`imperatore cinese portata da Ono no Imoko (a cui la tradizione associa la nascita dell’ikebana tramite l’inizio della dinastia degli Ikenobo vedi art. 12°) riferendosi alla 1ª Imperatrice  Suiko (33-esimo Tenno della lista ufficiale, regnò dal 593 al 628), sotto il cui regno si iniziarono le ambasciate con la Cina.
 
 
 

Nel pensiero politico cinese l’Imperatore lo era per Mandato Celeste ossia il suo compito era di assicurare l’armonia fra le forze celesti, quelle naturali e quelle umane; egli poteva effettuare queste mediazioni solo se dotato di virtù.
II Mandato imperiale veniva affidato dal Cielo e dal Cielo poteva venir revocato (e passare ad un’altra dinastia) se egli dava prova di non possedere queste virtù. Per evitare un cambiamento della Famiglia Imperiale (come avvenne in Cina) i nobili giapponesi sostennero che 1’imperatore non lo era per Mandato celeste ma poiché era discendente diretto della Dea Amaterasu.
 
 
 
periodo ASUKA  552-710

1ª donna Tenno: nel 592 UMAKO, capo del clan SOGA , fa assassinare l’Imperatore SUJIN e mette sul trono la nipote SUIKO, vedova di Sujin; è nominato Reggente un altro suo nipote SHOTOKU TAISHI (= Principe Santo), uomo colto e lungimirante  che favorì l’introduzione del buddismo a Corte e che la tradizione associa alla nascita dell’ikebana poiché Taishi fece costruire il Rokkakudo, tempio in cui si ritirò Ono no Imoko come primo abate Ikenobo.

La tradizione della “nascita dell`ikebana” è associata a questi personaggi storici realmente vissuti ma collegati all`ikebana da racconti probabilmente creati dagli Ikenobo quasi mille anni dopo  per ricostruirsi un passato importante e darsi una legittimità, quando questi divennero celebri con Senkei Ikenobo, citato per la prima volta nel 1462 come creatore di un Tatebana in un vaso d`oro .vedi art. 13°, la nascita dell’ikebana secondo le fonti storiche

2ª donna Tenno: alla morte di SUIKO salì al trono l’imperatore JOMEI ma alla morte di questi, nel 641, sempre per problemi politici, sua moglie principessa TAKARA salì al trono quale 35-esimo TENNO col nome di KOGYOKU; essa abdicò dopo 3 anni in favore del figlio Principe NAKA che, per poter governare veramente dietro le quinte, preferì rifiutare il titolo in favore del fratello di Kogyoku, che divenne Imperatore KOTOKU, che divenne il 36-esimo Imperatore della lista ufficiale.


Quest’ultimo mori nove anni dopo e, per la seconda volta, Kogyoku fu elevata 37-esimo Tenno assumendo il nome SAIMEI rimanendo Tenno fino alla morte nel 661.

3ª donna Tenno: nel 690, morto l’Imperatore TEMMU, divenne 41-esimo Tenno sua moglie col nome JITO, conosciuta pure come poetessa, con suoi waka inclusi nel Manyoshu. Essa si ritirò nel 697 per permettere al figlio MOMMU di assumere il trono fino al 707; quando questi morì, avendo suo figlio solo 6 anni, divenne Tenno sua moglie :

4ª donna Tenno col nome GEMMEI, 43-esimo Tenno, per otto anni;
Durante il suo regno la capitale fu trasferita a NARA e fu terminato il KOGIKI (= storia delle cose antiche ) primo libro sulla mitologia shintoista e sulla storia (mitizzata) dell’aristocrazia dello Yamato. Essa abdicò nel 715 in favore della figlia Principessa HIDAKA che divenne
 
 
periodo NARA 710-794
5ª donna Tenno , col nome  GENSHO 44-esima della lista ufficiale dal 715 al 724. Durante il suo regno fu scritto il NIHON SHOKI (= cronache del Giappone) che, come il KOGIKI, ripete (con delle varianti) ed estende la cronologia (mitizzata) della stirpe Yamato .

KOKEN fu la 6ª donna Tenno, la 46-esima della lista ufficiale, dal 749 al 758 .
Abdicò in favore di un suo figlio quando si ammalò gravemente; durante la sua malattia fu curata da un monaco buddista – Dokyo – che la guarì; essa si innamorò del monaco e lo assunse quale consigliere.
Guarita, riuscì a prendere il trono una seconda volta nel 764 assumendo il nome SHOTOKU, 48-esimo Tenno, e istallò a Palazzo il suo amante-monaco (che si comportava come se fosse lui l’Imperatore) nominandolo Capo dei Ministri. Fortuna per la Corte essa morì nel 770 e Dokyo fu subito allontanato. Come conseguenza del comportamento di quest’ultimo Tenno donna, da allora e per più di 800 anni, si evitò di nominarne altre; infatti nessuna donna venne eletta alla funzione di Tenno nei periodi
HEIAN         794-1185
KAMAKURA    1185-1392
MUROMACHI 1392-1568
MOMOYAMA 1568-1600
 
periodo EDO 1600-1868
Solo durante il periodo Edo (1600-1868 ) , nel 1629, fu eletta la 7ª donna Tenno, una bambina, che assunse il nome MEISHO , 109-esima della lista ufficiale.
II secondo Shogun Tokugawa HIDETADA aveva dato in sposa sua figlia Kazuko all’Imperatore Gomizu-noo quale gesto di riconciliazione fra il sempre più potente Shogunato e le decadenti (e senza soldi) Istituzioni Imperiali.
L’ Imperatore, per poter incassare qualche soldo, vendeva dei privilegi ai monaci quali il poter indossare delle vesti di determinati colori riservati alla nobiltà: lo Shogun gli proibì tale pratica ed egli abdicò in favore di sua figlia (e nipote dello Shogun ) Principessa Okiko, di soli 6 anni, per mettere in una situazione imbarazzante lo Shogun che si trovava a dover sottostare (solo in teoria ma le apparenze erano importantissime ) a una bambina e per di più sua nipote. Essa fu Tenno (sotto la reggenza di un Fujiwara) per 14 anni, poi abdicò in favore del fratellastro e si fece monaca

8ª e ultima donna Tenno, la 117-esima della lista ufficiale, salì al trono a 22 anni col nome GO-SAKURAMACHI e mantenne questa carica dal 1762 al 1771.


Essa era la sorella dell’Imperatore Momozono che morì a soli 22 anni lasciando un figlio di soli quattro anni. Essa tenne il trono fino a quando il nipote compì dodici anni e fu nominato Tenno. Di lei si sa poco, solo che era un’ottima calligrafa.

Da allora non ci furono più donne Tenno e la Casa Imperiale stabilì nel 19° sec. che nella Famiglia Imperiale solo il primogenito maschio potesse assumere il ruolo di Tenno, regola che potrebbe essere cambiata avendo l`attuale tenno solo due figlie.
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10 etica dell’ikebanista/Ka-dō

attenzione: fra i molteplici kanji omofoni pronunciati KA uno è:

dunque   Ka-dō, scritto in rōmaji e fuori contesto,  può significare   -la via dei “fiori”-  oppure    -la via della poesia-

 

 

 

Quando l’ikebanista ha imparato le regole basilari dell’ikebana e non è più preoccupato di “sbagliare” mentre compone, facendo una scelta cosciente può utilizzare quest’arte quale “via di liberazione” e vedere quello che fa – il comporre un ikebana – sotto il punto di vista del Ka-dō il cui scopo ideale è il raggiungimento di un particolare stato d’animo, del dominio del proprio corpo, di una disciplina del comportamento, tutte caratteristiche che, esercitate e sviluppate praticando l’ikebana come Ka-dō, entreranno nel proprio quotidiano e saranno messe in pratica anche nelle altre situazioni della propria vita.

Nella vita di tutti i giorni indossiamo varie maschere e corazze.

Nell’imparare a creare un ikebana varie sfaccettature del nostro carattere emergono mentre si esegue la composizione: timidezza, aggressività, ansia di non riuscire, paura di sbagliare, convinzioni di avere “buon gusto”, difficoltà nell’accettare le correzioni dell’insegnante, paragone con le composizioni create dagli altri allievi, ansia di finire, disordine attorno alla composizione, ecc.

Il rendersi conto di questi lati del nostro carattere è il primo passo verso il cambiamento, l’illuminazione (satori) buddhista.

 

Per un ikebanista con mentalità occidentale, il praticare l’ikebana nello spirito del Ka-dō è un tentativo di raggiungere una calma interiore ed imparare a concentrarsi oppure migliorare la propria etica personale, così che anche senza raggiungere “l’illuminazione” si può migliorare la propria qualità di vita .

 

L’ideale atteggiamento mentale e corporeo dell’ikebanista che segue il Ka-dō è il seguente:

– Calma, bellezza, precisione del gesto:

mettersi in stato di pacificazione interiore, calmare le turbolenze concentrandosi su ciò che si sta facendo, rimanere concentrati e considerare il tempo e il luogo in cui si esegue una composizione, a scuola come a casa, non per “produrre in modo competitivo un bel ikebana” ma per dedicare del piacevole tempo a sé stessi entrando in contatto con i vegetali che usiamo, oggetto non di possesso, da sfruttare, o di messa in evidenza della nostra “bravura nel comporre”, ma in quanto vegetali vivi che meritano tutto il nostro rispetto.

 

– Considerare l’insieme dei vegetali che devono essere in armonia; ad esempio non lasciarsi attirare da un singolo ramo che noi riteniamo “bello” e adattare con difficoltà tecnica il resto della composizione a quel ramo ma saper sacrificare l’esclusività di un ramo sostituendolo con un altro in favore della riuscita dell’intera composizione. Chi segue la Via vive in armonia col resto del mondo e non pretende di essere il centro a cui tutto e tutti devono adattarsi.

 

– Una delle prime tappe da percorrere lungo il Ka-dō è liberarsi dai condizionamenti come “questo mi piace” o “quello non mi piace”, udito occasionalmente fra chi segue le prime lezioni d”ikebana, sia riferito ai vegetali usati sia riferito alle composizioni degli altri allievi.

 

-Concentrarsi su ciò che si sta facendo, tralasciando di pensare ai problemi quotidiani passati o futuri: importante è il  -qui e ora-, importante è quello che faccio qui, in questo luogo e non quello che ho fatto o che farò in altri luoghi, a casa, sul posto di lavoro, dal dentista, in cucina, in automobile ed ora, in questo momento e non quello che ho fatto la volta scorsa – ad esempio una composizione che non mi ha soddisfatto e la scontentezza, legata alle sue difficoltà tecniche, che mi trascino addosso – o che farò la prossima volta – una composizione stupenda che tutti ammireranno. Il mantenere la mente al -qui e ora- è una delle tappe della Via.

 

– Chi non segue la Via è concentrato solo sulla composizione e dimentica di trattare i vegetali, gli oggetti e le persone come lui vorrebbe essere trattato.

 

i vegetali

Di solito diamo molta considerazione ai vegetali, o parte di essi, che entrano nella composizione rispetto a quelli che scartiamo, considerati ingombranti, fastidiosi, da sbarazzarsene il più presto possibile; ai nostri occhi quelli usati nella composizione saranno ragione dei complimenti che riceveremo mentre quelli scartati non servono a mettere in luce la nostra bravura di ikebanisti.

 

Chi sta seguendo la Via considera sia quelli che entrano nella composizione che quelli che non vi entrano allo stesso modo e dà la stessa attenzione e cura nel non lasciarli cadere a caso, nel non calpestarli, nel raggrupparli se sono caduti per terra usando scopa e paletta.

 

Anche i vegetali della composizione finiranno per essere gettati, ma quelli sono serviti a rafforzare il nostro Ego mentre quelli scartati non sono stati utilizzati per questo scopo e dunque sono ingiustamente ritenuti “inutili” e trattati di conseguenza.

 

gli oggetti

Quelli che usiamo meritano lo stesso trattamento dei vegetali perciò chi segue la Via sarà cauto nell’uso dei vari oggetti facendo attenzione a non far rumore mettendo le forbici sul tavolo – in Giappone si usa una pezzuola per posarvi le forbici in modo da attutirne il rumore -; il tavolo deve rimanere pulito attorno alla composizione come pure il pavimento; se il loro uso è necessario, scopa e paletta devono essere usati coscientemente.

 

le persone

Alcuni ikebanisti principianti hanno la tendenza a valutare in modo critico le composizioni dei vicini oppure, quando l’insegnante corregge la composizione, elencano le loro buone ragioni per cui quel vegetale, che l’insegnante ha corretto, era stato messo in quel modo. Lo spiegare le buone intenzioni da parte dell’allievo non modifica le ragioni della correzione.

 

Gusty Herrigel nel suo libro – Lo Zen e l’arte di disporre i fiori – nella sua seconda lezione, dopo che il Maestro ha tolto i vegetali dal vaso e rifatto la sua composizione, scrive:

“Perché, mi chiedevo, il Maestro non può tener conto della psicologia dell’europeo che non ammette a priori di essere incapace di riuscire?”

 

Chi segue la Via è più clemente con gli altri allievi, si astiene dalle esternazioni e non percepisce la correzione come una “critica personale“ ma come un aiuto offerto per migliorare la propria tecnica e comprensione dell’ikebana: ascolta in silenzio la correzione e la spiegazione dell’insegnante e ne farà buon uso in futuro.

 

Gli insegnamenti dello Zen, e di conseguenza quelli del Ka-dō, sono trasmessi tramite la dimostrazione e pochissimo tramite le parole.

 

Ricordare il “sermone silenzioso del fiore”, ritenuto l’inizio della corrente Zen, che fece Buddha sul Picco dell’Avvoltoio: alla domanda dei seguaci di tenere un sermone, Buddha rispose con un atto silenzioso, mostrando solo un fiore.

In Giappone la correzione veniva eseguita senza che il Maestro desse delle spiegazioni: era sufficiente eseguirla senza che né Maestro né allievo avessero bisogno di parlare.

Pazienza, umiltà, serenità, rispetto, armonia sono caratteristiche di chi segue la Via.

 

– Benché sia difficile fare silenzio durante le lezioni, chi segue la Via tenta di farlo; il silenzio permette la propria concentrazione e quella delle persone che ci attorniano. Col silenzio si mostra rispetto per sé stessi, per l’insegnante e per le altre persone presenti e aiuta a sottolineare la “sacralità” di ciò che si sta facendo.

– Chi segue la Via è cosciente di come usa il proprio corpo: economizza i gesti tralasciando il superfluo. Il gesto nella scelta dei vegetali, nel misurare la lunghezza e inclinazione appropriata, nel manipolarli, nel prendere e posare le forbici senza rumore, nel togliere il superfluo, nell’inserirli nel contenitore dev’essere preciso ed è paragonabile ai kata eseguiti nelle Arti Marziali: esercitarsi coscientemente a ripetere continuamente i movimenti specifici li rende spontanei ed eseguibili automaticamente.

Questi gesti, con le ideali caratteristiche descritte, sono il risultato di una lunga osservazione attenta del vegetale, di un istinto educato all’armonia ma sopratutto della forza interiore liberata dall’Ego.

Se siamo concentrati su ciò che facciamo non dovrebbe cadere niente per terra; se ciò succede, per l’ikebanista che segue la Via, il fare pulizia ha la stessa importanza dell’atto creativo del comporre l’ikebana.

 

– lo “smontare” la composizione finita è un’azione equivalente alla distruzione di un Mandala che rammenta all’ikebanista l’impermanenza e la transitorietà delle cose e delle persone: è importante imparare a “lasciare andare” senza rimpianti ciò che in ogni modo non può essere trattenuto.

 

Da evidenziare che questa disciplina formativa del proprio carattere, questa via di realizzazione personale e di liberazione basata sulla pratica dello zen, non ha niente a che fare con la religione come intesa da un cristiano; il Ka-dō può essere seguito indipendentemente dalla religione professata dall’ikebanista poiché i valori da esso promulgati – concentrazione, economia dei gesti, silenzio, armonia, rispetto, serenità, pazienza, umiltà, considerazione dell’altro – benché condivisi dalle religioni, non sono religiosi per sé stessi.

 

molto interessanti i libri di Aldo Tollini

– L’IDEALE DELLA VIA, Samurai, monaci e poeti nel Giappone medioevale

– LA CULTURA DEL TÈ IN GIAPPONE E LA RICERCA DELLA PERFEZIONE

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09 feng-shui e ikebana

Il Feng-Shui (vento-acqua) si occupa della interazione corretta dell’essere umano con il suo ambiente naturale ed è l’arte di individuare e interpretare l’azione delle energie cosmiche Ki (elettromagnetiche, termiche e gravitazionali) che circolano nell’essere umano e nel suo ambiente principalmente tramite l’aria (respiro nell’uomo, vento in natura) e l’acqua (sangue nell’uomo, fiumi in natura).

 

Nell’antica Cina e Giappone, la natura era considerata come un organismo che vive e respira .

 

Questo kanji rappresenta l’energia vitale che scorre nell’universo e anima sulla terra ogni forma d’esistenza -sassi e rocce compresi- ed è scritto Ki (sistema di traslitterazione Hepburn) o Ch`i (sistema Wades-Giles) oppure Qi (sistema PinYin).  vedi articolo 50° sulla traslitterazione della lingua giapponese

 

Il Ki può essere “buono” o “cattivo”, accumulato, disperso, incanalato, ed è responsabile di tutti i mutamenti nell’universo e si manifesta tramite i due princìpi Yin e Yang che controllano l’universo, non in modo arbitrale o casuale ma tramite leggi immutabile e umanamente imperscrutabili.

 

Questa visione dell’universo può apparire irrazionale e non scientifica ma ha influenzato moltissimo la quotidianità e la cultura sia cinese che giapponese .

Ad esempio la forza vitale Ki è sempre stata usata per definire un artista poiché il Roppo (sei cànoni di HSIEH HO) mette quale prima e più importante norma il fatto che l’artista esprima il Ki suo e dell’opera.   vedi articolo 7°

Uno dei compiti del feng-shui è localizzare “le linee del drago” che trasportano l’energia terrestre, ossia individuare le linee di energia della terra, paragonabili ai meridiani del corpo umano considerati dall’agopuntura, catturando l’energia benefica del luogo scelto e allontanandone quella malefica, ad esempio indicando la corretta posizione di una tomba o una casa o una città.

Maestri del feng-shui cinesii che cercano le linee del drago (4° figura da destra consultando una bussola su un tavolino) tardo periodo Chìng, fine 19° sec.

 

 

 

 

Le antiche capitali Nara, Nagaoka e Heian-kyo -l’attuale Kyoto- sono state costruite seguendo le regole del Feng-Shui, come pure il castello dei Tokugawa attorno al quale nacque, disordinatamente e senza seguire il feng-shui,l’attuale Tokyo; costruzioni come i Palazzi Imperiali, le dimore dei nobili e persino tutti gli elementi componenti i loro giardini, dai sassi ai viottoli allo stagno ai ruscelli alle cascate e agli alberi,  sin dall’antichità erano disposti seguendo queste regole.

 

La teoria del Feng-Shui è molto complessa e si basa sulla Teoria dello Yang-Yin, sui 12 animali dello zodiaco cinese, sui 5 elementi (fuoco, legno, terra, acqua e metallo) e sui 64 esagrammi dell’I-Ching.

L’importanza del Feng-Shui era tale che, ad esempio, si pensava che anche se solo uno dei grandi sassi del giardino fosse mal posizionato avrebbe avuto la conseguenza di non proteggere la casa dalle energie malefiche e tale inadempienza poteva causare malattie o persino la morte del proprietario.

 

Anche l’ikebana, come tutto ciò che è stato prodotto dalla cultura giapponese, si è sviluppato rispettando le regole del Feng-Shui; in particolare quella inerente le quattro Divinità Cardinali protettrici e quella riguardo l’evitare le linee rette.

 

1- Le 4 DIVINITÀ CARDINALI

nell’antica Cina, e di conseguenza nell’antico Giappone, le stelle del firmamento erano raggruppate, secondo le quattro stagioni, in quattro grandi costellazioni: quella della tartaruga, tigre, fenice e drago.

 

costellazione della Tartaruga con il carro dell’Orsa Minore e la Stella Polare visibile in basso a destra

 

 

Questi stessi animali, posizionati in concordanza simbolica (secondo il Tai-ji) con le direzioni e colori,  Nord tartaruga nera, Ovest tigre bianca, Sud fenice rossa ed Est drago blu, hanno il compito di “proteggere” la persona, la tomba, la casa dalle forze negative.

Contrariamente all’Occidente  che pone il sud in basso e nord in alto, nell’antichità in Oriente la posizione delle due direzioni cardinali era invertita, perciò sulle cartine geografiche e nella simbologia taoista la tartaruga nera che protegge il nord è messa in basso e la fenice rossa che protegge il sud, in alto. (vedi articolo 15°

 

 

 

concetto occidentale

 

 

 

concetto sino-giapponese

 

in Cina e Giappone, il sud -che corrisponde al sole- era ritenuta la direzione più importante perciò considerato yang mentre il nord, suo opposto e meno importante, era ritenuto yin; per questa ragione nelle antiche bussole usate nell’Estremo Oriente, l’ago magnetico (punta rossa nella foto)  indicava il sud.

 

 

 

 

Anche l‘est è ritenuto yang poiché il sole, che nasce a est,  sale nel firmamento e irradia più calore: salita e aumento sono  caratteristiche yang, mentre il suo opposto ovest è ritenuto yin, direzione in cui il sole diminuisce nel calore e scende, diminuzione e discesa sono connotazioni yin.

Nella realtà, la -persona, casa, tomba- dev’essere rivolta verso il sud geografico attorniata dai quattro animali-simbolo che la proteggono; sia il tipo di animale che la sua posizione sono coerenti col Tai-ji, avendo due animali che volano nel lato Yang/cielo (est e sud)  drago e fenice e due animali terrestri nel lato Yin /terra (nord e ovest) tartaruga e tigre.

a lato l`esempio di disposizione di una tomba protetta a nord dalla tarta ruga (montagne alte) a ovest dalla tigre (colline) a est dal drago (montagne di media altezza ) e a sud dalla fenice (spazio vuoto e acqua)  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

schema di un sarcofago di imperatori cinesi con i 4 animali protettori incisi sulle sue pareti

 

 

 

 

Un edificio, affinché questi si trovi in una situazione protetta, deve “guardare” verso Sud e davanti ci dev’essere uno spazio vuoto (la Fenice rossa), dietro a Nord un edificio molto alto (la Tartaruga nera), al suo fianco destro a Ovest un edificio basso (la Tigre bianca) e al suo fianco sinistro a Est un edificio un poco più alto (il Drago blu).

 

 

 

 

 

Applicate ad una persona, questa, per essere protetta, deve avere un oggetto alto alla sua sinistra (simboleggiato dal Drago) e un oggetto basso alla sua destra (simboleggiato dalla Tigre) dello spazio libero davanti (Fenice) e una     parete dietro (Tartaruga).

 

 

 

Le antiche capitali Fujiwara (694-710), Nara (710-784), Nagaoka (incompiuta e abbandonata dopo 10 anni) e Heian-kyo (794-1868) -l’attuale Kyoto, mappa a lato-  come pura la prima capitale shogunale di Kamakura (1192-1333) sono state costruite seguendo le regole del Feng-Shui vedi Art. 17° , come pure il castello dei Tokugawa attorno al quale nacque, disordinatamente e senza seguire il feng-shui poiché non prevista come capitale, l’attuale Tokyo; costruzioni come i Palazzi Imperiali, le dimore dei nobili e persino tutti gli elementi componenti i loro giardini, dai sassi ai viottoli allo stagno ai ruscelli alle cascate e agli alberi,  sin dall’antichità erano disposti seguendo queste regole. 

 

 

 

 

mappa dell’antica Edo (attuale Tokyo) con uno spazio apparentemente libero al centro segnato con lo stemma dei Tokugawa ( tre foglie di Altea) ove sorgeva la loro residenza, con al suo sud  direzione più importante le principali abitazioni dei daimyo -disposte sull’asse nord/sud- affiancate una all’altra, il tutto attorniato dal resto della città cresciuto disordinatamente poiché Edo non è nata come città capitale

 

 

 

paraventi di Hasegawa Tōhaku (1539 – 1610)

 

 

 

I due animali protettori drago e tigre erano frequentemente dipinti sui paraventi o sulle porte scorrevoli

 

 

porte scorrevoli di Nagasawa Rosetsu (1754–1799)

 

 

 

 

 

 

 

due paraventi a sei ante

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

trittico di Kano Tsunenobu (1636–1713)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

nel periodo Edo era di moda regalare un trittico con al centro il disegno  di personaggi famosi, al suo lato sinistro -lato yang- il drago -animale yang- e al suo lato destro -lato yin- la tigre -animale yin- che lo proteggono

 

 

 

 

 

 

 

 

paraventi di Eitoku Kanō ( 1543 – 1590)

 

 

 

 

 

 

 

oppure dei paraventi con il drago e la tigre.

Siccome i disegni su carta, sui paraventi e porte scorrevoli si “leggono” da destra a sinistra, il drago yang/più importante è messo per primo alla nostra destra mentre la tigre/yin -meno importante- è collocata per seconda, alla nostra sinistra

   a fianco della tigre si dipingeva un leopardo: in Giappone, poiché arrivavano dall’estero solo le pelli di questi felini,  si credeva che il leopardo fosse la femmina della tigre-maschio. 

tigre-maschio/yang, più importante, disegnata per primo nella visione da destra a sinistra, leopardo (ritenuto erroneamente la femmina/yin della tigre), disegnato  per secondo; il paravento con il drago, essendo yang rispetto alla tigre, è posto a destra rispetto a quello con tigre e leopardo, ed è il primo ad essere  “letto”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

porte scorrevoli, Kano Tan`yu, dipinte negli anni 1630

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n questa rappresentazione della morte di Buddha, nell’angolo inferiore destro fra tutte le coppie di animali venute a riverirlo,si vede la coppia tigre/leopardo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kimono del periodo fine Edo-inizio Shō wa con i due animali protettori yang, fenice e drago

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

telo con funzione di furoshiki, periodo Meiji, con al centroi due animali protettori, del sud -fenice- e del nord -tartaruga-

 

 

 

 

 

 

 

Hanakago: vaso in bambù per l’ikebana datato 1926 con tigre e fenice 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Interessante notare che in questo manga di Katsushika Hokusai (1760-1849) preso dal libro -Hokusai, le vieux fou d’architecture-

rappresentante un antico Torii (al giorno d’oggi composto da un unico arco ma anticamente composto da quattro)  le iscrizioni ai numeri 2, 3, 4 e 5 indichino che esso è stato disposto spazialmente in concordanza fra le quattro divinità protettrici: 2 uccello vermiglio, 3 tigre bianca, 4 tartaruga nera, 5 drago azzurro, con l’entrata principale rivolta verso sud.

 

ikebana

Quando le regole compositive dell’ikebana sono state create nel 15° sec., si è preso come riferimento lo schema del feng-shui già in uso nella quotidianità dunque le misure e le posizioni dei vegetali sono state concepite in modo da essere in concordanza con il suo simbolismo e in armonia con le posizioni delle quattro divinità cardinali: 

nei Rikka l’elemento principale shu della scuola Ohara corrisponde alla persona -casa- tomba da proteggere ed è difeso da un fuku nella posizione del Drago al lato est e da un kyaku nella posizione della Tigre al lato ovest.

La composizione è vista “da dietro” ossia dal nord (posizione della Tartaruga), come è consuetudine nei rikka e shoka Ikenobo (concetto che sarà spiegato nelle prossime schede).

 

All’inizio, quando si sono formate le prime regole compositive dell’ikebana, il Rikka era sempre nello stile che la scuola Ohara chiama “alto, diritto” ossia con lo Shu al centro e verticale: la composizione, “guarda” verso sud (il sole al suo apice è idealmente posto nel lato del culmine yang fra il Drago e la Fenice ) ed è vista da nord (Tartaruga), è congrua con le regole del Feng-Shui: shu è protetto al suo lato sinistro da un fuku relativamente alto (Drago) e al suo lato destro da un kyaku (Tigre) relativamente basso.

 

 

Nel periodo Edo sono apparsi nuovi tipi di ikebana vedi Art 15° derivanti da una semplificazione del Rikka e chiamati shōka della scuola Ikenobo e seika delle altre scuole: si usano solo 3 elementi principali ma è rimasto inalterato il rispetto delle leggi del feng shui mantenendo lo schema protettivo di shu con un fuku/Drago alto  a est e un kyaku/Tigre basso a ovest.

Anche nello shōka, il sole si trova nel punto-massimo yang nel disegno sulla direttrice BB

 

 

 

Dallo stile Alto dei Rikka e shōka, unico stile dalla nascita dell`ikebana fino alla prima parte del periodo Edo, derivano gli stili Obliquo e Cascata; in questi stili lo shu ha cambiato posizione e il riferimento ai 4 Protettori non esiste più.

Shu è “protetto” da fuku/drago e da kyaku/tigre

 

 

 

 

 

 

Gli stili della scuola Ohara derivano dal seika e  l’unico stile in cui l’influsso del feng shui è ancora percepibile è lo stile Alto mentre non lo è più negli altri stili poiché la posizione di shu e fuku sono cambiate.

 

 

 

 

 

Anche le regole di posizioni e di altezze dei vegetali nell’ikebana sono coerenti con le quattro divinità cardinali ove shu (cerchio) corrisponde alla persona da proteggere, fuku (quadrato) corrisponde al drago e kyaku (triangolo) corrisponde alla tigre.

La composizione è vista “da dietro” ossia dal nord (posizione della tartaruga), come è consuetudine nei rikka e shoka Ikenobo (concetto che sarà spiegato nelle prossime schede).

All’inizio, quando si sono formate le prime regole compositive dell’ikebana, il Rikka era sempre nello stile che la nostra Scuola chiama “alto, diritto” ossia con lo Shu al centro: la composizione, “guarda” verso sud ( il sole è dietro la composizione) ed è vista da nord (tartaruga), è congrua con le regole del Feng-Shui: shu è protetto al suo lato sinistro da un fuku relativamente alto (drago) e al suo lato destro da un kyaku (Tigre) relativamente basso.

 

2- EVITARE LE LINEE DIRITTE

Il Feng-Shui considera le linee rette in modo negativo poiché facilitano i flussi energetici maligni mentre preferisce le linee curve perché deviano tali forze.

Ad esempio strade, ruscelli, canali, fiumi che scorrono in linea retta arrecano influenze maligne; al contrario, strade e acque con linee tortuose e curve sono un indizio della presenza di Forze Benefiche. In generale, ogni forma che presenti linee rette, angoli e spigoli è considerata virtualmente pericolosa.

Anche nell’ikebana (ad eccezione dei primi Rikka con lo Shu diritto) tutte le Scuole del passato hanno sempre utilizzato le linee curve, arrivando, solo nel periodo Edo, a degli eccessi come l’esempio del Seika della Scuola Enshu che usava delle curvature che possono apparire ai nostri occhi “estreme, esagerate, innaturali, barocche, artificiose”, con piegature a forma di S, molto accentuate e complesse.

 

Tenendo presente questa avversione del Feng-Shui alle linee diritte, anche l’ikebanista della Scuola Ohara, salvo specifiche rare eccezioni, deve evitarle;

 

i vegetali nel loro stato naturale in Giappone appaiono più “sofferti” poiché le forze della natura sono molto più violente che in Europa e quindi “lasciano il loro segno” sui vegetali ; essendo i vegetali europei meno “segnati” dalla natura rispetto a quelli giapponesi, questi devono essere plasmati dall’ikebanista; il discorso è ancora più evidente quando si usano vegetali coltivati in serre o vivai o altri luoghi protetti che, al contrario dei vegetali colti nella natura, non mostrano (con le loro linee diritte) gli effetti delle forze della natura (vento, pioggia, sole, freddo, neve, siccità). Quindi devono essere “manipolati” dall’ikebanista al fine di togliere la rigidità delle linee per renderli più naturali e meno artificiali.

 

La “quantità” di manipolazione sarà minore su un elemento “giovane” e maggiore su un elemento “vecchio” poiché il “giovane”, in teoria, è rimasto per minor tempo esposto alle intemperie rispetto al “vecchio”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 esempi di manipolazione dei vegetali per dar loro una curvatura

surimono di Hokusai (1760-1849)

varie scuole, per curvare i rami diritti che si spezzano se piegati, dopo averli parzialmente incisi vi inseriscono dei cunei prelevati dallo stesso vegetale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 altro esempio per ottenere curvature molto pronunciate utilizzate nei seika

 

Un’ulteriore ragione di manipolazione è che la composizione deve mostrare anche il concetto buddhista di interdipendenza e il vegetale diritto esclude ogni sua dipendenza dai fattori ambientali naturali.

 

Una poesia di Nico Orengo, poeta italiano, esprime bene le forze della natura che plasmano il vegetale:

 

il vento disegna il pino

e lo muove in scirocco e tramontana

lo asciuga da ponente e lo irrita di mistrale

e lo suda e lo piega

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08 credenze, superstizioni, pratiche magico-religiose e ikebana

Tutte le culture antiche erano basate, oltre che sulle religioni, su un assieme di pratiche magico-religiose, credenze e superstizioni che, anche se oggi ai nostri occhi cartesiani appaiono irrazionali e non scientifiche, guidavano e impregnavano tutti gli aspetti della vita quotidiana.

 

In Giappone già nel periodo Heian (794-1185 ) tali credenze e superstizioni erano ben radicate poiché facevano parte o dello shintoismo autoctono o erano state importate con il buddhismo, il confucianesimo e il taoismo.

Ad esempio (leggi articolo 50°  lingua giapponese), il fatto di non usare

 il numero 4

deriva da una superstizione, poiché il kanji 4 nella lettura on (colta, cinese) si legge shi e uno dei suoi cinquanta e più kanji omofoni,

shi, significa morte ;

dunque il suono shi significa sia 4 che morte e per questo si evitava di pronunciarlo; per dire il numero 4 si preferisce la lettura kun (lettura popolare, giapponese) che suona yon .(vedi Art. 50°, lingua giapponese)

tasti di un ascensore in cui non c’è il 4° piano

bancarella di un mercato : manca il 4 ma anche il 9 kyū, troppo simile al suono ku = sofferenza, dolore

L`“Ufficio dei Presagi”, creato alla Corte Imperiale nel 675 d.C., si occupava dello studio degli auspici favorevoli o sfavorevoli per aiutare sia le singole persone sia il governo nella sua politica: le decisioni “che hanno fatto la storia” erano prese basandosi su ciò che i Maestri dello Yin-Yang dicevano. Interessante sapere che esistevano dei tabù direzionali temporanei per cui, ad esempio, un esercito in certi “giorni sfavorevoli” non poteva marciare in quella direzione creduta infausta: dunque o si fermava, anche fino ad un mese, o prendeva un percorso alternativo alla direzione infausta che certamente era più lungo e faceva perdere del tempo prezioso.

Altri esempi tratti da “ Il mondo del Principe Splendente” di Ivan Morris:

L’imperatore o i dignitari annullavano uno spostamento se la direzione quel giorno era infausta.

Alcune attività erano proibite secondo criteri come l’età e il sesso di chi era coinvolto: ad esempio a 16 anni si doveva evitare di spostarsi nella direzione, infausta per tutti i sedicenni, di nord-ovest.

Altri tabù erano legati al ciclo personale di 60 giorni – basato sulla combinazione dei 12 animali dello zodiaco (topo, bufalo, tigre, lepre, drago, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane, maiale) più i cinque elementi (acqua, legno, fuoco, metallo, terra); così alcune attività erano, in un determinato giorno o in una determinata ora, infauste perciò “proibite” come tagliarsi i capelli, tagliare le unghie delle mani, farsi il bagno, iniziare un rapporto amoroso, iniziare una cura medica, partire per un viaggio.

Un giorno ogni 60 -giorno della Scimmia- non si poteva dormire per il pericolo che le potenze malefiche aggredissero durante la notte .

A intervalli regolari le guardie imperiali in servizio a Corte facevano vibrare le corde degli archi per allontanare gli spiriti cattivi e tutta la giornata della Corte era impostata, noi diremmo “limitata”, da queste credenze, per noi superstizioni.

I Maestri dello Yin-Yang erano tenuti in altissima considerazione mantenuta fino all’epoca Edo e dimostrata dal fatto che era loro permesso, per gli spostamenti, usare le portantine, mezzi riservati unicamente alla Nobiltà imperiale e shogunale o ai sacerdoti di alto rango. Fino alla fine del periodo Edo le loro divinazioni erano richieste sia dai membri dalla corte imperiale e shogunale come pure dalla classe emergente dei ricchi mercanti e artigiani.

 

Oltre che di calcoli astrologici, lo studio degli auspici favorevoli e sfavorevoli, dei tabù direzionali, dell’interpretazione dei sogni, i Maestri dello Yin-Yang si occupavano anche di: Feng shui che significa acqua-vento.

 

 

Il feng-shui ha influenzato pure l’ikebana, come vedremo nell’articolo 9°.

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07 il roppo o sei princìpi di HSIEH HO

ROPPO ( = sei cànoni o princìpi di HSIEH HO )

Lo scrittore cinese Hsieh Ho, all’inizio del 500 d.C., scrisse un trattato intitolato:

Note sulla classificazione degli antichi dipinti

in cui fissava i cànoni della pittura del suo tempo sotto forma di sei princìpi .

Col passare del tempo, le sue sei regole vennero utilizzate anche per giudicare l’estetica della calligrafia per poi essere usate nel giudizio di tutte le arti ossia queste sei regole formarono la base di giudizio estetico delle tradizioni artistiche della cultura cinese.

Importate in Giappone nel periodo Kamakura (1185–1333) dai monaci Zen, le sei regole furono la base di giudizio per tutte le forme d’arte tradizionale (ikebana compreso).

Le sei norme sono in ordine d’importanza decrescente, dalla 1ª    (quella di più alto valore artistico) alla 6ª (quella con cui i principianti iniziano).

1ª KI-IN-SEI-DO: stato d’animo, forza vitale, espressione spirituale

L’artista deve percepire la circolazione della Forza Vitale (Ki) sua e della natura dell’opera, identificandosi con essa.

Concetto d’ideale artistico completamente differente da quello occidentale, poiché afferma che se l’opera non è un’espressione dello spirito essa non può essere definita opera d’arte.

 

2ª KOPPO-YOSHITZU: uso del pennello “ridotto all’osso”.

L’artista deve saper cogliere l’essenziale mettendo in evidenza le LINEE strutturali, le ossa, dell’opera tralasciando il superfluo.

Per l’ikebanista significa sfoltire i vegetali, evidenziando le linee e le masse in modo oculato.

Le altre quattro regole sono principalmente tecniche

3ª Ohbutsu-Shokei: dare somiglianza in modo conforme all’oggetto

L’artista deve tracciare la forma in conformità alla natura dell’opera.

Per l’ikebanista è il rispetto delle caratteristiche del vegetale scelto, il posizionarlo considerando la sua posizione naturale di crescita ma anche come questo vegetale è rappresentato nell’immaginario e nella tradizione pittorica giapponese.

 

 

4ª Zuirui-Fusai: uso del colore

L’artista deve applicare il colore in conformità alla natura dell’opera.

Per l’ikebanista è la scelta e associazione del colore dei vegetali.

5ª Keiei-Ichi: composizione spaziale

L’artista organizza la composizione assegnando agli elementi la giusta collocazione.

Per l’ikebanista è il rispetto degli Stili/kata  dettati dalla Scuola e l’equilibrio fra le masse e i volumi dei vari vegetali

6ª Den i-Mosha: trasmissione dell’esperienza del passato con la copiatura

Il principiante deve iniziare copiando le opere dei maestri cercando di trasmettere “l’essenza del pennello” e dei modi del maestro, ossia la copia deve trasmettere le emozioni e le idee del maestro cioè il suo Ki.

Per l’ikebanista è il copiare gli Stili/kata della Scuola.

 

Il copiare, nella cultura occidentale, è visto in senso negativo. Per l’ikebanista è importante il copiare gli schemi compositivi mostrati dagli insegnanti. Questa copiatura ha diverse funzioni, sia fisiche che psicologiche :

-permette un apprendimento graduale della padronanza dei movimenti (uso delle forbici, tecniche d’ancoraggio, modifica del vegetali, ecc.)

-il confronto con un modello contribuisce a diminuire l’irruenza espressiva dell’allievo e, più in generale , la sua presunzione.

-la copiatura permette all’allievo di incorporare l’essenziale, il “soffio vitale”, il Ki dell’opera originale.

Nell`epoca Sung (960-1279), sempre inerenti la pittura ma estendibili a tutte le arti, i Sei Cànoni venivano espressi dai:

SEI PRINCÌPI FONDAMENTALI:

1. L’azione del Ki e l’energico lavoro del pennello procedono di pari passo.

Per l`ikebanista l’uso delle forbici procede di pari passo all`azione del Ki.

2. Il disegno di base dev’essere fedele alla tradizione.

L’ikebanista dev’essere fedele ai kata, agli stili della sua scuola.

 

3. L’originalità non deve tenere in spregio il Li, principio o essenza delle cose.

 

Per l’ikebanista è il rispettare la natura del vegetale e la sua posizione naturale di crescita.

4. Il colore, quando venga usato, deve costituire un fattore di arricchimento.

Per l’ikebanista è più importante la struttura compositiva che viene arricchita dal colore dei vegetali scelti con oculatezza.

5. Il pennello dev’essere tenuto con spontaneità.

La forbice dev’essere tenuta con spontaneità.

6. Imparare dai maestri ma evitarne gli errori.

 

Nella pittura il Ki è dato dal “muoversi del pennello”, hippo in giapponese, nelle mani dell’artista.

Nella tradizione giapponese un’opera d’arte veniva definita tale nel momento in cui si è in grado di distinguere la presenza del Ki dell’artista nella sua opera (o nella composizione nel caso dell’ikebanista).

Se pensiamo invece alla forma espressiva dell’Ukiyo-e, xilografie del periodo Edo che rappresentano la vita popolare, teatrale e leggendaria, vediamo che al suo apparire non era reputata opera d’arte dalla classe colta giapponese. Il motivo di questa mancata considerazione stava proprio nell’assenza di riconoscimento della presenza del Ki in questa forma di arte.

 

La classe colta dell’epoca riteneva infatti che la sensibilità artistica della pennellata venisse persa nella realizzazione dell’intaglio del legno della matrice. Anche nel caso in cui l’intaglio fosse perfetto, nella matrice essi vedevano rimanere solo l’ombra della sensibilità e della capacità dell’artista nell’uso del pennello; dunque un’opera senza una chiara individuazione del Ki non poteva essere considerata opera d’arte. Oltretutto i temi trattati dall’Ukiyo-e erano considerati troppo popolari, mancando quindi di soddisfare i requisiti di eleganza e raffinatezza richiesti dal gusto nobile.

 

Non essendo quindi apprezzate come forma artistica le xilografie Ukiyo-e vennero usate come noi usiamo i vecchi giornali per impacchettare i manufatti spediti all’estero: tale fortuito evento ha permesso la scoperta dell’Ukiyo-e in Occidente.

 

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06 Ikebana e buddismo zen

Per il Buddhismo Zen ogni attività umana, specialmente manuale, può essere utilizzata quale “sentiero”, quale Via verso il “risveglio” o l’illuminazione poiché lo scopo della specifica attività scelta come Via non è la mèta bensì il “processo”; ciò significa fare una cosa non per il risultato, bensì impegnarsi perché compiere gli atti specifici di quell’attività aiuta a modificare noi stessi nel senso indicato dal Buddhismo in generale e dallo Zen in modo specifico.

 

Se ogni attività manuale potenzialmente può essere utilizzata quale mezzo per percorrere questa Via a maggior ragione una disciplina (artistica o “sportiva”) può essere usata a tale scopo: sin dall’epoca del primo shogunato di Kamakura (1185-1333) un gruppo di arti tradizionali sono state influenzate dal Buddhismo Zen e, nel periodo Edo, utilizzate dai laici come Via ( Dō ) verso l’illuminazione; tali discipline si riconoscono per il suffisso -dō (= Tao = via) :

arti marziali:

Kyu-dō (via dell’arco), Ken-dō (via della spada), Karate-dō (via della mano nuda ), Ju-dō (via della cedevolezza), Iai-dō (via della estrazione della spada)

altre arti performanti (performing arts, in inglese):

Cha-dō (cerimonia del tè), Sho-dō (via della scrittura), Ka-dō (via dei fiori o ikebana), Kō-dō (la via dei profumi)

 

Altre manifestazioni artistiche, anche se non hanno il suffisso -dō, sono pure state influenzate dallo Zen come ad esempio: teatro Nō, Bonsai, Suiseki (collezione di pietre), architettura tradizionale giapponese, cucina Kaiseki, Kare sansui (giardini “secchi” – solo pietre e ghiaia), ceramica Raku, poesia Haiku, Suiboku-ga (pittura ad inchiostro diluito) .

 

Come mai l’esecuzione manuale di un Ikebana può essere usata come Ka-dō, come disciplina formativa del proprio carattere, quale via di realizzazione personale, quale via di liberazione ?

Per spiegarlo a chi non conosce il buddhismo-zen, questo è possibile poiché le regole compositive dell’ikebana sono una “messa in pratica” manuale delle idee che lo Zen promuove: applicando queste regole in modo cosciente e ripetitivo facendo la composizione esse vengono assimilate e fatte proprie dall’ikebanista diventando sue caratteristiche etiche.

Ad esempio la ripetizione dell’esercizio manuale di “togliere il superfluo lasciando solo l’essenziale del ramo“ (per lo Zen vale il concetto ”meno è più”), se fatto coscientemente, si trasforma in esercizio spirituale per cui si impara a “togliere il superfluo lasciando solo l’essenziale” anche in altre situazioni della propria vita.

 

Il “fare il vuoto attorno alla composizione, attorno ai vegetali e nei vegetali stessi“ lasciando solo il necessario (sempre il concetto “meno è più”), esercita l’ikebanista a “fare il vuoto” nella propria mente ossia lasciar transitare, senza lasciarsi influenzare, i pensieri considerandoli solo pensieri e niente di più.

 

L’esercitarsi a considerare i rapporti di “forza”, di misure, di volumi, costruendo un ikebana esercita l’ikebanista-consapevole a dare maggior valore ai rapporti con le persone, animali, natura, oggetti, ambiente, ecc.

 

Il tentare di creare un Ikebana “shibui” (austero, elegante, sobrio, raffinato, quieto) e “wabi-sabi” (rifiuto dell’ostentazione, povertà come rinuncia volontaria), due qualità favorite dallo Zen, esercita l’ikebanista a comportamenti “shibui” e “wabi-sabi” nella vita di ogni giorno ossia porta ad azioni povere in aspetto ma ricche di significato, semplici ma importanti, sobrie ma efficaci, dunque un affinamento formale nell’esecuzione materiale della composizione (il praticare manualmente l’arte dell’ikebana ) porta l’ikebanista ad un suo perfezionamento etico.

 

 

Una poesia di Costantinos KAVAFIS ( 1863-1933 ) esprime benissimo il concetto Zen che “la mèta è la via che noi percorriamo“ :

ITACA

 

La nascita dello Zen, nella tradizione, è legata a un fiore:

un giorno a Buddha fu chiesto di tenere un sermone; egli colse un fiore (si dice di loto) e, in silenzio, lentamente col braccio teso, lo fece vedere ai suoi seguaci: solo uno, il più sagace (Mahakasyapa = Kasiypa il grande) intuì il messaggio “silenzioso“ del Maestro e sorrise con comprensione: nacque così l’insegnamento silenzioso dello Zen e Mahakasyapa fu il primo di una serie di Patriarchi che dall’India portarono lo Zen in Giappone, ove la nobiltà shogunale, già nel periodo Kamakura, lo preferì alle altre correnti buddhiste praticate dalla nobiltà imperiale, poiché più consono alla mentalità guerriera .

Lo Zen diede all’Ikebana le stesse caratteristiche date allo stile di vita ideale della nobiltà shogunale, ossia queste caratteristiche furono applicate in tutte le manifestazioni della vita quotidiana dal modo di costruire le case, alle arti marziali e alle altre arti come la cerimonia del tè, il teatro Nō, calligrafia, poesia Haiku, giardini secchi, cucina Kaiseki, ceramica Raku e altro.

Queste caratteristiche sono riassumibili nei seguenti concetti, espressi dal monaco zen Shin’ichi Hisamatsu nel suo libro “ZEN and the fine ARTS”:

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05 relazione fra ikebana e ambiente

posizione di-destra/hongatte e di-sinistra/gyakugatte

 

 

 

 

L’Ikebana è nato nel 15° sec nel e col tokonoma e la composizione veniva messa a-destra o a-sinistra del kakemono rappresentante Buddha, nella foto a lato è messo a sinistra del kakemono.

 

In quel periodo vedi Art. 13° si usava disporre i vegetali solo con Shu verticale e al centro che corrisponde grossomodo allo Stile Alto odierno della Scuola Ohara perciò esistevano due possibilità di posizione dei tre elementi che la Scuola Ohara chiama shu-fuku-kyaku

 

perciò le due composizioni vennero chiamate di-destra poiché messe a destra del kakemono rappresentante Buddha e di-sinistra poiché alla sua sinistra, dunque la destra o la sinistra di cui si parla non è di chi guarda la composizione ma quella del Buddha dipinto sul kakemono ( vedi art. 17°)

 

 

Basandosi su questo concetto utilizzato sin dalla nascita dell’ikebana, la Scuola Ohara definisce “di destra” o “di sinistra” tutti gli Ikebana in base alla posizione del kenzan messo lungo la bisettrice del vaso “a destra” o “a sinistra” (di un immaginario Buddha al centro del vaso) .

  • La disposizione di-destra è quella più frequentemente eseguita (anche in Giappone la maggior parte della popolazione è destrimane e i destrimani eseguono con più facilità la composizione di-destra mentre per i mancini, in minoranza, è più facile eseguire la composizione di-sinistra) perciò è anche chiamata HON-GATTE che significa “situazione normale”, nel senso di “più frequentemente eseguita”, poiché si ritiene che ciò che fa una maggioranza di persone sia la “normalità”.

    (hon=principale, normale e katte=situazione).

     

    La composizione di-sinistra viene anche chiamata gyaku-gatte poiché è la situazione (katte) “opposta”(gyaku) alla prima, la più frequentemente eseguita.

     

  • Anche nel kenzan il triangolo scaleno formato dai punti di inserzioni dei vegetali di una composizione hongatte è “a specchio” rispetto al triangolo formato dalle inserzioni dei vegetali di una composizione gyakugatte.

 

inserzioni nel kenzan degli elementi principali dello Stile Alto

 

Questo concetto dell’ikebana di essere in concordanza armonica con ciò che lo circonda è una “messa in pratica” del concetto buddhista di insostanzialità (ogni ente è sempre e necessariamente costituito da relazioni, sia a livello biologico che a livello etico).

L’insostanzialità, con l`impermanenza, costituisce uno dei punti basilari del buddhismo i cui simboli ritroviamo nelle regole compositive dell’ikebana.

 

Nelle nostre case, ove non esiste il tokonoma, come e dove mettere un ikebana?

Gli ikebana della Scuola Ohara composti negli stili creati prima degli anni 1930  sono visibili solo da un lato (Moribana ed Heika stili Alto, Obliquo, Cascata e -Riflesso nell’acqua-) poiché erano messi solo nel tokonoma, nicchia “sacra” della casa tradizionale giapponese, mentre fra le composizioni negli stili creati dopo tale data alcune  sono visibili da un solo lato mentre altre possono essere visibili anche da più lati poiché, sotto l’influsso della cultura occidentale, queste composizioni sono viste come “decorazione” da mettere al centro dei tavoli; la definizione di-destra o di-sinistra non è applicabile a quest’ultime.

 

 

Le composizioni negli stili creati prima degli anni 1930, sia pensando alla loro posizione nel tokonoma rispetto al kakemono sia per essere coerenti con il loro nome (di-detra o di-sinistra), saranno posizionate in questo modo:

una composizione hongatte (di destra) sarà posta a destra di un elemento con cui deve concordare (quadro, finestra, camino, ecc.) mentre se è messa alla sua sinistra sarà una composizione gyakugatte (di sinistra); ecco alcuni esempi:

N.B:

adeguandosi alla tendenza attuale di semplificare le regole e l’insegnamento dell’ikebana, la Scuola Ohara dal 2015 usa solo l’espressione hongatte e gyakugatte e non più i termini equivalenti di-destra o di-sinistra (vedi articoli 16° e 17°) poiché questi termini creano confusione negli occidentali che prendono come punto di riferimento la destra o sinistra di chi guarda mentre nell’antico Giappone  la destra o la sinistra non è quella di chi guarda ma quella di una persona (o oggetto) più importante al cui lato destro o sinistro si trova l’elemento preso in considerazione.

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04 peso ottico dei vegetali

Il buddhismo ha influenzato moltissimo le regole compositive dell’ikebana poiché queste sono state create da monaci buddhisti e inoltre, nell’antico Giappone, ogni manifestazione umana doveva essere in concordanza con le religioni .

I primi monaci che crearono i primi ikebana furono i dōbōshῡ (attendenti) alle dipendenze degli shogun Ashikaga (la maggior parte, all’inizio del potere Ashikaga, appartenenti alla corrente buddhista Ji -fondata nel XIII° secolo da Ippen, monaco formatosi nella setta Tendai-, sostituiti poi dagli Ikenobo, pure loro appartenenti alla setta Tendai).

Le regole compositive dell’ikebana rispecchiano la teoria buddhista della interdipendenza (anatta), per cui la realtà non esiste come sistema di sostanze ma come rete di relazioni queste relazioni sono evidenti nell’ikebana sia come relazioni di misure fra vaso e vegetali sia come relazione di “forze” fra i vegetali stessi, sia nella relazione fra composizione e ambiente che la circonda.

Oggi analizziamo la relazione fra i vegetali.

 

Per “peso ottico” si intende la sensazione della quantità di forza che dà un vegetale alla vista ed è basata su molteplici fattori.

Paravento a sei ante -fagiano e pino- autore Kano Koi, 1569-1636

Guardando questo paravento sono subito evidenti tre volumi (il pino, l’acqua e la luna piena) chiaramente con forze differenti: predomina la massa del pino, la massa dell’acqua è meno forte e la massa lunare è la più debole delle tre .

L’ikebanista, mentre costruisce la sua composizione, deve far riferimento a questo concetto per cui la “forza ottica” (peso ottico) dei tre elementi principali che la Scuola Ohara chiama shu, fuku e kyaku deve essere ben differenziata e inconfondibile: shu dev’essere rappresentato con una “forza ottica” maggiore di quella di fuku e a sua volta  fuku dev’essere rappresentato con una “forza ottica” maggiore di quella di kyaku .

Anche gli elementi Ausiliari della composizione devono avere un peso ottico minore del vegetale di cui sono ausiliari; si può anche dire che: ”gli ausiliari sono subordinati al vegetale di cui sono ausiliari”.

 

 

Altro esempio per capire questo concetto è il vedere su di un podio i primi tre atleti premiati: – il 1° ha vinto poiché la sua “forza muscolare” è superiore a quella del 2°, il quale, a sua volta, ha una“forza muscolare” superiore alla “forza muscolare” del 3°.

 

Nella composizione ikebana il concetto è simile: nello stile Alto, composizione hongatte, che ha dato origine a tutti gli altri stili, i tre vegetali principali sono paragonabili, sia nella loro posizione che nella loro “forza” ai tre atleti sul podio dei vincitori: shu è al centro ed è paragonabile al 1° atleta, fuku, 2° atleta, è alla sua destra mentre kyaku, 3° atleta, è alla sua sinistra; come i tre atleti che hanno “forze muscolari” decrescenti, shu, fuku e kyaku hanno una “forza ottica” decrescente. Siccome gli altri stili derivano tutti dallo stile Alto, anche se la posizione di shu è cambiata, la differenza nel “peso ottico” dei vegetali usati è rimasta inalterata negli stili della Scuola Ohara -Obliquo-, -Riflesso nell’acqua- e -Cascata-.

 

Anche nel bonsai viene applicato lo stesso concetto esemplificato dal disegno del paravento -fagiano e pino-: la costruzione e il peso ottico delle tre chiome principali sono impostate sullo stesso concetto di shu, fuku e kyaku, sia come posizione sia come peso ottico.

La chioma più voluminosa al centro, corrisponde a shu Scuola Ohara , quella media alla sua destra, corrisponde a fuku e la minore alla sua sinistra, corrisponde a kyaku

 

 

 

All’allievo ikebanista si insegna a misurare i rami e fiori in base alla massa o alla forma della loro corolla: lo schema sottostante mostra come i vegetali, per mantenere lo stesso peso ottico, siano allungati o accorciati in funzione della forma della corolla o dell’infiorescenza.

nel concetto di “peso ottico”, le misure sono solo una delle componenti che lo influenzano poiché entrano in gioco molti altri fattori, non meno importanti delle misure, che sono ad esempio:

il colore, la “anzianità” dei rami, la “gioventù” delle foglie, il rapporto foglie e legno o foglie e gambo, lo stadio di sviluppo del vegetale, ed altro.

 

Esempi in cui , pur essendo di ugual misura , l’elemento A è “otticamente più pesante” dell’elemento B

Per rendere B di “ugual peso ottico” rispetto ad A, questo dev’essere allungato come in C

A e C hanno ora ugual “peso ottico”.

ATTENZIONE : un vegetale può essere indebolito

-accorciandolo o sfoltendolo

– usando le forbici, ma una volta tagliato o sfoltito non può più essere rinforzato; l’unico modo per rinforzarlo è aggiungergli un ausiliare; perciò, prima di usare le forbici, occorre pensarci due volte!

Se il vegetale B è stato tagliato , l’unico modo per rinforzarlo e renderlo di ugual peso di A, è di aggiungere un suo ausiliare

ora A e B hanno lo stesso “peso ottico”

Importante per l’ikebanista anche la regola che dice:

ciò che è “pesante” va al centro della composizione, ciò che è “leggero” alla periferia” .

 

 

 

 

I colori scuri vanno al centro della composizione, quelli chiari alla periferia come, ad esempio, nel Moribana tradizionale di Colore con crisantemi in cui la Fascia di Colore è composta da colori più scuri rispetto ai colori del gruppo shu-fuku e kyaku.

 

 

 

 
 

 

 

 

 

Questo concetto è ben visibile nel famoso disegno dal titolo -sei kaki-, attribuito al monaco cinese Mu Qi, fine 13° sec. in cui le tonalità più scure sono al centro e quelle chiare alla periferia (vedi articolo 56°: i sei kaki di Mu Qi)

 

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03 il vuoto nell’ikebana

Per le religioni e filosofie che hanno influenzato la storia dell’ikebana, l’importanza data al VUOTO è grande perciò lo troviamo espresso a vari livelli.

Nella nostra tradizione il vuoto ha valenza negativa, di carenza, ma in Giappone e Cina esso ha un valore positivo e per intenderne questo suo valore può servire spostare l’attenzione dal concetto di vuoto, che può lasciare a disagio, a quello a noi più famigliare di SILENZIO (ossia vuoto di suoni), che per noi evoca una sensazione di pace, quiete, serenità, non-affastellamento di rumori o concetti:

Il richiamo di un uccello,                                                                                                      la quiete della montagna diviene più profonda;
il rimbombo di un’ascia,                                                                                                        la quiete della montagna cresce

poesia zen cinese di anonimo

Il VUOTO nell’ikebana lo troviamo :

1. ATTORNO ALLA COMPOSIZIONE

 

 

 

 

 

 

tradizionalmente posta nel Tokonoma, vuoto per definizione, o al giorno d’oggi in un luogo della casa col vuoto attorno, ossia libero da ogni oggetto che possa distrarre l’attenzione dalla composizione stessa.

 

 

 

2. ATTORNO AI SINGOLI ELEMENTI VEGETALI

 

 

 

 

 

 

 

(C) Ohara School of Ikebana

 

che non solo permette di vedere i singoli componenti ma esalta le relazioni (così importanti per il buddhismo) quali l’asimmetria, l’armonia, il ritmo, esistenti fra i singoli elementi. Per il Buddhismo ogni elemento della composizione non possiede consistenza e significati propri ma li acquista solo in relazione agli altri elementi.

Le relazioni fra delle misure dei vegetali, sia fra di essi sia in relazione alle misure del vaso, evidenziano l’ interdipendenza:  nessun essere o fenomeno esiste di per sé, ma solo in relazione ad altri esseri o fenomeni: ogni cosa nel mondo viene alla luce in risposta a determinate cause e condizioni.

 

Anche il non più usato sistema simbolico di chiamare Cielo-Uomo-Terra i tre elementi principali della composizione Shoka e Seika metteva in in evidenza queste relazioni.

 

3. NEI VEGETALI STESSI

esempio con un ramo di acero

 

togliendo il materiale superfluo, dai rametti collaterali alle foglie e fiori in soprannumero; nei rami lasciare l’alternanza irregolare fra spazi vuoti (togliere tutte le foglie) e spazi pieni; quest’ultimi devono avere volumi differenti

 

Il modo di togliere il superfluo è ispirato alla pittura: in questo particolare del dipinto di Eikyu Matsuoka (1881-1938) intitolato Dame della Corte in abiti primaverili sia i rami di pino, dipinti non come in natura bensì senza gli aghi vecchi e con solo i nuovi ciuffi apicali, che quelli fioriti sono stati disegnati come idealmente devono essere “sfoltiti” quando sono usati nell’ikebana in modo che sia il ramo che ogni singolo ciuffo e ogni singolo fiore siano ben visibili

 

 

oppure in questo esempio di Ogata Korin, in cui l’azalea non è dipinta folta come in natura ma idealizzata dipingendo solo l’essenziale, senza il superfluo, e mantenendo un ottimale equilibrio di “forze” fra rami/yang e fiori-foglie/yin.

 

esempio con altri rami

 

scuola Ohara

 

 

 

4. VUOTO ALLA BOCCA DEL VASO

 

 

 

 

 

 

 

 

nei Rikka e Shoka tutte le composizioni emergono da un unico punto centrale  (che diventerà centrale o laterale nei Seika), lasciando il resto della bocca del vaso VUOTO e i primi centimetri dei vegetali uscenti dall’acqua sono completamente spogliati da foglie e rami collaterali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Heika stile Alto visto sia dal davanti, ove il vuoto è coperto dai vegetali,

che lateralmente in cui il vuoto è evidente

 

scuola Ohara

 

Nella Scuola Ohara il vuoto alla bocca è rimasto nei vasi alti (i vegetali emergono solo da ¼ della bocca lasciando gli altri ¾ vuoti); nei vasi bassi, anche se di superficie variabile, la zona vuota e libera di vegetali, con solo acqua, è abbondante, anche se varia con le stagioni.

 

Ricapitolando, il VUOTO attorno ai vegetali mette in evidenza sia le caratteristiche dei singoli vegetali che le reciproche relazioni, care al Buddhismo.

Come scrive G. Pasqualotto nell’Estetica del vuoto:

La riduzione della quantità degli elementi aumenta la possibilità e l`intensità di percepire la loro qualità, ossia il VUOTO produce povertà quantitativa per produrre ricchezza qualitativa.La riduzione al minimo degli elementi corrisponde a un’espansione al massimo delle loro qualità e, di conseguenza, si producono le condizioni per un massimo di intensità percettiva.

esempi di vuoto nei disegni

 

Watanabe Seitei (1851-1918)

 

 

 

 due paraventi di Maruyama Ōkyo   (1733 – 1795)

ghiaccio con crepe, 1780

 

anatre sulla spiaggia

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02 concetto di forte e debole

La cultura occidentale vede l’universo separato dall’uomo, perciò la vita è percepita come una «guerra» fra opposti (la luce contro l’oscurità, la vita contro la morte, buono contro cattivo, il bene contro il male, bello contro il brutto, ecc.); questa visione implica una sorta di idealismo per coltivare il primo, ritenuto positivo per la nostra cultura, e disfarsi del suo opposto, ritenuto negativo.

 

  • Per il TAOISMO questo è incomprensibile poiché sarebbe come volere la corrente elettrica senza avere il polo negativo, ossia le polarità sono aspetti differenti dello stesso sistema e la scomparsa di una polarità implica la sparizione dell’altra.

  • Per il Tao “l’unica costante della realtà è il cambiamento, la mutazione“ e accetta le leggi della Natura per cui il giorno segue la notte, il freddo segue il caldo, la morte segue la vita, tutto si forma e poi si distrugge.

  • Il Taoismo spiega la struttura dell’universo e la costituzione sia fisica che morale dell’individuo con l’interazione di due forze opposte ma complementari che chiama YANG e YIN ( e in, in giapponese)

    • L’ideogramma yang indica il lato della collina al sole, l’ideogramma yin quello all’ombra.

      L’essere yang o yin non è una qualità intrinseca ma esprime il rapporto fra due entità: in questo caso i due lati della collina.

    • Di conseguenza i seguenti binomi vengono classificati:

      yang  luce   caldo      asciutto      rigido     resistente

    • yin  ombra  freddo    bagnato    morbido   cedevole
    •  
    • yang    forte pesante maschile positivo

      yin     debole leggero femminile negativo

       

       

      Gli aggettivi sottolineati sono usati spesso in ikebana e sono fra di loro equivalenti: ad esempio definire un ramo forte, pesante, maschile, positivo, rispetto ad un fiore equivale a dire che il ramo è yang rispetto al fiore yin. Si usano questi aggettivi per definire alcune caratteristiche relative come:

      – il lato di crescita dei vegetali al sole è detto positivo mentre quello all’ombra negativo

      nelle foglie

      lato positivo, yang

      lato negativo, yin

      il lato positivo di una foglia (yang, cresciuto verso il sole) di solito è più scuro del suo lato negativo (yin, cresciuto all’ombra).  

    • nei rami:

    • – il lato positivo o yang, cresciuto al sole, di un ramo di solito è il lato concavo e di colore più scuro mentre il suo lato cresciuto all’ombra, chiamato negativo o yin, è il suo lato convesso e più chiaro.

      – il fiore in boccio è considerato debole, yin, femminile, quello aperto forte, yang, maschile, mentre quello molto aperto di nuovo debole, yin, femminile.

      Le signore occidentali, quando leggono questa associazione debole-femminile-negativo, carica di connotazioni negative, e forte-maschile-positivo, potrebbero pensare che il Taoismo sia maschilista. Non è così poiché questi termini non hanno la valenza di giudizio che danno loro gli occidentali di “buono” o “cattivo” e il Taoismo ritiene più importante lo yin-femminile-debole rispetto allo yang-maschile-forte poiché il primo permette il cambiamento nelle cose, fattore indispensabile per la continuità della vita, ricordando che per il Taoismo: “l’unica costante è il cambiamento”.

    • Se si considera un ramo con foglie e/o fiori, il legno è yang rispetto alle foglie/fiori; ambedue sono considerati yin rispetto al legno: in generale, per ottenere un equilibrio fra yang e yin, l’ikebanista deve sfoltirlo in modo che sia visibile il legno/yang, in natura generalmente coperto da troppe foglie/fiori yin.
    • La composizione hongatte/di destra è ritenuta forte-yang mentre quella gyakugatte/di sinistra è considerata debole-yin (vedi articolo 16°)

      Sin dall’antichità si sono considerati i vegetali non in senso botanico ma in riferimento al sistema yang-yin:

      1-materiale KI-MONO (KI = albero, MONO = cosa) che è yang e include rami di alberi e di arbusti, ossia tutto quello che è legno.

      2-materiale KUSA-MONO (Kusa = erba) che è yin e include fiori, erbe, foglie.

      3-materiale TSUYO-MONO (TSUYO = comune a…) che è yin o yang ossia più debole di Ki ma più forte di Kusa come il bambù, glicine, peonia, spirea, ortensia, che possono essere usate sia nel gruppo shu-fuku (che è yang rispetto al gruppo kyaku), se associate a fiori nel gruppo kyaku oppure usate nel gruppo kyaku, se associate a vegetali Ki nel gruppo shu-fuku.

      La teoria dello yang/yin è simboleggiata dal Tai-ji, cerchio rappresentante “il Tutto” diviso in due parti equivalenti, la parte yang dal lato del sole/luce e la parte yin dal lato terra/ombra.

      Nel disegno le due parti  sono divise da due linee nere immaginarie: una più scura divide la parte yang del cerchio dalla parte yin, l’altra è  perpendicolare alla prima e unisce il punto massimo-yang, punto ideale di massima luce e posizione ideale del sole, col massimo-yin, punto di massima oscurità. (vedi articolo 15° origine simbolica dell’ikebana in cui si spiega la costruzione del Tai-ji)

      Attenzione: la parte yang del cerchio non è tutta quella bianca bensì il semicerchio, al di sopra dell’immaginaria linea nera, dalla parte del sole e comprende la “testa” della parte bianca più la “coda” della parte nera mentre la parte yin è il semicerchio dalla parte della terra, al di sotto dell’immaginaria linea nera, comprendente la “testa” della parte nera e la “coda” della parte bianca . L’immaginaria linea separante la parte yang dalla yin è inclinata di 45° rispetto all’orizzontale       vedi art. 15°

    • Il Tai-ji mette in evidenza:

      1- benché opposte, le forze yang e yin sono complementari

      2- niente è completamente yang o yin: il lato yang contiene un seme nero di yin e il lato yin contiene un seme bianco di yang.

      3- yang si trasforma in yin e viceversa.

      Gli stili di ikebana nati prima dell’occidentalizzazione, rappresentano il Tai-ji con i vegetali ossia la composizione è formata da vegetali yang (legno) nella parte alla nostra sinistra della composizione (se questa è hongatte) e da vegetali yin (erba-fiori) nella parte alla nostra destra.

    • vedi art. 15: costruzione del Tai-ji 

    • Questa suddivisione è visibile nei Rikka e Shōka ma è rimasta anche negli Stili (kata) della scuola Ohara in cui il gruppo shu-fuku è yang, materiale legno, mentre il gruppo kyaku è yin, materiale fiore come nella figura accanto di un Moribana stile Alto.

       

      Parlando in generale, il materiale usato nel gruppo shu-fuku dev’essere “più forte”/yang rispetto al materiale usato nel gruppo kyaku.


      Abbandonando, ma solo in casi specifici, la simbologia taoista descritta sopra, si è cominciato a comporre dei Rikka, e nel periodo Edo anche degli Shōka/Seika, con solo un’unica specie di vegetali (ad esempio pino, acero) o esclusivamente con fiori erbacei , limitandosi a poche specie come gli iris, il loto, i crisantemi, i narcisi. vedi art.70°

      il lato positivo di una foglia (yang, cresciuto verso il sole) di solito è più scuro del suo lato negativo (yin, cresciuto all’ombra). il lato positivo di una foglia (yang, cresciuto verso il sole) di solito è più scuro del suo lato negativo (yin, cresciuto all’ombra). Attenzione: la parte yang del cerchio non è tutta quella bianca bensì il semicerchio, al di sopra dell’immaginaria linea nera, dalla parte del sole e comprende la “testa” della parte bianca più la “coda” della parte nera mentre la parte yin è il semicerchio dalla parte della terra, al di sotto dell’immaginaria linea nera, comprendente la “testa” della parte nera e la “coda” della parte bianca . L’immaginaria linea separante la parte yang dalla yin è inclinata di 45° rispetto all’orizzontale       vedi art. 15: costruzione del Tai-ji

      • Dalla fine del 1800 in avanti, si è iniziato a comporre gli ikebana anche con qualsiasi tipo di fiore erbaceo, non applicando più le regole dello yin/yang che mostravano l’equilibrio dell’universo tramite la presenza di vegetali yang/rami e vegetali yin/fiori.

        Se l’ikebanista vuole mantenere una coerenza con le regole del passato, quando usa solo fiori erbacei si ricorderà che il gruppo shu-fuku dev’essere yang/”più forte” del gruppo yin/kyaku ed esprimerà questa sua conoscenza della storia/cultura dell’ikebana usando colori o forme “forti”/yang nei fiori del gruppo shu-fuku rispetto a quelli “deboli”/yin del gruppo kyaku.

         

        Con l’aumentare dell’influsso della cultura occidentale, le varie scuole hanno parzialmente abbandonato questo simbolismo nelle loro nuove creazioni di ikebana dopo gli anni 1930: la Scuola Ohara lo ha mantenuto nel Moribana, Heika e Paesaggi Tradizionali, negli Stili Alto, Obliquo, Riflesso nell’acqua e Cascata mentre questo simbolismo è stato abbandonato nelle sue Forme di ikebana create dopo gli anni 1930 e codificate dopo la revisione del suo Curriculum del 2000. vedi art. 67°

          • Se l’ikebanista vuole mantenere una coerenza con le regole del passato, quando usa solo fiori erbacei si ricorderà che il gruppo shu-fuku dev’essere yang/“più forte” del gruppo kyaku ed esprimerà questa sua conoscenza della storia/cultura dell’ikebana usando colori o forme “forti”/yang nei fiori del gruppo shu-fuku rispetto a quelli “deboli”/yin del gruppo kyaku.

         

        • Interessante questa composizione della scuola Ohara in cui l’attualizzazione del concetto “forte”/yang e “debole”/yin, che caratterizza la rappresentazione del tai-ji tramite vegetali yang e yin,  non è espresso secondo le regole tradizionali usando del vegetale yang/legno per l’elemento principale e vegetale yin/fiore per l’elemento secondario bensì usando un vegetale erbaceo/yin, ma con foglie evidentemente grandi e verde-scuro, che appare “forte” rispetto alle foglie-piccole e verde-chiaro del ramo/yang dell’acero che risulta così “debole”, considerando in questo caso solo i volumi e colori.
    • È importante che l’ikebanista tenga presente quale è la parte yang/positiva di ogni singolo vegetale poiché in tutti gli stili della scuola Ohara vige la regola che “tutti i vegetali guardano -mostrano il loro lato positivo/yang- primariamente verso il sole (posizionato grossomodo sopra la testa dell’ikebanista che compone) e secondariamente verso l’elemento principale shu”
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01 Preambolo e Introduzione

breve preambolo sull’APPRENDISTATO  DELL`IKEBANISTA

 

I vegetali, nella loro totalità e nelle loro singole parti, crescono in natura in modo armonico rispetto ai vegetali che li contornano.

Una volta colti e separati “dall`armonia naturale” in cui sono cresciuti e messi in un contenitore, è solo tramite le regole compositive dell`ikebana che questa armonia fra i vegetali viene ristabilita.

Ciò avviene poiché queste regole derivano da religioni/filosofie (shintoismo, buddhismo e buddhismo zen, taoismo, confucianesimo) in cui Uomo e Natura sono parte di una stessa entità (contrariamente al cristianesimo che li vede separati) e dunque “governate” dagli stessi princìpi; inoltre queste regole (come in tutte le Arti Tradizionali giapponesi) sono state “distillate” passando da una generazione di maestri ikebanisti all`altra dal 15° secolo fino ai giorni nostri.

Come le regole grammaticali, per chi impara una lingua straniera, devono essere apprese e “pedantemente” applicate dal principiante per poi essere dimenticate poiché fatte proprie da chi parla fluentemente la lingua, anche le regole dell`ikebana non sono fini a sé stesse ma servono a capire le norme dei rapporti fra i singoli vegetali, il contenitore, il luogo in cui vien messa la composizione.

 

INTRODUZIONE

 

L`ORGANIZZAZIONE DEI VEGETALI NELLE COMPOSIZIONI IKEBANA HA SEMPRE RIPRODOTTO SIMBOLICAMENTE SIA L`ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEI SUOI AUTORI E FRUITORI SIA LE LORO CREDENZE RELIGIOSE E FILOSOFICHE E ANCHE SE TALI SIMBOLI, COL PASSARE DEL TEMPO, HANNO PERSO DI SIGNIFICATO, LA STRUTTURA DI BASE DELL`IKEBANA BASATA SU QUESTI SIMBOLI È RIMASTA PRATICAMENTE INALTERATA FINO AI NOSTRI GIORNI.

 

 

Le composizioni dal 15° sec. (periodo in cui è apparso l’ikebana) fino all’inizio del periodo Edo erano costruzioni simboliche, che usavano vegetali per rappresentare concetti filosofico-religiosi.

 

queste composizioni esprimevano l’armonia dell’universo che, oltre al simbolismo shintoista e buddhista, era basata sul concetto dello yin/yang. vedi Art. 2°

infatti:

° delle foglie, rami e fiori si considerava

il lato yang cresciuto verso il sole (hi-omote)

e il lato yin, cresciuto all’ombra (hi-ura)

hi=sole            omote=faccia/lato                 ura= opposto, sotto

 

° dell’intera composizione si considerava il suo lato yang (contenete i vegetali yang: ki-mono, ki=legno) e il lato yin (contenente i vegetali yin: kusa-mono,  kusa=erba) vedi art. 15°: origine simbolica dell’ikebana

 

° la composizione era formata da un numero dispari di elementi (i numeri dispari sono preferiti poiché considerati yang) con l’unica eccezione del numero due che, pur essendo yin come tutti i numeri pari, era usato poiché considerato la somma di yang + yin.    vedi Art. 62°

 

 

È solo nel periodo Edo che decadono sia la visione cosmica e mistica dell’esistenza sia la percezione sacrale della natura, caratteristiche delle epoche precedenti, e contemporaneamente avviene un processo di secolarizzazione delle arti in genere, Ikebana incluso: la simbologia su cui era basata la creazione delle regole compositive dell’ikebana viene ritenuta superata e, piano piano, viene parzialmente dimenticata: la maggior parte di queste regole compositive basate su simboli religioso-filosofici continua ad essere applicata senza più saperne l’origine simbolica.

 

 

Le composizioni vengono ora percepite in modo differenti e, di conseguenza, vengono identificate con una nuova lettura dei kanji che, all’inizio del periodo Edo, si leggevano in lettura On shō-ka/sei-ka e che ora vengono letti, in lettura Kun, ike-bana, mettendo in evidenza ikeru=dare vita, ossia i vegetali non sono più visti per il loro simbolismo ma esprimono sé stessi in qualità di esseri viventi (vedi articolo 50°, sulla lettura On e Kun, e 54°, evoluzione dell’ikebana nella lettura dei kanji)

 

 

Nonostante questo cambiamento nella visione dell’assieme delle composizioni, le regole basilari compositive rimangono quelle del Rikka, anche se semplificate.

 

Ancora all’inizio del 1800 nel testo Enshū sōka ikō kaden shō (trasmissione orale dell’ikebana della scuola Enshū), di anonimo datato 1801, si afferma perentoriamente:

 

-se in una composizione non si trovano i princìpi dello yin/yang, questa non è un ikebana.-

 

 

In Giappone si è sempre attuato il sincretismo religioso e filosofico, ossia non si è mai sentito il dovere di scegliere una religione o filosofia rifiutando le altre; da ogni religione o filosofia si è sempre scelto ciò che sembrava più adatto o utile a seconda delle circostanze, nel privato, nella vita pubblica o per i riti di passaggio quali la nascita, il matrimonio, il funerale o altro.

 

 

Anche l’ikebana riflette questo sincretismo poiché nella sua costruzione sono riconoscibili i simboli sia di religioni che di filosofie differenti: la scelta dei vegetali e la loro associazione, la loro posizione ideale nella composizione, la direzione, le misure, sono basate sui simboli del taoismo, shintoismo, buddhismo, neo-confucianesimo e su delle pratiche magico-religiose come il feng-shui che verranno spiegate in seguito.

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00 ikebana scuola Ohara

Scopo di questo sito è stimolare la curiosità degli ikebanisti dando loro una visione dell’Ikebana la cui forma non sia separata dal suo significato e incitare il lettore ad approfondire i temi qui esposti.

 

Al giorno d’oggi c’è la tendenza, nell’arte occidentale in generale, ad apprezzare la forma per sé stessa. Le varie composizioni di ikebana vengono ammirate per la bellezza dei vegetali usati, dimenticando che la loro posizione e direzione, la loro scelta ed associazione, le loro misure e orientamento, il loro sfoltimento,  hanno tutti un significato poiché sono basati su regole compositive che simboleggiano lo shintoismo, il taoismo, il buddhismo classico e zen, il feng-shui e il neo-confucianesimo.

Il sincretismo religioso, caratteristica della cultura giapponese, lo ritroviamo nell’ikebana poiché le sue regole compositive sono basate su simboli di varie religioni.

Solo conoscendo la storia (e come questa ha influito nel plasmare i modi di pensare collettivi e nel rendere assoluti dei valori) si possono cogliere i significati delle arti tradizionali giapponesi in generale e dell’ikebana in particolare.

In caso contrario la conoscenza sarà per forza superficiale e limitata al suo aspetto esteriore.

Costatando che la maggior parte dei blog o dei siti si occupa della tecnica ma non della cultura che soggiace alla comprensione di un ikebana, presunzione di questo blog è dare delle spiegazioni che permettano una sua lettura più approfondita ossia una comprensione della sua struttura e del suo significato ( vedi art. 25°)

 

Questo sito è stato concepito per essere consultato ogni volta che l’ikebanista incontra un nuovo tema a lui poco conosciuto o vuole approfondire un tema a lui noto.

Disclaimer

L’autore non ha alcun interesse commerciale in questo blog.  I testi e le immagini inseriti sono personali o estratti da internet; qualora la loro pubblicazione violasse il diritto d’autore, il titolare può comunicarlo con un email e questi saranno subito rimossi.

  ALCUNE REFERENZE

 ikebana

 -Vari articoli e note di seminari

-L’ikebana, filosofia, religione e teoria dei fiori

-Ikebana pratico, coautore Masanobu Kudō

-Ikebana fiori viventi

-Ikebana, quando i fiori diventano arte

-Ikebana, l’arte meravigliosa di disporre i fiori

-Corso di Ikebana, l’arte di disporre i fiori

Jenny Banti-Pereira

 Flower Arrangement, Art of Japan

Mary Cokely Wood

 The Mastery of Japanese Flower Arrangement

Koshu Tsujii

 The Masters`Book of Ikebana

Sen`ei Ikenobo, Houn Ohara, Sofu Teshigahara

 -The Art of Japanese Flower Arrangement

-The Way of Japanese Flower Arrangement

  1. Koehn

 The Art of Flower Arrangement in Japan

  1. L. Sadler

 -The Theory of Japanese Flower Arrangements

-The Flower of Japan and The Art of Floral Arrangement

  1. Conder

 -The Flower Art of Japan

-Japanese Flower Arrangement

Mary Averill

 Japanese Floral Art: Symbolism, Cult and Practice

Rachel Carr

 Flower Arrangement: The Ikebana Way

Minobu Ohi, Senei Ikenobō, Houn Ohara, Sofu Teshigahara

 -Paysage: un art, une école, un espace

-L’ikebana

Martine Clément

 The Joy of Ikenobo Ikebana 2011

Ikenobo Ikebana Basic Guide

 temi legati all’ikebana

 

-Estetica del vuoto

-Dieci lezioni sul buddhismo

-Yohaku

Pasqualotto Giangiorgio

 -L’ideale della Via,  Samurai, monaci e poeti nel Giappone medioevale

-La cultura del Tè in Giappone

Aldo Tollini

 Il pensiero giapponese classico

Massimo Raveri

 Sources of Japanese Tradition, volume 1 and 2

Theodore de Bary, D. Keene, George Tanabe, Paul Varley

Epochs of Chinese and Japanese Art

Ernest F. Fenollosa

Yin and Yang, l’armonia taoista degli opposti

  1. C. Cooper

 Il Tao: la via dell’acqua che scorre

Alan W. Watts

 The Culture of Civil War in Kyoto

Mary E. Berry

 The World turned upside down

Pierre F. Souyri

The Ideals of the East

Akuzo Okakura

 Samurai, i guerrieri dell’assoluto

Marillier

Lo stile eroico, l’eroismo in Giappone

Junyu Kitayama

 La maschera del samurai

Aude Fieschi

 Zen and the fine Arts

Shin’ichi Hisamatsu

Lo zen e l’arte di tirare di spada

Kammer

 The Japanese Arts and Self-cultivation

Robert Carter

 Bushido, l’anima del Giappone

Inazō Nitobe

 The Samurai and the sacred

Sthephen Turnbull

 KO-GI-KI, libro base dello shintoismo giapponese

Mario Marega

 Lo spirito delle arti marziali

Dave Lowry

 Lo Zen e la via della spada

Winston L. King

 Kata

Kenji Tokitsu

 La via del tiro con l’arco

Paolo Villa

 The Zen Arts

Rupert Cox

 

– Japanese Tea Culture, art, history and practice

– Handmade Culture, Raku Potters, Patrons, and Tea Practitioners in Japan

Morgan Pitelka

 Rediscovering Rikyu and the Beginnings of the japaneseTea Ceremony

Herbert Plutschow

 AN INTRODUCTION TO JAPANESE TEA RITUAL

Jennifer L. Anderson

 TEA CULTURE OF JAPAN

Sadako Ohki

 Zen in the Art of Tea Ceremony

Horst Hammitzsch

  Lo spirito del Giappone

Leonardo Vittorio Arena

 Gli insegnamenti della pittura del giardino grande come un granello di senape

a cura di Mai-Mai Sze

 Sull’estetica giapponese

Donald Richie

 -La tradizione estetica giapponese

-Dalla città ideale alla città virtuale  Estetica dello spazio urbano in Giappone e in Cina

Laura Ricca

 L’estetica giapponese moderna

Marcello Ghilardi

 GIAPPONE, LA STRATEGIA DELL’INVISIBILE

Michel Random

 I fiori del vuoto

Giuseppe Jisō Forzani

 -Cultural Life of the Warrior Elite in the Fourteenth Century

capitolo 9  in The Origin of Japan’s Medioeval Word   edited by J.P. Mass  

-AshikagaYoshimitsu and the World of Kytayama                                                                                            cap. 12 in Japan in the Muromachi Age   ed. by J.W. Hall and Toyoda Takeshi

  1. Paul Varley

 Emperor an Aritocracy in Japan 1467-1680

Lee Butler

 The Japanese Way of the Flower: Ikebana as Moving Meditation

  1. E. Davey

 Dizionari delle religioni: Taoismo

Ester Bianchi

 La mente giapponese

Roger J. Davies e Osamu Ikeno

 Themes in the History of Japanese Garden Art

Wybe Kuitert

 Daimyo Gardens

Shirahata Yozaburo

 Book of Tea

Kakuzo Okakura

TEA OF THE SAGES: The Art of Sencha

Patricia J. Graham

 San Sen Sou Moku, il giardino giapponese nella tradizione

Sachimine Masui, Beatrice Testini

 L’universo nel recinto, I fondamenti dell’arte dei giardini e dell’estetica tradizionale giapponese, І e 2

Paola Di Felice

 The Shogun’s City, a History of Tokyo

Noël Nouët

 Kaempfer’s Japan, Tokugawa Culture Observed edited, translated by B. M. Bordart-Bailey

 The Origin of Japan’s Medioeval World

Courtiers, Clerics, Warriors and Peasants in the Fourteenth Century Edited by Jeffry P. Mass

FENG SHUI

Ernest Eitel

 Modern Reader on the Chinese Classics of FLOWER ARRANGEMENT

Zhang Qiande and Yuan Hongdao

Compiled by Li Xia

 

Cultivating Femininity  Women and tea Culture in Edo and Meiji Japan

Rebecca Corbett

 STORIA DEI SAMURAI E DEL BUJUTSU, nascita ed evoluzione dei bushi e delle loro arti nel Giappone feudale

Roberto Granati

 STORIA DEL GIAPPONE

Kenneth Henshall

Senno (Ikenobō), on the Art of Flower Arrangement 5° capitolo di Literary and Art Theories in Japan

Makoto Ueda

 The I Ching in Tokugawa Thought and Culture

Wai-ming Ng

 KAZARI Decoration and Display in Japan 15th-19th Centuries, 2002 edited by Nicole Coolidge Rousmaniere,

 KAZARI L’arte di esporre il BONSAI e il SUISEKI, 2016

Edoardo Rossi

 Warlords, Artists and Commoners, Japan in the Sixteens Century edited by George Elison, Bardwell L. Smith

 THE POLITICS OF RECLUSION, PAINTING AND POWER IN MOMOYAMA JAPAN

KENDALL H. BROWN

 KIRE: IL BELLO IN GIAPPONE

RYOSUKE OHASHI

 

 

 

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