Back to Top

Il meraviglioso mondo dell'Ikebana - The wonderful world of Ikebana - Le monde merveilleux de l'Ikebana

Monthly Archives: Gennaio 2023

52 genesi ed evoluzione dello Stile -Che si riflette nell’acqua-

articolo molto “tecnico”, per chi segue la Scuola Ohara

 

 

Le prime composizioni di ikebana che furono strutturate sono chiamate TETEBANA dal verbo        tateru = mettere in piedi, diritto

e da                   

   hana = “fiori” (comprende rami, fiori, erbe, foglie,…)

vedi articoli precedenti

perciò tatebana significa “fiori” diritti .

I vegetali erano raggruppati ed uscivano dal centro del vaso .

L’elemento principale che la Scuola Ohara chiama shu era sempre centrale e diritto poiché uno dei vari simboli rappresentati nel Tatebana/Rikka è la triade Buddhista con Buddha al centro contornato da due figure minori che nella composizione diventano shu al centro contornato da fuku e kyaku.

 

Col passare del tempo lo shu centrale, da diritto, assunse delle curvature e i rami laterali, da una disposizione simmetrica del tatebana, furono disposti in modo asimmetrico:

la composizione venne chiamata RIKKA, leggendo con -lettura on– i kanji, che prima venivano letti in -lettura kun-, tetebana (vedi articolo 54°)

 

essendoci ora la possibilità di creare una composizione “a specchio” rispetto all’altra, si introdusse la differenziazione fra composizione hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra (vedi articoli 16° e 17°)

 

 

 

 

Rikka hongatte

 

 

 

 

Rikka gyakugatte

Dal rikka, nel periodo Edo, si passò a forme di ikebana più semplici, composte da soli tre elementi principali con i loro ausiliari, che vennero chiamate shōka e seika

shōka/seika gyakugatte                                                                     shōka/seika hongatte

Con il Moribana ed Heika, la scuola Ohara, coerente con la nomenclatura di-destra e di-sinistra, ha messo la composizione hongatte/di-destra a destra del centro del vaso e la composizione gyakugatte/di-sinistra a sinistra del centro del vaso (vedi articoli precedenti)

 

 

 

 

 

Moribana, Stile Alto,
hongatte/di-destra.

 

 

 

 

Moribana Stile Alto,
     gyakugatte/di-sinistra.

È già stato sottolineato varie volte che nelle prime forme di ikebana l’unico modo di disporre i vegetali nel vaso era quello con lo shu al centro e verticale che corrisponde allo Stile Alto della Scuola Ohara: dunque tutte le regole compositive sono state create per uno stile simile allo stile Alto/verticale della scuola Ohara.

Gli altri stili (obliquo, cascata, che si riflette nell’acqua) sono apparsi dopo e quindi le regole per questi stili sono risultate da piccole modifiche delle regole create per lo stile Alto/verticale.

Tralasciando le varie tappe intermedie e semplificando moltissimo la spiegazione si può dire che col passaggio dal Rikka allo Shōka e Seika, lo shu assunse anche posizioni “inclinate” o “a cascata” mentre fuku e kyaku rimasero immutati nelle loro relative posizioni sulle quali è basata la definizione hongatte/di destra e gyakugatte/di sinistra.

 notare come la posizione di fuku e kyaku non cambia nei tre Stili

Con questi cambiamenti, shu non era più al centro della composizione; dunque la classificazione hongatte e gyakugatte, basata sul fatto che shu fosse al centro con fuku e kyaku ai suoi lati, dovette adattarsi alla nuova evoluzione.

Siccome la differenza fra lo stile verticale e gli stili obliquo e cascata risiede solo nel cambiamento della posizione di shu, mentre la posizione di fuku e kyaku, per quanto riguarda la definizione hon- e gyakugatte,  rimane relativamente invariata, si definisce hongatte la composizione degli stili obliquo e cascata come nel disegno sopra.

Per la disposizione gyakugatte vale lo stesso ragionamento:

disposizione gyakugatte

posizione di:

shu, stile verticale    1

shu,  stile obliquo    2

shu, stile cascata     3

Lo stile -Che si riflette nell’acqua- fu creato quale variante dello stile Obliquo, semplicemente spostando il kenzan al lato opposto del vaso, lasciando inalterato il rapporto fra i vari elementi ma restringendo il triangolo scaleno delle inserzioni di shu, fuku e kyaku avvicinando shu a fuku.

La nuova composizione era sempre hongatte ma non più di-destra poiché si trovava ora a sinistra del centro del vaso e nei testi veniva giustamente definita hongatte, ma di-sinistra; stessa nomenclatura per la composizione “a specchio” gyakugatte.

Il binomio hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra, usato nell’ikebana per più di quattrocento anni sin dalle prime forme codificate, non era più applicabile in questo stile: per un lungo periodo nella scuola Ohara si mantenne l’incongruenza, rispetto alla nomenclatura del passato, di chiamare la composizione nello stile -Che si riflette nell’acqua- hongatte ma di-sinistra e gyakugatte ma di-destra.

Col tempo la Scuola Ohara modificò la posizione di fuku; partendo dalla posizione dello Stile obliquo, la sua posizione venne modificata in varie tappe successive fino ad arrivare alla posizione attuale.

visione dall’alto che mostra come fuku, dalla posizione dietro shu dello -stile che si riflette nell’acqua- uguale a quella dello stile obliquo, è stato spostato nella posizione attuale dietro a kyaku

Essendo ora cambiata la posizione di due (shu e fuku) dei tre elementi su cui si basa la definizione hongatte e gyakugatte, lo Stile -Che si riflette nell’acqua- non è più classificabile se hongatte o gyakugatte: per questa ragione, e cercando una omogeneità di posizione del kenzan con gli altri stili Alto e Obliquo, la Scuola Ohara ha basato la definizione hongatte/di-destra e gyakugatte/di-sinistra sulla posizione del kenzan rispetto al centro del vaso, ossia:

La Scuola Ohara, rimanendo il più possibile legata alle tradizioni, ha modificato la nomenclatura originale solo per lo Stile -Che si riflette nell’acqua-

La definizione hongatte/di-destra e gyakuggatte/di-sinistra, negli stili creati prima degli anni 1930, è indipendente dal punto d’uscita dei vegetali dal vaso ma dipende unicamente dalla relazione delle rispettive posizioni dei tre elementi principali.

 

Nel rikka le composizioni di-destra e di-sinistra esce sempre dal centro del vaso

 

 

I seika, a seconda delle differenti Scuole, partono o dal centro o da destra o da sinistra della bocca del vaso.

Esempi di tre seika, tutti e tre gyakugatte o di-sinistra, che partono da destra o dal centro o da sinistra della bocca del vaso, poiché sono eseguiti da tre differenti scuole.

Risulta evidente da questi pochi esempi che la denominazione hongatte o di destra e quella gyakugatte o di-sinistra descriva (prima della creazione del Moribana) la relazione fra i tre vegetali principali shu-fuku-kyaku ed è indipendente da dove è situato il punto d’uscita dei vegetali dalla bocca del vaso.

Posted in Senza categoria |

51 ikebana specchio delle stagioni

La composizione, oltre che ad essere perfetta nell’esecuzione tecnica, deve dare a chi l’osserva delle sensazioni che evidenzino la stagione in cui essa è eseguita.

Sen no Rikyū (1522-1591), parlando della Cerimonia del tè, diceva: “in estate dare la sensazione di frescura, in inverno quella del calore”, concetto estendibile anche all’ikebana.

Se consideriamo l’estate, siccome nell’antica capitale Kyoto si arriva ai 30°-40° di calore umido, la sensazione predominante che si deve percepire è la frescura che si cerca all’ombra, meglio vicino all’acqua (fiume, lago, stagno) o esponendosi all’aria mossa dalla brezza o dal vento .

 purificazione shintoista con l’acqua

Da evidenziare che gli elementi acqua e vento sono associati, per i giapponesi, sia alla purificazione (lo Shinto prevede due modi di purificazione: tramite l’acqua e tramite il vento) sia alla nascita della più importante divinità shintoista, la dea Amaterasu, da cui discende direttamente l’imperatore. La dea nacque dall’occhio sinistro (la sinistra è yang, più importante della destra, yin) durante il rito di purificazione con l’acqua fatto dal padre Izanagi dopo la sua uscita dagli Ìnferi alla fine del suo vano tentativo di ricuperare  la  moglie Izanami, morta causa le ustioni subite nel partorire il kami del fuoco.

Praticamente nell’ikebana la sensazione di frescura si ottiene :

1- usando piante acquatiche in una grande superficie d’acqua o usando vegetali non acquatici (colti nel prato, selva, bosco, collina, montagna) posizionati lievemente piegati in modo che la sensazione di frescura sia percepita tramite la vista dei vegetali piegati dalla brezza o dal vento .

2- anche il vedere i vegetali coperti di rugiada (spruzzati col vaporizzatore) aumenta la sensazione di frescura, come pure il vedere nel vaso basso da Moribana una superficie d’acqua estesa rispetto alla zona occupata dai vegetali.

3- scegliendo vegetali con specifiche forme e colori:

– le varie tonalità di blu, verde-blu e bianco, danno la sensazione di frescura come pure i colori vivaci e brillanti favoriscono questa sensazione, anche se il colore per sé stesso non ha una tonalità “fresca”.

– rosso e giallo sono colori “caldi” ma l’arancio, il mandarino o il colore giallo-limone, se vivaci e brillanti, danno pure la sensazione di frescura .

– le forme rotonde o quadrate sono più “calde” delle forme triangolari.

– vegetali o fiori con steli piegati o ricurvi sono più “freschi” che quelli diritti o verticali (il mantenersi diritto o verticale contro la forza di gravità sottintende l’uso di energia = calore).

– le linee sono “fresche” mentre le masse (con la loro “pesantezza”) sono “calde”; la “leggerezza” di un materiale lo rende fresco mentre la sua “pesantezza” lo rende caldo: ne segue che in estate sono da preferire le linee mentre in inverno sono da preferire le masse .

– pochi colori e un numero basso di specie (non più di 3) danno di più la sensazione di frescura rispetto a tanti colori o un numero elevato di vegetali; in altre parole le frescura si basa sulla semplicità.

– anche la scelta dei vasi partecipa nella sensazione di frescura: preferire vasi con colori e forme semplici.

 

Per quanto riguarda gli stili, l’uso dello stile Alto nel Moribana ed Heika, con lo Shu verticale che “usa energia” per crescere, è meno adatto per dare la sensazione di frescura rispetto all’Obliquo, Cascata e -Riflesso nell’acqua-.

Posted in Senza categoria |

50 la lingua giapponese

l`ikebanista viene a contatto con nomi giapponesi perciò alcuni cenni sulla lingua giapponese sono necessari.

 

 

– non ha accenti:  ad esempio nageire si pronuncia na-ge-ire e non nagèire o nageìre.

 

– sono in uso 4 modi di scrittura :

° KANJI

(Kan = Han = dinastia cinese + JI = segni, ossia -segni degli Han-)

sono gli ideogrammi importati dalla lingua cinese

 

° HIRAGANA

(HIRA = uso comune, facile + KANA = carattere preso in prestito)

è un sillabario fonetico di 46 caratteri, derivanti (presi in prestito) da parti di kanji

° KATAKANA

(KATA = parte), usato per parole d`origine straniera

sillabario fonetico di 46 caratteri derivati pure da parti di kanji, differenti da quelli dell’hiragana

 

° ROMA-JI , uso dell’alfabeto latino

 

Per scrivere il giapponese usando caratteri latini si usa il sistema HEPBURN in cui le vocali sono pronunciate all’italiana mentre le consonanti all’inglese ;

– CH si pronuncia sempre come C di cena

–  F sempre spirata

– G si pronuncia sempre come la G di gatto

– H si pronuncia come in tedesco

– J si pronuncia sempre come la G di Genova

– S si pronuncia come in subito

– SH si pronuncia sempre come in scivolare

– W si pronuncia sempre come la U di uomo

– Y si pronuncia sempre come una I normale

– Z si pronuncia sempre come la Z di arazzo

– TSU tale e quale all’inizio di una parola e come la Z di zucchero al suo interno

– U è pressoché muta in TSU e SU, sopratutto se si trovano in posizione finale

– non esistono né la L né la lettera V

– nelle parole composte: la H diventa B (ad esempio  ike-hana diventa ike-bana)

– il trattino posto sopra le vocali le prolunga, come in Ka-dō, e si chiama -macron-

 

KANJI

Ogni Kanji può essere letto in due modi:

 

lettura ON, lettura cinese, colta ma non come legge un cinese bensì con la pronuncia giapponese usata quando quello specifico kanji è stato importato in Giappone; siccome la lingua cinese, come tutte le lingue, si modificava nel tempo e lo stesso Kanji può essere stato importato in luoghi del Giappone differenti e/o in periodi storici differenti, possono esistere varie letture On dello stesso Kanji.

lettura KUN, lettura giapponese, popolare; possono esistere diverse letture Kun dello stesso Kanji poiché diverse parole possono corrispondere alla stessa idea o la stessa idea può esistere sotto forma di nome, verbo, aggettivo,….

 

esempio  

 

la lettura On dei due kanji è Seika o Shōka mentre la loro lettura Kun è Ikebana.

il kanji KA è composto dal radicale

° erba, che significa “ vegetale “

posto sopra un

° uomo in piedi (ossia giovane) seguito

da un uomo seduto (ossia vecchio) che significa “cambiamento”

 

dunque il kanji KA significa: “erba” che cambia ossia “vegetale che cambia, che si trasforma, che invecchia “ e il suo significato non è limitato a fiore, come di solito tradotto ad esempio Ka-dō = “la via dei fiori”, ma indica praticamente tutti i vegetali che si possono usare in ikebana.

 

 

La traduzione di Ka con “fiori” deriva dal fatto ché in Occidente si decoravano le abitazioni/luoghi d’incontro/chiese con solo fiori, ed erano le signore a farlo, per cui l’ikebana, all’inizio, fu percepito solo come “il modo giapponese” di decorare.

Contrariamente a quest’idea,  l’ikebana è nato, pur con un senso estetico, come costruzione simbolica – che usava rami per gli elementi principali e fiori solo all’interno della composizione (vedi articolo 2°)- per esprimere dei concetti religioso-filosofici ed era posto solo nel tokonoma, luogo “sacro” della casa, ed erano solo gli uomini che praticavano quest’arte.

 

Per tale ragione in questi articoli il termine “fiori” quando si riferisce ad hana è messo fra virgolette per indicare che esso comprende tutti i vegetali.

 

Interessante notare che, mentre nelle lingue europee la parola “fiore” o “vegetale” dà un’idea statica, il kanji Ka dà un’idea di movimento nel tempo “dell’erba che si trasforma, che invecchia”, ossia evidenzia la transitorietà cara al Buddhismo

 

 

Altri esempi:

 

Il kanji indicante il numero 4

lettura On: shi

lettura Kun: yon

 

shi=morte

 

esistono molti kanji omofoni: ad esempio ci sono una quarantina di kanji differenti tutti letti shi e uno di questi significa morte; questa è la ragione per cui non si usa il numero 4 in Ikebana poiché il kanji di 4, letto On lo si associa a “morte”

 

 

La situazione è ulteriormente complicata per chi legge le traduzioni italiane di parole giapponesi uguali a quelle cinesi, tenendo presente che molte di esse sono scritte con kanji identici a quelli cinesi da cui derivano .

 

 

Poiché esistono ben tre sistemi differenti di traslitterazione, lo stesso kanji è traslitterato usando lettere dell’alfabeto differenti a seconda del sistema usato.

 

sistema HEPBURN

vocali pronunciate all`italiana, consonanti all`inglese, usato per la lingua giapponese

sistema WADES-GILES

usato per il cinese fino al 1959 in seguito sostituito dal Pinjin

sistema PINJIN usato per il cinese

 

Ad esempio il kanji che significa ENERGIA, FORZA viene traslitterato:

 

 

 

i kanji indicanti i tre elementi principali usati nell’ikebana

-shushi, fukushi e kyakushi- sono i seguenti

 

 

 

 

 

Il secondo kanji, uguale in tutti e tre nomi, si pronuncia SHI e significa ramo; questi nomi ci ricordano che nell’ikebana, alle sue origini, si usavano solo rami per gli elementi principali, anche in kyakushi in cui, al giorno d’oggi, si usano prevalentemente fiori o foglie.

 

La lingua ufficiale giapponese è il dialetto di Tokyo, formatosi nel Periodo Edo dalla mescolanza dei dialetti del Nord con quelli della corte di Kyoto.

Dichiarata lingua ufficiale nel 1868 dal Governo Meiji, essa non ha i generi maschile o femminile né il singolare o il plurale.

 

La lingua giapponese non ha genere e la traduzione in italiano pone il problema del genere usato; di solito si preferisce usare il maschile ma molti autori usano in italiano il genere del corrispondente vocabolo in italiano: ad esempio katana (spada) verrà tradotto il katana ma molti autori, pensando che in italiano spada è femminile, usano la katana.

Quando è possibile, si tralascia l’articolo e quando non si può tralasciarlo, si preferisce usare il maschile.

 

Ikebana lo si usa al maschile (lo ikebana) per sottolineare sia che quest’arte è nata ed è stata praticata esclusivamente da maschi fino all’arrivo della cultura occidentale, sia il fatto di volerlo nettamente differenziare dalla (femminile) decorazione floreale.

 

 

Scriverò: “l’influenza dello zen su kyudo e kendo,,,,, “

 

Se non è possibile tralasciare l’articolo , scriverò :

il chabana, lo zen, il chanoyu, il kakemono, il wabi, il sabi, il sumi-e (pittura ad inchiostro), il fusuma (pannello scorrevole), il satori (risveglio buddhista), il katana,…

 

Ad esempio scriverò:

“fra gli accessori del katana (spada) l’elemento principale è lo tsuba (elsa o guardamano) che serve a proteggere la mano . Negli tsuba la funzionalità ……”

 

Alcune parole giapponesi sono entrate ormai nella lingua italiana e riportate dai vocabolari col loro genere in italiano come : “la geisha”

 

 

ATTENZIONE :

in italiano i nomi stranieri non cambiano al plurale :

ho vari handicap, pratico molti hobby, ha parlato con due hostess, ho visto tre film, due geisha ( o due geishe, se lo considero vocabolo italiano), tre katana, due kakemono, tanti ikebana, alcuni chabana, due kimono, tre fusuma, ho letto due haiku, tre koan, usato due kenzan , ecc.

 

 

 

Posted in Senza categoria |

49 i sostegni nell’ikebana

dalla paglia …allo shippo …al kenzan…..

 

 

 

 

Per sostenere i vegetali nelle prime composizioni in vasi alti (tatebana) si usavano probabilmente delle erbe o altri piccoli vegetali, come si vede in questo dipinto cinese del 14° sec. dinastia Yuan o nel vaso giapponese in bronzo, con loto, datato 1330.

 

Rikka

 

 

Nei Tatebana e Rikka, prime forme di ikebana codificate, per fare in modo che i vegetali rimangano diritti come indica il nome stesso (vedi art. 54°),  si riempie il vaso con un fascio di paglia, chiamato komiwara, formato dall’unione di più fastelli nel quale si inseriscono i vegetali.

 

 

I vari vegetali non sono inseriti direttamente nel komiwara:

come è visibile nei disegni a lato, i rami sono attaccati a dei  bastoni appuntiti che vengono infilzati nella paglia mentre  fiori e foglie sono posti in contenitori, riempiti d’acqua, ottenuti tagliando da una canna di bambù un “vaso” e lasciando alla sua base una lunga e assotigliata parte della canna da inseriti nel komiwara

 

 

disegno dei punti di inserzione nel komiwara degli elementi principali e degli ausiliari, in tutto una quarantina.

esempio attuale di costruzione di un rikka

 

 

 

 

 

Shoka/Seika

Col passaggio dal Rikka al più semplice Shoka/Seika, dovendo far stare “diritti” meno vegetali che nel Rikka, si è introdotto l’ HANAKUBARI, forcella in legno a forma di Y ricavata legando due legnetti o tagliando un rametto biforcuto.

 

 

kubari:

il legnetto posto di traverso

nella parte posteriore del kubari

serve a bloccare i vegetali nella forcella

esempio di Seika con cinque rami di pino numerati e loro posizione nel kubari

da notare come la suddivisione della composizione in parte yang (vegetali rami 1, 2 e 3) alla nostra sinistra e parte yin (vegetali fiori 4 e 5) alla nostra destra viene mantenuta nella posizione delle inserzioni dei singoli rami nel kubari.

Moribana

Erano già in uso composizioni in vaso basso, molto più rare di quelle in vaso alto, ma queste avevano un’uscita dal vaso unitaria in due versioni: gruppo shu-fuku-kyaku tutto unito oppure gruppo shu-fuku -con uscita unitaria- separato dal gruppo kyaku -con uscita unitaria-

Con la diffusione di questo nuovo modo di disporre i vegetali, introdotto dalla scuola Ohara ma, dopo un’iniziale resistenza, adottato da tutte le scuole, vengono ideati dei sostegni da mettere in un vaso basso, il suiban.

gruppo shu-fuku-kyaku con uscita unitari

gruppo shu-fuku (uscita unitaria) separato da gruppo kyaku (uscita unitaria)

esempio di sostegno usato all’inizio dell’introduzione del Moribana

  

 

sostituito poi dallo shippo

 

SHIPPO ( i due kanji con cui è scritto significano: 7 gioielli )

Il nome shippo, usato per indicare questo tipo di sostegno, deriva da tre significati differenti:

A- per il buddhismo, shippo indica sette valori spirituali dell’individuo e contemporaneamente un elenco di sette gioielli che li rappresentano; essi sono elencati in vari Sutra. Siccome i vari nomi in sanscrito non erano sempre comprensibili ai traduttori cinesi , i nomi dei “7 gioielli” differiscono nei vari Sutra .

Comuni a tutti gli elenchi sono

1 ) oro 2) argento

ma gli altri sono :

3) acquamarina o lapislazzuli o turchese ,

4) perle o ambra o cristallo

5 ) corallo bianco o agata

6) perle rosse o corallo o rubini

7 ) ambra o smeraldo o agata o giada

I sette valori spirituali ad essi associati sono :

1) oro = tesoro della convinzione

2) argento = tesoro della virtù

3) = coscienza

4 )= altruismo

5) = ascolto

6) = generosità

7) = saggezza

B- in epoca Heian, quando il disegno basato sull’intersecarsi dei cerchi arrivò in Giappone dalla Cina, anche se nel disegno stesso non appariva né il numero 7 né i singoli gioielli elencati nei Sutra, questo disegno apparve agli occhi della nobiltà giapponese “brillante come una gemma, come un gioiello” e fu considerato di “buon auspicio”; il disegno venne chiamato shippo.

Il motivo dei cerchi che si intersecano fu visto come porta-fortuna poiché può moltiplicarsi in tutte le direzioni all’infinito e fu usato sia nei disegni delle stoffe sia come amuleto.

amuleto del periodo Heian

Alcuni autori affermano che il nome del disegno derivi da un gioco di parole: shi-ho = quattro direzioni    

 

       

 

disegno a shippo su un kimono

di una venditrice itinerante.

-museo Chiossone, Genova-

 

 

 

Sasaki Yoshimitsu, 1860

tsuba a forma di shippo

 

attore kabuki 1849

bottone da uniforme

 

C- il nome shippo significa anche “cloisonné”, nome francese che indica la tecnica (usata specialmente nei gioielli) con cui si cola dello smalto fuso colorato in piccole cellette, cellette suggerite dall’intersecarsi dei cerchi nei disegni dello shippo.

spilla cinese decorata a cloisonné

proteggimano di una spada (tsubo) ornato col motivo porta-fortuna dello shippo

motivo dello shippo quale sfondo del disegno

Yoshima Gakutei 1890 circa

scatoletta a forma di shippo

scatola portavivande

Interessante il fatto che il disegno dello shippo è presente sui tessuti che coprono le pareti in questo affresco di Giotto

 

oppure in questo pavimento a mosaico di epoca romana ( IV sec. d.C.) rinvenuto nel 1955  durante  uno scavo in piazza Duomo a Parma

KENZAN

 

Il kenzan, poco usato dalla Scuola Ohara all’inizio ma di più facile uso rispetto allo shippo, è ora utilizzato per tutte le composizioni in vasi bassi ad eccezione delle composizioni “tradizionali” (Paesaggi tradizionali e Moribana tradizionale di Colore) in cui l’uso dello shippo nella parte tradizionale della composizione rimane obbligatorio.

Fedele al detto giapponese -il nuovo si aggiunge al vecchio senza soppiantarlo- il kenzan ripropone in chiave attuale il concetto dell’uso dei fasci di paglia del Rikka in cui gli steli della paglia sono stati sostituiti dagli aculei in ferro.

kenzan con il disegno e la forma degli shippo a due o tre anelli

Altre Scuole tradizionali d’Ikebana ( come ad esempio Enshu, Misho, Koryu) utilizzano ancora oggi dei sostegni per i vegetali, sempre meno utilizzati causa la loro difficoltà d’uso, come il morso dei cavalli che si può comporre in 50 differenti forme standardizzate:

morso per i cavalli

alcune possibili varianti delle posizioni di un morso, tratte da Conder, 1889

sostegni a forma di tartaruga o granchio o uso di oggetti quotidiani quali  forbici o  ventagli

  

 

La carbonella era molto usata principalmente per assorbire l’umidità ( ad esempio sparsa in grandi quantità sotto le case tradizionali) o per assorbire i cattivi odori nelle cucine, raramente era usata nell’ikebana come sostegno.

 

 

 

scuola Koryu

Nella cerimonia del Tè per riscaldare l’acqua si usa della carbonella disposta secondo specifiche regole; particolarmente apprezzata  è il tipo di carbonella chiamata Ikeda-zumi (carbone di Ikeda) prodotto dalla carbonizzazione della quercia e chiamata anche kiko-zumi (carbone crisantemo) per la sua particolare forma che richiama questo fiore

Questi pezzi di carbonella erano anche usati come sostegno di piccole composizioni, come si vede in questo dipinto di anonimo, datato 1665, rappresentante una cortigiana che inserisce dei piccoli fiori in tre pezzi di kiko-zumi

 

 esempio di attualizzazione dell’uso della carbonella quale sostegno visibile di un ikebana in queste composizioni libere, sopra di Keita Kawasaki -Mami Flower Design School- e sottostante di Toshiro Kawase.

Posted in Senza categoria |

48 i cestini nell’ikebana – cerimonia del tè, seconda parte

leggere prima articolo 21° sulla catalogazione: formale shin, semi-formale gyō e informale

i cestini nel CHANOYU ( WABI-CHA ): chabana

Il Chanoyu è composto con molte varianti a seconda delle Scuole da una sequenza di:

spuntino Kaiseki, saké, dolci, cerimonia con la carbonella, Tè leggero (usucha), Tè denso (koicha); tale sequenza era divisa in due parti dalla rimozione del dipinto nel tokonoma, sostituito da una semplicissima composizione “floreale” (chabana) – al giorno d`oggi ambedue rimangono nel tokonoma -.

Ogni Scuola del Tè, col passare del tempo, ha modificato alcune regole (solo quelle meno importanti), valide al tempo di Rikyū (come è successo per le Scuole d`Ikebana, che hanno mantenuto le regole di base della scuola Ikenobo, ma modificato le altre, per differenziarsi una dall’altra).

La composizione chabana dev`essere semplice, senza pretese, e non segue le regole scolastiche ma i vegetali sono messi:

“come se crescessero nei campi” (secondo le regole di Sen no Rikyū) ,

in semplici vasi di bronzo, ceramica, bambù, legno, posti a terra o sospesi nel tokonoma.

Contenitori: posti al suolo, agganciati alla parete o appesi tramite catenelle al soffitto, sono classificati (vedi articolo 21°) :

Shin ( formali ) : vasi di bronzo o cinesi o di porcellana

Gyō ( semiformali ) : terracotta lucidi

Sō ( informali ) : terracotta semilucida o opaca, cestini

I vasi non devono aver disegni o decorazioni, quelli fatti di un sol pezzo di bambù (introdotti da Rikyū) sono considerati Gyō oppure Sō e i cestini erano usati solo nei mesi lunari caldi, da maggio a ottobre quando l`acqua per il Tè viene fatta bollire sul Furo  (=”focolaio al vento” ossia il braciere portatile),

 

 

esempio di Furo

mentre nei mesi invernali si fa bollire l`acqua per il Tè sul Ro = “focolaio” fisso, scavato al centro della stanza, e in questi mesi i cestini non erano usati.

 

esempio di Ro

 

 

I vasi o sono sospesi o devono appoggiare su tavole di legno rettangolare  ma non i cestini poiché i fiori sono inseriti, al suo interno, in vasi di bambù contenenti l’acqua e il cestino stesso fa le veci della tavola.

Le tavole sono classificate :

Shin o formale:        tavole laccate di nero con angoli e bordi squadrati

Gyō o semi-formale: tavole laccate con bordi ed angoli smussati

Sō o informale:         tavole di paulonia o cedro lasciate al naturale.

I cestini sono classificati :

Shin , cestini a forma simmetrica con le “onde” dell`ordito di bambù precise ,

elaborate

Gyō , cestini a forma simmetrica ma con onde meno precise

Sō , cestini a forma irregolare e con onde irregolari

Solo le composizioni e tavole classificate Sō vengono spruzzate con acqua, per dare la sensazione di frescura.

Ovviamente il tipo di vegetali è scelto in funzione del tipo di contenitore (shin, gyō, sō ) e il contenitore è scelto in funzione del tipo di Cerimonia (shin, gyō, sō) e il tipo di cerimonia è scelto in funzione dell’ospite o dell’occasione (formale, semiformale o informale).

composizione shin o formale con fiore shin e tavola shin

 

Esempio di fiori shin sono la camelia, probabilmente per la sua relazione botanica con il tè, alcune varietà di crisantemi, simbolo dell’imperatore, la peonia, per la sua origine cinese, e il loto, fiore di Buddha.

I vegetali devono essere dispari (ma il 2 è permesso); Rikyū diceva che in una stanza piccola si dovrebbe usare un solo elemento, due al massimo.

Usare vegetali “poveri”: fiori in boccio (ma l`ipomea e l`ibiscus devono essere aperti), fiori erbacei, erbe, viti, rami, e per la loro scelta frequentemente si fa riferimento ai vegetali citati nel MANYOSHU, antologia di antichi poemi dell`8° sec.

Nel NAMBō -ROKU (secondo la tradizione scritto da Nambō , discepolo di Rikyū, verso la fine del 1500) si cita una lunga lista di vegetali il cui uso è proibito nello Chabana :

1) fiori con colori violenti o vistosi o di forme molto particolari (ossia tutto ciò che è contrario allo spirito del Wabi, dando sensazioni di stravaganza o arroganza)

2) fiori che non presentino un legame specifico con una sola stagione (ad es. la Skimmia)

3) fiori troppo profumati, che entrano in conflitto con il profumo dell`incenso che brucia per purificare l`ambiente (come  dafne , rosa , gardenia)

4) fiori dall’odore sgradevole (ma la patrinia si, anche se dopo un poco puzza)

5) fiori con nomi sgradevoli (ad es. cresta di gallo)

6) rami con frutti (ma l`alkekengi si) o con le spine (ma si possono togliere) o vegetali con grossi peli

7) fiori che di solito vengono usati per l`offerta sull`altare di Buddha

8) vegetali che si possono mangiare (ma i fiori di rapa , si)

 

Benché non sia una regola scritta, l`ipomea bianca, preferita da Rikyū viene raramente usata per rispetto a Rikyū (riferimento all’episodio dell’ipomea/convolvolo con Hideyoshi) e inoltre a Rikyū non piacevano sia le genziane che i crisantemi poiché “durano troppo a lungo e non mostrano la bellezza dell`attimo transitorio della vita”.

I cestini piccoli sono scelti fra le molteplici forme che in passato erano d’uso quotidiano per la raccolta di bacche, pesci, radici, cicale, fiori, ed altro; anche se queste attività non più attuali, i cestini con queste forme caratteristiche e specifiche  vengono ancora creati dagli artigiani per contenere i fiori.

L`uso di questi cestini da parte dei Maestri del Tè ha avuto un impatto sia sull`ikebana, introducendo il modo di disporre “libero” del Nageire rispetto al modo “vincolato alle regole” del Rikka, sia sulla loro produzione, aumentata e ulteriormente differenziata dopo la diffusione del Senchadō. in Giappone esistono i TESORI NAZIONALI VIVENTI, ossia maestri di arti manuali che preservano le tecniche e le abilità artistiche in pericolo di essere perdute, fra i quali ci sono vari artigiani costruttori di cestini.

 

Sono molto usati oggi quelli creati con le strisce di bambù riprendenti le forme di quei cestini “utilitari” che, al giorno d`oggi, non hanno più un uso pratico.

Nei contenitori con bocca piccola si usano solo uno o due elementi, se la bocca è più ampia, più elementi, di solito in numero dispari .

I vegetali usati devono essere umili, usando erbe, viti, ramoscelli, fiori di campo, con parsimonia i rami fioriti. Contenitore e contenuto vengono spruzzati con acqua in modo di dare l`idea che sia coperta da rugiada o bagnata dalla pioggia .

La composizione, semplice e senza pretese, deve durare solo un giorno: a seconda dell`orario d`inizio della cerimonia i fiori saranno in boccio, se avviene in mattinata, aperti, se di primo pomeriggio, molto aperti se in fine serata, sottolineando agli ospiti la sintonia con la natura e evidenziando l`unicità e la “non possibile ripetizione” di quell’incontro : « ichi go, ichi-e » (= un incontro, un momento ).

Diari descriventi gli incontri guidati da Rikyū parlano di preferenze per uno o due “fiori”, se in numero maggiore sempre dispari, nei cestini grandi fino a nove; all`uscita dal contenitore, i gambi sono spogli, gli steli alleggeriti dalle foglie non necessarie e i fiori possono scendere al di sotto della bocca del cestino, posizione proibita nelle composizioni delle scuole d’ikebana.

Fra i princìpi compositivi elencati da Rikyū messi in versi (waka):

1) “I fiori devono essere come quelli che crescono nel prato”

intendendo che non devono essere messi confusamente e affollati all`eccesso ma devono esprimere lo zen tramite le sue regole estetiche.

2) “i fiori sono il calendario della stanza da Tè “

ossia devono esprimere la stagione

uso dei cestini nell’ikebana

 

I cestini non sono mai sollevati tenendoli per il manico, specialmente se lungo e sottile, ma sollevati da sotto coprendo le mani con un panno per evitare che il grasso della pelle li rovini.

La composizione nel cestino deve dare la sensazione di naturalezza, raffinatezza, essere spoglia, modesta, rustica; è sempre di tipo “realistico-vegetativo”, mai “moderno-non-realistico” e per la scuola Ohara i cestini possono essere usati per la maggior parte delle composizioni del suo curriculum, dagli Hana-isho ai Moribana ed Heika, per gli Hanamai, Rimpa e Bunjin.

Il volume dei vegetali, in rapporto al contenitore, è ridotto rispetto a quello utilizzato per i vasi in ceramica e le proporzioni dei vegetali rispetto al cestino non necessariamente si basa sulle sue misure (di solito misure dei vegetali più ridotte).

La scelta dei vegetali è libera, in piccole quantità ( 2 o 3 specie ); evitare fiori troppo grossi o sgargianti o sofisticati (quali rose coltivate, garofani, gladioli, arum, gerbera, fiori d`origine tropicale ad eccezione delle piccole orchidee); posizionare alla base , destra o sinistra , i gruppi di foglie o fiori , in modo che il manico del cestino sia lasciato libero.

 

quest`ultimo, se incrociato da un ramo lungo, lo sarà a circa 1/3 della sua lunghezza partendo dalla base ; se si usa una massa, questa occulta il manico solo nella parte bassa per circa 1/3; 2/3 del manico devono essere lasciati liberi.

 

 

Kawase Toshiroo, nel suo «The book of ikebana » cita i testi classici che dicono: ” fiore molto aperto per preservare la forma di tutti gli altri fiori ” ossia il mettere un fiore (relativamente) grande e aperto alla base della composizione (nejime), dà più unità alla composizione, soprattutto se si usano varie “erbe delicate”, troppo simili fra loro nella loro “debolezza”, oppure se si usa un unico ramo dalla forma elegante.

 

(C) scuola Ohara, bunjin moribana

 

Scuola Ohara :

tutti gli stili del Moribana sono usati nei cestini; a lato esempi di moribana stile Riflesso nell’acqua

 

Posted in Senza categoria |

47 i cestini nell’ikebana – cerimonia del tè -Chanoyu-, prima parte

 

la consuetudine di utilizzare dei cestini quali contenitori per l`ikebana è stata introdotta principalmente tramite i due modi codificati di bere il tè:

– il primo, apparso nel periodo Muromachi e basato sull’estetica wabi-sabi, Chanoyu =tè in acqua bollente o cerimonia del tè (anche Chadō/Sadō =via del tè) che usa il matcha (foglie verdi ridotte in polvere) 

 

– il secondo, apparso nel periodo Edo, Senchadō =via del tè infuso che usa il sencha (foglie verdi lasciate intere). vedi art. 36° i Bunjin

 

 

succinta STORIA

All’inizio  dello shogunato Ashikaga (1338-1573) vennero ripresi i contatti con la Cina (inattivi sin dal periodo Heian) e l`arte e la cultura cinese ritornò di moda presso la casta shogunale.

Yoshimitsu (1358-1408), 3° shogun, nel suo Padiglione d`oro (Kinkakuji), getta le basi di una cultura basata sull`estetica e arte; il tè veniva servito in preziose tazzine cinesi, dipinti cinesi  erano esposti alle pareti e preziosi vasi cinesi erano mostrati agli ospiti.

Il tè, assieme ad abbondante sake e cibi prelibati, veniva servito nell’ambito di suntuosi banchetti nelle grandi sale del palazzo; per evidenziare la ricchezza e lo stato sociale, il lusso veniva ostentato esponendo nelle sale  bronzi, ceramiche, dipinti, lacche, preziosi oggetti eclusivamente cinesi karamono con pelli di tigre e leopardo su cui adagiarsi. La moda del tempo includeva gare di paragone fra cose monoawase che comprendevano anche il riconoscere dall’aroma e dal sapore le varie origini di differenti tipi di tè, distinguendo l’honcha=vero té dai non-tè=hicha; alla fine delle gare, fra canti, danze e musica, ricchi premi venivano elargiti ai concorrenti

particolare, paravento namban -inizio periodo Edo-,

con negozio che vende spade e pelli di tigre e leopardo

 

Con Yoshimasa (1434-1490), 8° shogun e nipote di Yoshimitsu, nel suo Padiglione d`argento (Ginkakuji), comincia la nipponizzazione delle future Arti Tradizionali incluso il Cha-no-yu (Cerimonia del Tè, come la conosciamo ancora oggi), attorniato dai dōbōshū; fra i più noti: Soami, Monami e Ritsuami (maestri in pittura e tatebana), Senjun Ikenobo ( tatebana ), Zenami (progettazione di giardini), Senami, Noami e Geiami (i tre Ami curatori delle opere d`arte dello Shogun e esperti in tatebana), Ikkyu (maestro Zen).

L`etichetta di servire il tè nel periodo Ashikaga è chiamata  -stile Shoin- (= stile palazzo) e Yoshimasa mostrava nel corso della cerimonia le sue collezioni cinesi di servizi da tè, bonsai, suiseki (pietre), dipinti, calligrafie, tatebana in vasi e cestini cinesi.

cestini stile cinese

La tradizione afferma che si usavano già a quei tempi cestini di importazione cinese -karamono- .

kara=cinese, lettura kun del kanji 唐 Tang, in lettura on

wa=giapponese, kōrai=coreano

tutti gli oggetti d’arte e d’artigianato (cestini, vasi, teiere, bracieri, kakemono, ecc.) usati per la Cerimonia del Tè vengono chiamati karamono=”cose” cinesi, se d’origine cinese, oppure wamono=”cose” giapponesi, se giapponesi o kōraimono se d’origine coreana.

Nel periodo Ashikaga qualsiasi karamono e kōraimono, anche scadente, era preferito dalla Corte shogunale a qualsiasi wamono, anche il più bello.

Inizia in questo periodo il processo di trasformazione tramite principalmente tre ricchi mercanti della città di Sakai di nome – Shukō , Jōō e Rikyū -, per cui, gradualmente, da un modo di servire il tè riferentesi alla Cina si passa a un modo unicamente e completamente giapponese.

Murata Shukō (chiamato anche Murata Juko) 1423-1502, allievo del dōbōshū Noami, è il primo che può essere chiamato Maestro del Tè: nato in una famiglia di mercanti, all’età di 30 anni diventa monaco zen; modifica lo stile Shoin seguito dalla classe dei samurai in uno stile influenzato dallo zen (futuro wabi-cha), abbandona i preziosi manufatti cinesi sostituendoli con ceramiche giapponesi (Bizen, Shigarachi, Iga), semplificando anche l`uso dei fiori (preferendo lo stile Nageire al Tatebana degli Ikenobo), trasporta la sala da Tè all`esterno del palazzo in una piccola capanna, diminuisce sia il numero dei partecipanti sia il numero degli accessori, modifica l`atmosfera da “modo di mostrare la ricchezza materiale” in “modo di mostrare la ricchezza spirituale”.

Stabilisce pure le regole per cui la Cerimonia del Tè sia considerata shin,  gyō, oppure sō.

Suo sucessore quale Maestro del Tè riconosciuto  è Takeno Jōō (chiamato anche Takeno Shoo) 1502-1555, architetto di giardini, pittore, poeta, ceramista, che raffina e continua la trasformazione zen di questa cerimonia, rifiutando gli utensili “chiassosi ” (ornati o con colori non naturali), usa ceramiche giapponesi, dà uno standard all`uso del cibo (semplice e povero -cucina Kaiseki- al posto del cibo abbondante ed elaborato in uso allora), insiste sulla “preparazione spirituale” dei partecipanti prima d`entrare nella capanna dove il Tè sarà servito .

Sen no Rikyū 1521-1592, allievo di Jōō, porta la Cerimonia del Tè al suo apice, come viene praticata ancora oggi, ed è nominato Maestro della Cerimonia del Tè al servizio del primo unificatore del Giappone, Oda Nobunaga, e, alla morte di costui, del secondo unificatore, Toyotomi Hideyoshi.

Egli, benché esperto nel Shoin-cha e bravissimo nel creare degli Rikka esuberanti, giganteschi, sia per Nobunaga che per Hideyoshi, adatti ad esaltare il potere della classe guerriera, è considerato colui che ha portato il Wabi-cha al suo massimo splendore ed è pure considerato dalla tradizione il creatore dello stile Nageire ( vedi articolo 14°) da cui deriva il chabana; dalla formalità di  “tateru”= comporre, iniziata dai dōbōshū degli Ashikaga e perfezionata dagli Ikenobo, si passa alla libertà di “nageru”= buttare dentro, gettare, ossia alle composizioni pubbliche, formali, tipo Tatebana e Rikka, si oppongono le composizioni private,  informali, del Nageire .

Sono arrivati sino a noi:

1) alcuni vasi da lui creati da segmenti di bambù, come questo

Rikyū fu il primo ad usare vasi di bambù nella cerimonia del Tè.

Questo specifico vaso a lato è ritenuto dalla tradizione il primo vaso di bambù che  Rikyū presentò a Hideyoshi come contenitore di fiori per la Cerimonia del Tè: questi, irritato dalla sua semplicità, gettò il vaso nel giardino che atterrò su di un sasso e si crepò (la riparazione è visibile lungo la linea scura della lacca con due graffette metalliche); la crepa, negli anni seguenti, aumentò il suo valore poiché nel concetto Wabi-Sabi, l’imperfezione aumenta la “bellezza” dell’oggetto.

2) la ceramica Raku da lui introdotta nella Cerimonia

due tazze di Chojiro 1°  (? – 1589) capostipite della dinastia Raku.

Il nome Raku (=piacere) secondo la tradizione fu dato a Chojiro da Hideyoshi, prendendolo dal nome del suo palazzo -Jurakutei- (Jurakudai)

3) le sue regole per il Chabana, messe per iscritto dai suoi discepoli (vedi articolo 46°)

esempi di vasi in bambù di vari autori e schemi di vasi e cestini in bambù usati nella cerimonia del Tè

Tutto quanto è connesso al Chanoyu (Cerimonia del Tè nello stile Wabi-Sabi) dev`essere SHIBUI (di gusto impeccabile), WABI (semplice e scevro da ogni lusso), SABI (di un rustico non pretenzioso, con imperfezione arcaica), FURA (divertimento puro della vita), poiché tutta la Cerimonia è impregnata di SEMPLICITÀ, ARMONIA, TRANQUILLITÀ e PUREZZA .

 

Furuta Oribe

Rikyū è costretto al suicidio rituale (seppuku) nel 1591 da Hideyoshi e gli subentra Furuta Oribe 1544 – 1615 quale Maestro della Cerimonia del Tè, prima presso Hideyoshi e in seguito presso il secondo shogun Tokugawa Hidetada. Oribe era un daimyo appartenente alla classe dei samurai, contrariamente a Rikyū appartenente alla classe dei mercanti.

vaso creato da Oribe con sua custodia

Oribe abbandona il vasellame wabi/sabi di Rikyū e crea tazze e contenitori sbilenchi e colorati (la Scuola Ohara usa anche vasi stile Oribe) e modifica ulteriormente l`etichetta della Cerimonia con cambiamenti anche nella capanna da Tè .

tazze tipo Oribe

vasi da Rimpa della Scuola Ohara con disegni tipo Oribe

Anche Oribe deve morire tramite il seppuku, su ordine di Hidetada -terzo shogun Tokugawa-, e con la sua morte termina lo stile Momoyama (quello di Rikyū) della Cerimonia del Tè.

A Oribe segue Kobori Enshu 1579-1647, daimyō colto, scultore, pittore, ceramista, ideatore di giardini e Maestro della Cerimonia del Tè al servizio del 3° shogun Tokugawa  Iyemitsu; egli unisce lo stile Rikyū a quello Oribe, dando vita allo “stile Daimyō”, confacente al periodo storico in cui la precarietà (transitorietà) della vita dei guerrieri non era più all’ordine del giorno come ai tempi di Rikyū, avendo i Tokugawa ottenuto la pace stabile tramite la sottomissione di tutti i clan che prima erano costantemente in guerra fra di loro.

Il chanoyu, al tempo dei due primi unificatori Nobunaga e Hideyoshi, assunse un’importanza tale che veniva anche utilizzata politicamente quale ricompensa o riconoscimento a un vassallo; ad esempio Hideyoshi, che al tempo era uno dei generali di Nobunaga, ricevette, quale compenso per la vittoria di una battaglia, il permesso da Nobunaga di dirigere la sua prima Cerimonia del Tè, in sua presenza, solo all’età di 42 anni .

Hideyoshi, arrivato al potere alla morte di Nobunaga, imitando lo shogun Ashikaga Yoshimasa che offerse all’Imperatore del tè in una tazza d’oro posta su di un vassoio d’argento, si fece costruire una stanza da Tè, rivestito di oro e con tutti gli acessori pure in oro massiccio, smontabile e trasportabile , usata per due sucessivi inviti all’Imperatore e alla sua Corte e in seguito mostrata quale conferma della sua acquisita posizione sociale (di umili origini, oltre che esser diventato samurai, era arrivato ad assumere tutte le più alte cariche alla Corte Imperiale).

 

(ricostruzione)  stanza di Hideyoshi in oro trasportabile per la Cerimonia del Tè, smontabile

 

Sia nel chanoyu che nel senchadō si usavano dei cestini, piccoli e semplici e di uso pratico quotidiano per il primo, elaborati e di origine cinese per il secondo.

 

Sotto l’impulso del senchadō vedi articoli 36° e 46° gli artigiani giapponesi del periodo Edo producono forme di cestini nuove, anche di dimensioni grandi, e specifiche per l’ikebana. Gli artigiani iniziano pure a mettere la loro firma sui loro prodotti evidenziando il fatto che ora non copiano più i cestini cinesi ma creano il loro stile.

 

Posted in Senza categoria |

46 il tè e l’ikebana

ci sono tanti modi di gustare una tazza di tè;

 

 

la “nascita storica” dell’ikebana e alcune sue forme particolari sono associate a tre differenti modi di bere il tè, cha, in Giappone:

 

 

Secondo la leggenda, la pianta del tè è nata quando Bodhidharma (483-540 d.C), secondo la tradizione colui che introdusse lo Zen in Giappone, volendo assolutamente rimanere sveglio durante la meditazione si tagliò le palpebre: queste, gettate in terra, diedero origine alla pianta del tè; per questa ragione egli viene rappresentato frequentemente con gli occhi completamente spalancati.

In Giappone Bodhidharma è chiamato Daruma

 

 

Sempre secondo la leggenda, a Daruma si atrofizzarono sia le gambe che le braccia poiché rimase fermo in meditazione per 9 anni. La sua immagine è legata a figurine votive usate quando si esprimono dei desideri e  considerate porta-fortuna.

 

 

Bamboline che lo rappresentano con occhi spalancati, senza gambe e braccia, vengono vendute con gli occhi non finiti;

 

 

su Daruma, acquistato senza pupille, si dipinge una pupilla esprimendo un desiderio e si aggiunge l’altra pupilla solo quando questo si è avverato

Secondo la tradizione viene dipinta per prima la sua pupilla sinistra: il lato sinistro del corpo umano -occhio compreso- è yang rispetto al lato destro, perciò più importante e preferito; si ricordi inoltre che il kami Amaterasu, dea del sole, è nato dal lavaggio rituale purificativo  dell’occhio sinistro del padre Izanagi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Daruma, con ambedue le pupille dipinte, accatastati  sotto una tettoia nei pressi di un tempio, segno che i desideri espressi si sono avverati

Sin dall’introduzione del buddhismo in Giappone, il tè era bevuto dai monaci durante la meditazione per rimanersi svegli; siccome gli ecclesiastici di alto rango che dirigevano le varie scuole buddhiste erano scelti fra i membri della Famiglia imperiale, la Corte imperiale si interessò molto presto a questa nuova bevanda e già nel periodo Heian la Nobiltà si divertiva facendo delle gare nel riconoscere, tramite assaggi di differenti tipi di tè -si poteva arrivare fino a cento-, il loro nome, la loro origine geografica e la loro qualità. vedi art. 47°

 

 

 

 

 

 

A lato il disegno ideale di dimora in questo stile  con il grande salone centrale shinden, disegato senza il tetto per mostrare l’interno senza divisioni fisse

 

 

Nel periodo Heian, i palazzi della Nobiltà erano costruiti attorno a un unico grande salone chiamato shinden che aveva il pavimento in legno e nessuna divisione interna. Per creare spazi più limitati, si usavano dei paraventi che venivano spostati a seconda delle necessità. Questo tipo di architettura è chiamata shinde-zukuri (zukuri=costruzione)

 

esempio di paravento mobile

 

 

Con la presa del potere da parte dei samurai, avendo questi delle esigenze differenti rispetto alla Nobiltà imperiale, lo stile di costruzione dei palazzi cambiò: le assi del pavimento vennero coperte con i tatami, il grande salone venne diviso da pareti con porte scorrevoli fusuma e venne introdotto il tokonoma associato a degli scaffali espositivi. Questo stile architettonico, caratterizzato dalle componenti elencate, si chiama shoin zukuri (shoin=studio, zukuri=costruzione)

 

esempio contemporaneo di tokonoma con a lato scaffali espositivi

 

Gli shogun introdussero un modo di bere il tè che prese il nome delle stanze in cui si teneva la riunione, shoincha, in italiano tradotto con “tè stile palazzo” : all’origine lo studio/shoin era di piccole dimensioni, dato che fu creato dagli abati zen nei monasteri, ma fu ingrandito dagli shogun per poter svolgere le affollate riunioni con i daimyō, samurai ed ecclesiastici di alto rango. Scopo dell’invito a bere del tè era di impressionare gli ospiti esponendo sugli scaffali gli oggetti preziosi collezionati, di origine cinese, perciò si parla di tè stile palazzo e non di tè stile studio, come indica in origine la parola shoin.

 

oggetti esposti e un Sunanomono

 

È in questo contesto del shoincha, tè stile palazzo organizzato dai doboshu, che nasce l’ikebana (vedi articolo 13° e seguenti)

Gli ikebana usati erano prima i tatebana poi i Rikka e Sunanomono (Rikka in stile informale/sō)

 

 

Tatebana/Rikka

 

Dunque l’ikebana, creato dai doboshu e sviluppato in seguito dalla scuola Ikenobō -da cui derivano tutte le altre Scuole- è nato nel contesto dello shoincha o tè stile palazzo.

 

 il tokonoma occupava solo una piccola parte delle pareti rispetto agli scaffali con gli oggetti esposti

disegno eseguiti dai doboshu al servizio dell’ottavo shogun Ashikaga quale pro-memoria mostranti gli oggetti esposti durante i shoincha

 

Lo shoincha fu usato sia dagli shogun Ashikaga che dai tre unificatori, Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e IeyasuTokugawa, per impressionare gli ospiti.

Contemporaneamente, sotto il patrocinio di Nobunaga e poi di Hideyoshi, nacque il Chanoyu o wabicha o Cerimonia del tè, modo di bere il tè influenzato dallo Zen e codificato da Sen no Rikyu. Mentre nel -tè stile palazzo- la bevanda veniva preparata nelle cucine, portata nello shoin con sake, vari tipi di cibi e servita ai numerosi ospiti, nel wabicha il tè viene preparato direttamente davanti ai pochi ospiti.

 

capanna da tè del wabicha

 

All’opposto delle grandi sale in cui si teneva lo shoincha, il wabicha si svolgeva in un ambiente piccolo, due tatami e mezzo secondo Rikyu, e in una capanna all’esterno della dimora principale.

Nel contesto del wabicha, chiamato anche Cha-dō o Sa-dō, si sviluppa un modo di disporre i fiori nel tokonoma influenzato dallo zen, il chabana, semplice composizione che evidenzia la stagione e in cui si usano pochi vegetali “disposti come nei campi” secondo Rikyu.

 

 

Contrariamente ai Rikka, molto codificati e usati nell’ambito del shoincha, tè stile palazzo, per comporre un chabana non si seguono regole scolastiche ma si usano pochi elementi disposti nell’estetica zen; il chabana, come tutta la Cerimonia del tè, evidenzia sia l’unicità che la transitorietà dell’incontro: ichi-go, ichi-e (una volta, un incontro)

 

 

Mentre nel shoincha, tè stile palazzo, si usavano vari tipi di tè, nel chanoyu si usa solo il tè verde in polvere matcha

I due modi di bere il tè, shoincha tè stile palazzo e chanoyu, non erano in antagonismo fra di loro ma preferiti secondo l’occasione.

Sen no Rikyu, al servizio di Toyotomy Hideyoshi, quando doveva organizzare un shoincha, tè stile palazzo, eseguiva dei Rikka opulenti e giganteschi mentre quando presenziava a un Chanoyu componeva dei chabana umilissimi.

 

Sen no Rikyu

chabana attribuito a Rikyu

rikka , autore anonimo

 

Anche Ikenobo Senko, iemoto della Scuola omonima, contemporaneo e conoscente di Rikyu,  eseguiva dei Rikka ma anche dei chabana.

 

chabana attribuito a Ikenobo Senko

 

Dopo il shoincha, tè stile palazzo associato alla nascita dell’ikebana e in cui gli oggetti esposti e le composizioni floreali Rikka dovevano “stupire” gli invitati e il suo “opposto” wabicha in cui, dagli utensili al chabana, tutto era impregnato dalla raffinata semplicità zen, all’inizio del periodo Edo o Tokugawa (1600) appare un nuovo modo di bere il tè, alla cinese, chiamato senchadō, la via del sencha, nome derivante del tè verde usato a foglie intere e “infuse” nell’acqua vedi anche articoli 36°, 47° e 48°

 

 

Questo modo di bere il tè “alla cinese”, già in uso nella popolazione cittadina, fu adottato dai Letterati giapponesi -i Bunjin- sia perché essi emulavano i Letterati cinesi ma anche per differenziarsi dai samurai che praticavano il wabicha. Durante queste riunioni i Bunjin creavano delle composizioni floreali riferentesi al “gusto cinese” di cui era impregnato il senchadō: queste composizioni chiamate bunjin si differenziavano sia dall’ikebana delle Scuole, poiché non hanno regole compositive, sia dal chabana dei samurai per la scelta ed esuberanza dei vegetali

 

 

 

tipica teiera usata per il sencha

“autoritratto ironico” di Bunjin

Wên-Jên, letterati cinesi emulati dai bunjin giapponesi

 

 

 

Ricapitolando, i tre differenti modi di gustare il tè han dato origine a tre componenti dell’ikebana ossia l’ikebana insegnato dalle Scuole è legato al Shoincha -tè stile palazzo-, il chabana è legato al wabicha mentre le composizioni bunjin sono legate al sencha dei Letterati.

 

 

Posted in Senza categoria |

45 gli iemoto Ohara

Iemoto (家元 fondazione di famiglia) è il termine utilizzato per riferirsi al fondatore o attuale maestro di un certa scuola di arti tradizionali giapponesi; è il caposcuola ereditario.

 

° UNSHIN :  1° iemoto dal 1899 al 1916 , gli succede il figlio

 

° KOUN :     2° iemoto dal  1916 al 1938 , gli succede il figlio

 

° HOUN :     3° iemoto dal 1938 al 1995,  gli succede il nipote

 

° ( NATZUKI : figlio di Houn, designato 4° iemoto dopo la sua prematura morte nel 1992 )

 

° HIROKI :    5° iemoto, figlio di Natzuki, nel 2006

 

UNSHIN OHARA

nasce nel 1861 a Matsue nella famiglia di ceramisti TAKADA, col nome di Fugasoro e impara l`ikebana della Scuola Ikenobo dal padre.

A 19 anni viene adottato dalla famiglia Ohara, ricchi mercanti che gli permettono di vivere agiatamente senza l`obbligo di lavorare.

A 27 anni si trasferisce ad Osaka e diventa scultore assumendo il nome di UNSHIN, diventando abbastanza famoso (nel 1896 l`imperatore Meji compera una sua opera) ma segue pure la Scuola Ikenobo, diventando un ottimo maestro

sua statuetta comperata dall’imperatore Meiji e sua composizione Shoka quale insegnante ikenobo ( vedi il Tachibana, stemma della scuola Ikenobo, sulle tende)

Cominciò a concepire una nuova forma di ikebana in cui si doveva “fare l`ikebana coi piedi”, nel senso che bisognava camminare nella natura per vedere i vegetali nella loro crescita naturale contrapponendosi alla consuetudine delle varie scuole esistenti che modificavano manualmente la forma dei vegetali per adattarli agli schemi caratteristici di ogni scuola.

ESEMPI di composizioni (Seika della Scuola Enshu) di moda all’epoca in cui Unshin entra sulla scena dell’ikebana

  

Unshin, dovendosi confrontare con nuovi fiori non giapponesi, più colorati e con steli corti che non potevano essere usati negli schemi delle scuole esistenti, concepì l`uso di un vaso basso (suiban) in cui i vegetali non partono da un unico centro, come era l`uso, ma da un triangolo scaleno che permette una loro disposizione più naturale; chiamò questa nuova forma:

MORIBANA (significa -vegetali ammassati-)

Questa novità contraddiceva le severe regole compositive vigenti, cristallizzatesi nell’ultima parte del periodo Tokugawa, le quali imponevano :

° uso di vasi alti (ad eccezione dei Suna no mono, Rikka stile informale in vasi bassi, usati meno frequentemente che le altre forme di ikebana in vasi alti)

 

 

 

in primo piano esempio di Suna no mono, vaso basso ma in cui i vegetali sono inseriti partendo da un unico punto di crescita come nel Rikka nel secondo piano

 

 

 

nei Suna no mono è possibile separare il gruppo che la scuola Ohara chiama shu-fuku dal gruppo kyaku poiché il primo rappresenta la parte yang della composizione e il secondo la sua parte yin vedi Art. 15°

 

° punto d`uscita dei vegetali dal vaso: unitario e unico, sia nei vasi alti che nei Suna no mono

° non si poteva usare specie di vegetali o loro associazioni non previsti dagli schemi ufficiali o utilizzare quelli previsti al di fuori della loro destinazione ufficiale

° non era concepibile che l`ikebanista potesse esprimere la propria personalità con scelte autonome poiché l`ikebana doveva esprimere la filosofia cosmica immutabile tramite la relazione uomo-natura-universo.

 

Nel Moribana

– si usano vasi bassi

– i vegetali emergono non in modo unitario (come nei vasi bassi dei suna no mono) ma da un triangolo scaleno

– la sua esecuzione permette un atto creativo con la libera scelta dei vegetali

– si possono associare fiori e foglie di specie differenti e sono usati nelle loro forme naturali di crescita con poche manipolazioni; le regole (lunghezza e inclinazione) riguardano unicamente i tre elementi principali

 

Causa problemi di salute, Unshin abbandona la scultura per dedicarsi all`ikebana e nel 1896, all`Osaka Art Club, espone i primi 30 Moribana suscitando reazioni molto ostili da parte delle Scuole d`Ikebana poiché era la prima volta che la popolazione vedeva delle composizioni esclusivamente in vasi bassi ed era la prima volta che un’esposizione avvenisse in un luogo frequentato dal grande pubblico (fino allora le mostre di ikebana avvenivano o nei Tempi o nelle case private dei Maestri o nei musei): da quel momento si cominciò a parlare di Stile Ohara.

 

Nel 1898 Unshin si separa dalla scuola Ikenobo fondandone una propria e crea due tipi di Moribana :

 

1) MORIBANA COLORE ( l`attuale Moribana di colore ):

in cui c`è una libertà di scelta sia dei vegetali autoctoni che quelli stranieri; essendo quest`ultimi delle novità  e, come tali, molto costosi , questo tipo di Ikebana all’inizio fu poco popolare

 

2) MORIBANA NATURA ( l`attuale Moribana Paesaggio ) :

all’inizio più popolare del Moribana Colore poiché, permettendo l`uso naturale ed illimitato dei vegetali sia giapponesi che stranieri, permetteva all`ikebanista di mostrare la propria creatività.

Gli stili usati erano : Verticale o Alto, Obliquo, -Che si riflette nell`acqua- e Cascata, quest’ultimo concepito all`inizio per l`Heika e usato solo nel Moribana Colore ma non nel Moribana Natura; le misure dei vegetali e la loro inclinazione non erano ancora codificate.

 

 

KOUN OHARA

Suo figlio Koikiro lavorò prima come venditore di cotone e poi in una banca e solo a 25 anni cominciò a imparare l`ikebana presso la Scuola Ikenobo per proseguire poi l`opera iniziata dal padre; assunse il nome di KOUN e nel 1906, assieme al padre Unshin, fece la sua prima mostra .

Diventato Iemoto alla morte del padre, usando l`esperienza acquisita come venditore e bancario, diede impulso alla Scuola Ohara facendone la più moderna e all`avanguardia del tempo. Fu il primo :

° a dare lezioni a grandi gruppi (mentre le altre scuole tenevano ancora l`arte segreta, passandola da maestro a singolo allievo)

° a scrivere d`argomento ikebana sui giornali

° a dare lezioni alla radio

° a formare insegnanti donne

° pensava che l`ikebana non dovesse appartenere ad un`élite

° continuò le esposizioni nei Grandi Magazzini e le altre scuole, in senso spregiativo, definivano la sua scuola “di gusto popolare”

° introdusse i termini Elemento Principale, Secondo e Terzo ( = shu , fuku e kyaku ), codificò le misure e le inclinazioni dei Moribana

° codificò il Paesaggio Tradizionale basandosi sulla prospettiva: ravvicinato, a media distanza, in lontananza

° codificò le regole di Moribana ed Heika

° introdusse il Moribana Tradizionale di Colore

° introdusse l`abitudine di fare le dimostrazioni creando le composizioni dal didietro.

 

 

HOUN OHARA

Nel 1938 gli successe il figlio Yutaka, che assunse il nome HOUN

° continuò a perfezionare i Moribana e gli heika

° nel 1953 introdusse gli Stili Celestiale e Contrasto (dal 2000 classificati negli Hana-isho)

° nei primi anni `60 introdusse il BUNJIN e il RIMPA

° nel 1973 creò lo Stile ALLINEATO

° nel 1974 gli SHOHINKA (dal 2000 classificati come Hana-isho)

° fu il primo a compiere dei viaggi con dimostrazioni all`estero (1961 a Roma e Sud America) è in questa occasione che la sig.ra Banti venne a contatto con la scuola Ohara

 

NATZUKI OHARA

Suo figlio Natzuki, che morì prima del padre nel 1992, introdusse nel 1985 l`Hanamay (rimasto invariato con la nuova classificazione del 2000) e nel 1991 l`Hana-isho (con la nuova classificazione del 2000 l’hana-isho ha inglobato gli stili Allineato, Celestiale, Contrasto e gli Shohinka ).

Alla morte di HOUN nel 1995, la direzione della scuola, fino al 2006, è stata assunta dalla figlia di Houn e sorella di Natzuki, sig.ra Wakako, poiché HIROKI, figlio del defunto Natzuki e iemoto-designato era ancora minorenne.

 

HIROKI OHARA

Dal 2006 HIROKI, diventato maggiorenne, è lo iemoto della Scuola Ohara.

Posted in Senza categoria |

44 rimpa: scuola di Hoitsu e Kiitsu

La tradizione Rimpa, saldamente affermatasi con Korin e Kenzan ma ancora ancorata agli ideali del passato, sopravvive nell`ultimo periodo Edo grazie a nuovi mecenati: i potenziali acquirenti d`opere d`arte sono ora i ricchi mercanti e artigiani delle città e non più la colta (ma ora povera) nobiltà imperiale e shogunale; i nuovi possibili clienti non avevano la raffinata cultura allusiva ai temi cari alla Corte di Kyoto ma erano affascinati dai soggetti Rimpa dei “fiori di campo della quattro stagioni”.

Per questa ragione gli artisti Rimpa dell’ultimo periodo Edo abbandonano i “vecchi” soggetti legati alla letteratura colta ma mantengono i soggetti dei vegetali: oltre ai fiori e piante scelti in funzione del loro significato simbolico rappresentante una stagione, vengono rappresentati anche quelli con cui si viene in contatto nella vita quotidiana.

Benché il modo di comporre dell’ikebana-Rimpa faccia riferimento a tutte e tre le scuole, essendo gli esempi della pittura di questo terzo periodo molto abbondanti nei soggetti esclusivamente vegetali, questa terza scuola è la più rappresentativa.

scuola di :

SAKAI HOITSU (1761-1828) e SUZUKI KIITSU (1796-1858) di Edo

 

Sakai Hoitsu, figlio di un daimyō, fece tirocinio pittorico presso un maestro Kano.

Dopo varie esperienze in altri generi pittorici (stile cinese, stile naturale e persino l`Ukiyo-e dei bordelli e dei teatri popolari) a 37 anni si fece monaco buddhista.

Rimasto affascinato dall`arte Rimpa, lasciò Edo per Kyoto ove, dal momento che un suo antenato fu protettore di Korin, poté esaminare le sue opere e, per celebrare il centenario della morte di Korin, pubblicò “100 opere scelte dal repertorio di Korin”.

Questa pubblicazione, stampata per smascherare i molteplici falsi di Korin che circolavano, con quella del suo allievo Ikeda Koson (1802-1867), compilata per lo stesso motivo, fece scoprire al grande pubblico le opere di Korin e, di conseguenza, diede origine all’interesse generale per questo stile che venne erroneamente chiamato Rimpa, credendo che l’iniziatore della scuola fosse stato Korin.

Egli seppe conciliare la sontuosa natura decorativa del Rimpa con la tecnica della pittura ad inchiostro.

SUSUKI KIITSU studiò e collaborò con Hoitsu e introdusse un senso di realismo e poesia

Altri celebri artisti Rimpa attivi nel periodo ad Osaka e Edo :

Kagei Tatebayashi , Sori Tawaraya , Hocu Nakamura

Opere di Sakai HOITSU

paravento a due ante: usato nella Cerimonia del Tè:
Pino cinese e fiori d`autunno,cm 35 x 123

 

paravento a due ante:“Erbe , fiori e arbusti dell`autunno” cm 164 x 181

Kosode dipinto da Sakai Hoitsu

con prugno in fiore

opere di KIITSU

paravento a sei ante, 165 x 362 cm titolo : rapide in estate e autunno

 

 Paravento a due ante di Ikeda KOSON

intitolato : piante fiorenti delle quattro stagioni cm 56 x 179

due pannelli del paravento a sei ante di TAWARAYA SOORI

chiamato : Acero, cm 69 x 212

Paravento a 6 ante di NAKAMUDA HOCHU ,

titolo : prugno e uccello , cm 133 x 264

Altri artisti usarono e usano tuttora lo stile rimpa; fra i molti:

 Sakai Dōitsu (fine 1800-inizio 1900)

 

 

Kamisaka Sekka(1866-1942)

 

Posted in Senza categoria |

43 rimpa: scuola di Ogata Korin e Ogata Kenzan

OGATA KORIN (1658-1716 ) e fratello OGATA KENZAN (1663-1743) a Kyoto e Edo

Nella loro giovinezza benestante e spensierata, figli di un ricco mercante di tessili a Kyoto che godeva della protezione della Famiglia Imperiale e della classe militare, furono educati nelle varie arti: Korin, di carattere molto estroverso ed esuberante, divenne un celebre attore Noh ma sopratutto un rinomato calligrafo mentre Kenzan, di temperamento opposto, un tranquillo studioso, dedito alla Cerimonia del Tè, allo zen e alla ceramica. Entrambi studiarono pittura con un artista del clan Kano.

Nel 1687, con la morte del padre e concomitanti problemi economici, furono obbligati a trovare dei mezzi di sostentamento:

Il fratello minore assunse il nome Kenzan (= montagna nord-occidentale) dal luogo alla periferia di Kyoto ove aprì una fornace in cui si produceva del vasellame che il fratello Korin dipingeva; per alcuni anni essi produssero alcune delle più belle ceramiche del periodo Edo.

Qualche anno dopo si separarono e KORIN cominciò a dipingere, prendendo come fonte d`ispirazione gli ideali estetici di Sotatsu e Koetsu vissuti circa un secolo prima; la sua bravura fu tale e le sue opere così richieste che si cominciò a produrre dei suoi falsi ed è per questa ragione che, cento anni dopo nel 1815, Sakai Hoitsu e Ikeda Koso pubblicarono i due libri per individuare i falsi che circolavano ( i due volumi contengono più di 300 esempi di pitture e disegni per oggetti di Korin che a quell`epoca erano considerati autentici) .

Korin mantenne gli ideali di Sotatsu e Koetsu che caratterizzano l`arte Rimpa , ossia:

1– riferimenti alla poesia, prosa e temi dei classici della letteratura  della Corte Imperiale del tardo periodo Heian,

2- particolare tecniche pittoriche ( ad es. tarashikomi )

3- uso abbondante di oro e argento per dare luce agli sfondi

4- ripetizione stilizzate dei motivi vegetali

5- enfasi e omissione

Nell`ikebana-Rimpa sono ripresi i punti 4 e 5 mentre i riferimenti del 1° punto è limitato ai vegetali citati nella letteratura classica; il punto 3 viene utilizzato quando dietro le composizioni si mettono dei paraventi.

ENFASI : alcuni elementi vengono ingranditi: la scala di misure naturale fra gli elementi vegetali non viene rispettata sia nei dipinti che nell’ikebana

OMISSIONE : alcuni elementi vengono omessi nei dipinti, tagliati nell’ikebana-rimpa

 

Bisogna enfatizzare, mettere in evidenza :

  • la bellezza dei fiori completamente aperti (raramente in boccio): fiori di pesco e ciliegio, crisantemi, ortensie e simili sono piatti e frontali, quelli belli con il loro stelo (peonia, giglio, iris, papavero, ibisco, emerocallis, ecc.) sono posizionati come se oscillassero al vento e con la parte interna della corolla parzialmente visibile .

  • La bellezza delle foglie, chiaramente individuabili, sempre frontali, raramente di lato, pochissime in negativo (celosia, papaveri, althea, ecc.)

Bisogna omettere , tagliare :

quelle parti dei vegetali che coprono la pennellata (ad es. le foglie grandi della celosia che coprono il fiore) o le foglie “in negativo” dei fiori che devono essere messi in modo “decorativo”

Dal 1704, KORIN spartì il suo tempo fra Kyoto e Edo ma poi, scontento dell`ambiente, trascorse gli ultimi anni nella più congeniale compagnia della declinante aristocrazia di Kyoto.

KENZAN, separato dal fratello, continuò la sua produzione di vasellame con grande successo. Nel 1731 si trasferì a Edo ove aperse una fornace che produsse splendidi oggetti .

Altri pittori Rimpa loro contemporanei:

Shiko Watanabe (1682-1755), Roshu Fukae (1698-1757)

Opere di OGATA KORIN

 

 

 

paravento degli Iris a sei ante , cm 150 x 339

 

alcune ante del paravento con crisantemi

 

 

kosode disegnato a mano da OGATA KORIN

 

paravento a due ante con Althea

 

Ogata Korin : susino con fiori bianchi e rossi

 

 

 opere di OGATA KENZAN

 

Fiori d`Altea cm 54 x 13
vasellame

 

Appartengono pure alla Scuola dei fratelli Ogata:

 

Paravento a 6 ante di di Roshu Fukae , titolo : piante delle 4 stagioni

ATTENZIONE : I paraventi giapponesi si guardano da destra a sinistra (come la scrittura giapponese) perciò i vegetali primaverili sono alla nostra destra mentre quelli invernali all’estrema sinistra; unica eccezione i paraventi stile namban, che si guardano da sinistra a destra, come le scritture occidentali.

Watanabe Shiko : paravento a sei ante, titolo : ciliegi in fiore a Yoshinoyama cm 150 x 362

Posted in Senza categoria |

42 rimpa: scuola di Koetsu e Sotatsu

Nel periodo Momoyama ( 1573-1603 ) coesistevano varie tendenze nell’arte:

A) il clan degli artisti KANO

Kanō Sanraku (1559 – 1635)tema :“Susino e fagiano”

esprimevano il gusto dello shogunato, influenzato dal gusto cinese, creavano opere opulenti, vigorose, anche su grandi superfici, nei castelli

B) il clan TOSA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tosa Mitsuyoshi (1539–1613) tema : Gengi Monogatari

 

rappresentava i pittori della Corte Imperiale , custodi della tradizionale pittura Yamato-e

 

C) l`arrivo degli europei diede inizio ad uno stile pittorico chiamato NAMBAN = barbari del sud

Kano Naizen (1570-1616 )

produzione artistica giapponese in stile occidentale.

 

mentre i temi dipinti sui paraventi giapponesi si guardano da destra a sinistra, come si leggeva la scrittura giapponese, i paraventi stile namban si guardano da sinistra a destra, come le attuali scritture occidentali.

 

Interessante ricordare che anche i disegni dei vasi dell’antica Grecia, siccome il greco in quel periodo veniva scritto da destra a sinistra, devono essere guardati pure da destra a sinistra

vaso graco chiamato François (dal nome dell’archeologo che lo ha scoperto)  attualmente nel Museo archeologico di Firenze, datato 550a.C. con raffigurazione di scene mitologiche o decorative, i cui temi sono incentrati sul ciclo narrativo del personaggio di Achille, che devono essere “lette” da destra a sinistra.

 

Gli imperatori Goyozei (1571-1617) e Go-mizunoo (1596-1680), con un ristretto gruppo di amici comprendente anche ricchi mercanti di Kyoto, per tentare d`opporsi allo shogunato (che, dal 1600 in poi, preso il potere, era ancora nel processo di consolidamento) aspiravano a far rivivere i canoni artistici del passato, soprattutto del tardo periodo Heian, riproponendo i temi delle opere letterarie di quel tempo e favorendo la pittura stile Yamato-e.

Ci furono due artisti che ottennero successo presso questo gruppo patrocinante ed essendo entrambi abili non solo nella pittura ma anche nella calligrafia, ceramica, lavorazione degli oggetti laccati o in metallo usati nella Cerimonia del Tè, espressero in tutti questi campi gli ideali sostenuti dai due imperatori .

Essi si chiamavano HON-AMI KOETSU e TAWARAYA SOTATSU.

Mentre i membri sia della scuola Kano che Tosa appartenevano allo stesso clan e il ruolo di caposcuola era ereditario, gli artisti dei tre filoni principali in cui la scuola Rimpa è suddivisa non si conobbero fra loro poiché vissero in epoche differenti, anche se legati dagli stessi ideali d`espressione artistica

A) Scuola di HON-AMI  KOETSU  (1558-1637)) e di TAWARA SOTATSU ( ? – 1643) a Kyoto

 

Essi posero la base teorica e pratica della pittura Rimpa.

All`inizio della loro collaborazione eseguirono delle opere di piccolo formato, d`uso personale, realizzando rotoli e Shikishi (piccoli fogli di non più di 18 cm di lato usati sia da soli o rilegati in piccoli blocchi) apprezzati dai nobili, su cui Sotatsu eseguiva la parte pittorica, con motivi tratti dalla Storia di Ise o dal Romanzo di Genji,  e Koetsu trascriveva versi dalle raccolte poetiche quali il Kokinshu (1205) o da altre fonti del tardo periodo Heian .

Koetsu, esperto ed ammirato calligrafo, era anche esperto della Cerimonia del Tè (fu l`allievo più importante di Furuta Oribe, successore di Sen no Rikyu) per cui produsse opere sia di ceramica che in altro materiale per questa cerimonia.

Egli apparteneva ad un clan che puliva, lucidava e valutava le spade, clan in stretto contatto con la Corte Imperiale.

Sotatsu dipingeva e vendeva ventagli, byobu e fusuma nel suo negozio di Kyoto.

Dopo molti anni di collaborazione, essi si separarono e produssero singolarmente molti capolavori.

Sotatsu ricevette dallo shogun Ieyasu Tokugawa un terreno a nord-est di Kyoto ove si trasferì e assunse una vita semi-religiosa creando una comunità di artisti che producevano vasellame e oggetti laccati.

Altri artisti Rimpa loro contemporanei :

Koho Hon`ami ( 1601-1682 ) , Sosetsu Kitagawa ( ? ), Sosetsu Tawaraya ( ?- 1644)

opere di HON-AMI KOETSU

 

flauto decorato con i cervi sacri del tempio di Kasuga a Nara in madreperla e lacca d`oro

scatola in legno laccato

parte del rotolo delle gru lungo 13 metri, alto 35 cm: disegni di Sotatsu con 36 waka trascritti da Koetsu

Shikishi  :

decorazioni su sfondo d`oro e argento di SOTATSU e calligrafia di KOETSU

 

tazza da tè raku creata da Koetsu, che collaborava con il 2° discendente del clan Raku, Jōkei

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

paravento a due ante del dio del vento e del tuono  di Sotatsu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

paravento di Sotatsu rappresentante Matsushima, a sei ante, cm 166×370

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

quattro delle sei ante del paravento “ fiori autunnali” di TAWARAYA SOSETSU appartenente a questa scuola

Posted in Senza categoria |

41 composizioni rimpa: introduzione

Con il nome RIMPA, o meno usato RINPA, nella storia dell’arte si indica un eterogeneo gruppo di artisti che vissero in epoche differenti e produssero delle stupefacenti opere pittoriche, calligrafiche, di ceramica, in lacca, disegni su ventagli, kimono  e altri oggetti.

Il nome Rimpa fu coniato dopo il 1800 quando HOITSU pubblicò:

“ 100 opere scelte del repertorio di Korin ”

e poco dopo il suo allievo KOSON

“ altre 100 opere scelte del repertorio di Korin ”

La ragione che indusse sia Hoitsu che Koson a pubblicare i due testi fu che, da anni, circolavano molte opere false di Korin.

Credendo, a quel tempo, che ad iniziare questo stile fosse stato Korin e si incominciò a parlare di :

Korin-ha = scuola di Korin ―› (Ko)Rin-ha ―›  Rin-ha ―› Rim-pa

 

non sapendo che furono Koetsu e Sotatsu, vissuti ben 100 anni prima di Korin, i primi ad introdurlo.

Siccome la pittura stile Rimpa veniva eseguita su oggetti (e quindi di dimensioni) differenti, dalle piccole scatole laccate, ai ventagli, alle porte scorrevoli e paraventi, ai kimono, le composizioni Rimpa spaziano dal piccolo vaso a quello grande fino a più vasi allineati, perciò l`ikebanista inizia con piccole composizioni che si riferiscono a:

   

 

 

 

 

 

UCHIWA,

ventagli “cinesi”

usati prevalentemente in casa e dalle donne

 
 

 

 

EMBEN o SENSU

ventagli “giapponesi”

usati dagli uomini

 

per passare poi a composizioni a due o più vasi che si riferiscono ai :

FUSUMA, porte scorrevoli

e BIOBU, paraventi a più ante

vasi tipo Oribe, scuola Ohara (C)

 

Il Rimpa , benché si possa eseguire in differenti vasi, viene creato in vasi specifici da Rimpa a forma di “ventaglio giapponese” o “allungati”.

 

Nella maggior parte dei casi il lato concavo del vaso (come quello delle pietre -suiseki -o dei bonsai) è rivolto verso chi guarda poiché “il concavo accoglie”; il lato convesso “respinge” ed è meno usato.

Esempi di contenitori e loro disposizione

tutti (C) scuola Ohara

Posted in Senza categoria |

40 morimono, ikebana, suiseki e…………… altro

Frequentemente, negli articoli precedenti, si è evidenziato il fatto che le regole compositive dell’ikebana, il suo posizionamento nel tokonoma e la sua valutazione non sono state create in modo specifico per l’ikebana ma sono presenti in molti altri contesti.

Affascinante è il constatare che le stesse regole compositive dall’ikebana sono condivise in altre situazioni apparentemente non imparentate con l’ikebana quali, ad esempio, la disposizione delle pietre nel giardino, quella del cibo sui piatti, la disposizione degli oggetti nel tokonoma, la disposizione e forma dei bonsai e suiseki.   vedi art. 39°

Fra tutte quelle citate, probabilmente la disposizione delle pietre nel giardino è la più antica già praticata in epoca Heian con l’introduzione della Triade Buddhista mentre il tokonoma e l’ikebana sono  apparsi più tardi, a metà del 15° sec. , perciò inizio dalle pietre.

In un testo attuale (prima edizione datata 1980) sulla disposizione delle pietre in un “giardino giapponese” di tre autori di cui uno è maestro ikebanista della Scuola Ohara,  vengono dati i seguenti suggerimenti:

Se si usano due pietre, di dimensioni differenti

 

 

L’evitare la disposizione lungo i due assi ortogonali preferendo quella lungo le diagonali è comune all’ikebana e a altre situazioni.

 

Lo schema dispositivo di due elementi sulla diagonale lo ritroviamo nella disposizione del cibo sul vassoio

 

 

 In generale si preferisce usare tre elementi poiché i numeri pari sono considerati yin mentre quelli dispari yang: quando si può scegliere, la situazione yang è preferita a quella yin perciò l’uso di tre elementi è preferito rispetto a solo due; infatti nelle tre fotografie il terzo elemento, aggiunto ai due disposti sulla diagonale, sono le bacchette.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

cibo disposto in un manufatto di Ogata Kenzan (1663–1743)

 

Lo schema dispositivo di tre elementi sulla diagonale lo ritroviamo nella disposizione del cibo in tavola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

teiera messa sulla diagonale dei due elementi nel piatto

 

 

 

 

 

 

 

o nella posizione del pesce lungo la diagonale del contenitore che, nella cucina kaiseki, deve avere la testa alla nostra sinistra.

 

 

 

 

 

 

 

oppure nella disposizione delle stanze principali sulla diagonale nella casa tradizionale giapponese signorile

 

Stesso concetto applicato nella disposizione degli elementi lungo la diagonale nei Morimono: due esempi della scuola Ohara

 

 

 

 

esempio della Scuola Chicō

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

o in questo semplice Morimono “contemporaneo”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se il contenitore ( dai ) su cui sono posati i vari elementi componenti il Morimono è troppo stretto per posizionarli con evidenza sulla sua diagonale, è il contenitore stesso che viene posizionato in modo obliquo.

 

La disposizione a triangolo scaleno, oltre che nella triade Buddhista, nell’ikebana, nei suiseki a forma di -montagna in lontananza- e nei bonsai, le cui posizioni sono state mostrate nell’articolo precedente, la ritroviamo nel cibo

 

 

ma anche nei Morimono, esempio della Scuola Ohara

 

 

o altro esempio di Morimono della Scuola Saga

 

Come nel moribana stlile Alto ai tre elementi principali si possono aggiungere degli Ausiliari, anche nel Morimono si possono aggiungere altri altri vegetali che devono essere più deboli dei tre vegetali principali disposti a triangolo.

 

 

Nella Scuola Ohara, occasionalmente, la disposizione tradizionale non sempre viene usata, come in questo esempio a lato in cui i tre elementi principali non seguono la regola della disposizione a triangolo scaleno come nello Stile Alto.

 

 

Componendo un Morimono è consigliabile mettere gli elementi secondo i due schemi mostrati: o sulla diagonale del dai (oppure è il dai stesso, se molto stretto, che è posto sulla diagonale) o formanti un triangolo scaleno, come nello stile Alto del Moribana.

 

 

 

 

In questa fotografia i due contenitori, di forma uguale poiché facenti parte di un cesto trasportabile, sono stati disposti dal fotografo sulla diagonale; in essi sono visibili i due modi di disposizione del cibo:
-sulla diagonale i due elementi nel primo contenitore (ma, per evitare una ripetizione, non sulla stessa diagonale che unisce i due contenitori) e
-a triangolo scaleno i tre elementi del secondo contenitore

 

 

 

Interessante guardare le fotografie di Felice Beato, fotografo italo-inglese che si trovava in Giappone verso il 1860; egli fotografò molti soggetti e riprese molte persone non in modo spontaneo ma mettendole in posa; in queste sue due foto è evidente che la posizione delle tre persone è esattamente quella della triade buddhista (vedi art. 64° ) o dello Stile Alto dell’ikebana.

 

 

 

In entrambe le foto, la persona al centro è la più alta ed è la più arretrata; alla sua destra, e più vicino, la seconda persona per altezza, messa leggermente più in avanti, e alla sua sinistra, ancora più in avanti e distaccata, la terza persona più piccola.

I tre uomini sono a ugual distanza fra di loro ma quello al centro e quello alla sua destra incrociano gli sguardi apparendo più “uniti” rispetto al terzo che guarda altrove e appare più “distaccato”.

 

Posted in Senza categoria |

39 suiseki e ikebana

suiseki

 

forma d’arte e di collezionismo che si occupa di disporre pietre trovate in natura ed aventi un aspetto particolare.

 

Gli ideali estetici su cui si basa la scelta, la disposizione e la valutazione delle pietre sono comuni all’ikebana e al bonsai; la consuetudine di disporre i suiseki nel tokonoma, secondo la tradizione, è cominciata con Sen no Rikyu (1522-1591) ossia è stata introdotta circa cento anni dopo la nascita storica dell’ikebana e le regole dispositive dell’ikebana furono usate anche per disporre le pietre nel tokonoma. Il Rikka, la prima forma di ikebana con regole fisse, e suiseki a forma di montagna, la prima forma di pietre collezionate, hanno una stessa origine simbolica: ambedue rappresentano la montagna idealizzata buddhista Mero o Sumero (magnifico Mero).

 

 

Il bonsai è stato introdotto nel tokonoma solo nel periodo Edo, dopo il 1600, poiché fino a quel periodo si pensava che non si potesse contaminare la sacralità del tokonoma mettendovi della terra; le sue regole dispositive nel tokonoma sono simili a quelle dell’ikebana e suiseki.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’antico Giappone le pietre a forma di montagna furono le prime ad essere collezionate:: la forma ideale preferita riproduceva nella forma il kanji montagna ed erano apprezzate per la loro naturale bellezza associata indissolubilmente alla loro simbologia religiosa e filosofica:

 

notare che il tratto verticale più corto a sinistra è unito (più vicino) al tratto verticale centrale ed ambedue sono leggermente arretrati rispetto al 3° tratto a destra: questa posizione la ritroviamo, con piccole varianti, sia nei tre sassi della triade buddhista sia nella posizione dei tre picchi che formano l’ideale di suiseki rappresentante una montagna in lontananza

Come per l’ikebana, le prime forme di suiseki erano apprezzate per la loro naturale bellezza associata indissolubilmente alla loro simbologia religiosa e filosofica:

 

 

gli otto Immortali

 

per i buddhisti le pietre rappresentavano il monte Meru o Sumeru ( magnifico Meru), la stessa mitica montagna rappresentata anche dal Rikka nell’ikebana (vedi articolo 22°)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

per i taoisti le pietre rappresentavano la mitica montagna/isola Penglai in cinese, Hōrai in giapponese, montagna che si erige in mezzo al mare ed è la sede degli otto Immortali terrestri;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Regina madre d’Occidente con le pesche dell’immortalità Kano Tan’yu (1602-1674)

 

altra associazione è col monte Kunlun, sede della Regina Madre d’Occidente.

 

 

reishi o fungo dell’immortalità

 

Ambedue le mitiche montagne erano associate  all’immortalità: a Penglai cresce il fungo dell’immortalità, usato dagli otto Immortali, mentre a Kunlun crescono le pesche dell’immortalità, distribuite agli ospiti dalla Regina Madre d’Occidente quando queste maturavano, una volta ogni tremila anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il fungo dell’immortalità usato in un morimono Scuola Ohara

 

interessante notare che nella parola d’origine cinese che designa gli 8 Immortali  Xian ( 仙 ) cề il kanji montagna

 

il monte Hōrai riprodotto in un laghetto 

 

Secondo la leggenda, il primo imperatore cinese Qin Shi Huangdi (260 a.C. – 210 a.C.) ordinò due spedizioni navali con lo scopo di trovare Hōrai e carpire agli Immortali il loro segreto sull’immortalità; non avendola trovata, siccome secondo le credenze dell’epoca gli Immortali si spostavano volando sulle gru, nei giardini imperiali cinesi si cominciò a costruire in scala ridotta l’isola di Penglai nei laghetti  sperando d’ingannare qualche Immortale di passaggio e allettarlo nel fermarsi per farsi svelare il segreto dell’immortalità. L’abitudine di costruire il Monte Horai nei laghetti si estese prima alla nobiltà per poi entrare nella tradizione colta prima cinese poi giapponese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immortale che vola, ignoto

 

 

 

Immortale che vola, Kiyohara Yukynobu (1643 – 1682)

Paesaggio in miniatura rappresentante Hōrai

Si cominciò, più tardi, a riprodurre   Hōrai anche nei vasi, costruendo dei -Paesaggi in miniatura-.

 Nell’antico Giappone le pietre erano considerate esseri viventi come i vegetali: ambedue posseggono il Ki, la Forza Vitale che si trova in tutte le componenti dell’universo, e le pietre hanno molto Ki accumulatosi durante il lungo periodo della loro formazione.

Ogni pietra, come i vegetali, ha un suo lato yang e uno yin, un “sopra” e un “sotto”, un davanti e un didietro.

 

 

Nel giardino del periodo Heian (794-1185) e Kamakura (1185-1333), gli interpreti principali del giardino non erano, come in Occidente, i vegetali ma grosse pietre e acqua a cui si aggiungevano pochi alberi sempreversi o da fiore oppure arbusti come è visibile nel disegno a lato, datato 1160 d.C., in cui le pietre e il ruscello sono gli interpreti principali con pochi alberi e arbusti.

 

La conferma del fatto che il giardino fosse composto principalmente da pietre ed acqua, la ritroviamo nel nome usato attualmente karesansui (giardino secco, asciutto) in cui kare significa asciutto mentre sansui (giardino) è formato dai kanji san=montagna e sui=acqua.

 

 

una delle pagine del Sakuteiki riguardante le rocce

 

Già in epoca Heian l’ ossatura dei giardini  era formata da grossi sassi disposti secondo le regole del feng-shui: il manoscritto sulla creazione di giardini più antico (-Sakuteiki-, compilato verso l’anno mille)  e il secondo per antichità (-Sensui narabini nogata no zu– del 15° sec.)  affermano che il posizionare nel giardino anche solo un unico sasso senza “rispettarlo”, ossia non tenendo conto della sua natura e del suo Ki, poteva causare malattie o anche la morte del proprietario poiché se mal posizionato non poteva proteggere la dimora dalle forze naturali negative.

 

Nel Sakuteiki si specifica chiaramente:

…..usare un sasso che in natura era diritto in una posizione inclinata o mettere un sasso che in natura era inclinato in posizione diritta, se ciò è fatto, questi sassi non posizionati secondo natura saranno causa di maledizione per il proprietario o la sua famiglia.

Per lo shintoismo le rocce sono sedi di kami, come, ad esempio, le due celebri rocce di Futamigaura.

 

rocce di Futamigaura.

stesse rocce disegnate daUtagawa Hiroshige (1797–1858)

da -36 vedute del monte Fuji- visto da Satta nella baia di Suruga

 

Anticamente le pietre venivano messe, esattamente come i vegetali dell’ikebana, nei suiban contenenti acqua: infatti il nome suiseki è composto da sui=acqua e seki=pietra ossia significa -pietra in acqua-. L’acqua, yin, veniva messa per equilibrare la presenza della pietra, yang.

 

 

 

 

 

 

Ancora oggi, nei Giardini secchi (karesansui) le rocce sono contornate da ghiaietta bianca, rappresentante l’acqua del mare, a cui viene data la forma di onde tramite rastrellamento.

 

I suiseki vengono catalogati secondo molteplici sistemi; per mostrare le molte similitudini fra ikebana e suiseki è interessante considerare la classificazione in base alla loro forma:

All’ikebanista interessa soprattutto la categoria    

Pietre a forma di montagna in lontananza-, sottogruppo della categoria -Pietre che richiamano un paesaggio naturale-

 

 

Il collezionare le pietre è d’origine cinese.

Prima che i suiseki venissero collezionati singolarmente, le pietre erano usate nei –Paesaggi in miniaturain cui rappresentavano l’ideale di montagne perciò le Pietre a forma di montagna in lontananzasono la prima forma di sassi collezionati e sono quelle in cui le similitudini con l’ikebana appaiono più evidenti poiché sia la scelta della forma delle montagne che la disposizione dei tre elementi principali nell’ikebana derivano dall’idealizzazione di una montagna simbolica.

 

L’imperatrice Suiko, Tenno dal 592 al 628 e sotto il cui regno, secondo la tradizione, nacque l’ikebana con Ono-no-Imoko / Ikenobō, ricevette come dono dall’imperatore cinese uno di questi -Paesaggi in miniatura-

 

kakemono di Hakuin Ekaku (1685-1768) con pietre formanti la triade buddhista

 

Paesaggio con 3 pietre formanti una triade buddhista Parco Collina della Tigre Suzhou, Cina

 

 

 

Il primo stile usato nell’ikebana, da cui derivano tutti gli altri stili, fu quello che la scuola Ohara chiama Stile Alto o Verticale con l’elemento principale arretrato e al centro (shu), il secondo alla sua destra e avanzato (fuku) e il terzo leggermente ancora più avanzato alla sua sinistra (kyaku).

 

 

 

Il mettere i tre elementi principali in questo modo non è originale dell’ikebana: lo troviamo, ad esempio, nella disposizione, già usata nei giardini in epoca Heian, dei sassi formanti la “Trinità o Triade Buddhista”, palesemente uguale alla disposizione di shu, fuku e kyaku nel stile Alto, moribana e heika, della Scuola ohara

La triade buddhista rappresentava sempre Buddha al centro, il personaggio più importante dei tre, con alla sua destra e sinistra personaggi meno importanti, che cambiavano a seconda dei casi.

 

Trinità Buddhista

 

esempio di trinità buddhista l’abbiamo nella disposizione dei tre kakemono messi sopra la triade di oggetti sacri (incensiere-candelabro-ikebana) che si trasformerà nel tokonoma

 

esempi di Trinità oTriade Buddhista col nome dei giardini che le contiene

 

 

 

 

 

interessante notare come in natura questa disposizione di tre elementi esista anche, ad esempio, in questo corno di giovane cervo in cui lo schema della Trinità Buddhista è evidente.

 

 

 

 

Triade Buddhista in una stampa cinese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I sassi della Triade Buddhista richiamano la montagna non solo perché sono sassi ma anche poiché hanno la stessa disposizione dei tratti verticali del kanji YAMA, qui sotto scritto nello stile formale, che significa MONTAGNA

 

kanji letto YAMA, lettura Kun, o SAN, lettura On

 

 

in cui il tratto principale è al centro, secondo tratto è alla sua destra e avanzato, terzo tratto è alla sua sinistra ancora più avanzato

 

Interessante per l’ikebanista notare che la disposizione dei tre tratti verticali del kanji YAMA non solo è la stessa della disposizione dei tre elementi shu, fuku e kyaku nel Moribana stile Alto (che è lo stile “primordiale” da cui derivano tutti gli altri stili) ma è pure, nello Stile Verticale della Scuola Ohara, la disposizione dei punti di inserzione dei tre elementi principali nel kenzan:  shu, che corrisponde per importanza al sasso centrale della Triade, è al centro e arretrato, fuku, che corrisponde al secondo sasso per volume, è avanzato alla sua destra, e kyaku, che corrisponde al sasso più piccolo, è alla sua sinistra ancora più avanzato.

 

Dunque l’ideale della forma di una montagna non è quello che troviamo in natura, con poche eccezioni, ma è quello basato sul simbolismo della Triade Buddhista associato al simbolo del tai-ji taoista.

Questa forma di montagna idealizzata la ritroviamo nei suiseki catalogati come

Pietre a forma di montagna (yamagata-ishi) in lontananza

 

 

 

 

 

 

 

sono state le prime forme di suiseki collezionate

 

 

in cui in un’unica pietra sono incorporati i volumi e posizioni delle tre pietre della Triade Buddhista ossia è visibile un picco centrale (alcune volte arretrato) con alla sua destra un picco più basso (alcune volte avanzato) e alla sua sinistra un picco ancora più basso (alcune volte avanzato) esattamente come nel Moribana Alto e nelle tre pietre della Trinità Buddhista.

-notare che il picco “shu” e “fuku” sono più vicini fra di loro rispetto al picco “kyaku” poiché, come nell’ikebana, rappresentano la parte yang  del simbolo del Tai-ji mentre il picco “kyaku” è più distante poiché rappresenta la sua parte yin- (vedi articolo 15°)

Come un ikebana può essere di-destra/hongatte o di-sinistra/gyakugatte, anche le pietre a forma di montagna in lontananza possono avere una forma di-destra o di-sinistra

 

hongatte/di-destra

gyakugatte/di-sinistra

 

L’abitudine di mettere i suiseki nel tokonoma, secondo la tradizione, è cominciata con Sen no Rikyu verso la fine del 1500 e le regole del loro posizionamento nel tokonoma è simile a quello degli ikebana, già in uso dalla fine del 1400.

e, di conseguenza, come nel Moribana hon-gatte o gyaku-gatte, stile Alto, il kenzan non è posto nel centro del vaso ma a sinistra o a destra del suo centro, anche la pietra di-destra o di-sinistra sarà posizionata nel suiban o sul dai seguendo le stesse regole ossia la pietra di-destra sarà posta non nel centro ma leggermente alla sua destra e viceversa.     vedi art. 16° e 17°

suiseki gyakugatte, posto a sinistra del centro del dai

suiseki hongatte, posto a destra del centro del suiban

 

 

 

 

e anche nella sua posizione nel tokonoma seguirà le stesse regole dell’ikebana: la pietra hongatte sarà a destra del kakemono mentre quella gyaku-gatte sarà a sinistra del kakemono

disposizione hongatte/di-destra dei tre elementi

 

disposizione gyakugatte/di-sinistra dei tre elementi

 

vedi anche articoli 16° e 17°

Altra particolarità da evidenziare è il fatto che  nei suiseki “il concavo accoglie lo sguardo” ossia se una pietra presenta una parte concava, questa è rivolta verso chi guarda

questo concetto lo vediamo chiaramente nell’apertura delle braccia per accogliere qualcuno

SUISEKI “TOYAMA ISHI”

 

   

 

 

 

 

Che “il concavo accoglie lo sguardo” lo vediamo già applicato nella disposizione delle pietre formanti la Triade Buddhista in cui la pietra più grande è al centro ed arretrata rispetto alle altre due, ai suoi lati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e lo ritroviamo anche nell’ikebana stile Alto a lato in cui shu è più importante ed arretrato,

fuku meno importante e avanzato rispetto a shu,

kyaku è il più piccolo e avanzato rispetto agli altri due, esattamente come le tre pietre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

vista laterale di un bonsai con tronco curvato

 

Nei bonsai il concetto -il concavo accoglie mentre il convesso respinge- viene applicato nelle piante con tronco mosso, in cui il lato concavo della curvatura più importante del tronco dev’essere rivolta verso l’osservatore

Nell’ikebana il concetto che “il concavo accoglie” viene applicato nell’uso dei vasi arcuati dei Rimpa in cui, in generale, si preferisce (per la ragione esposta) mettere la parte concava verso chi guarda, anche se occasionalmente è la parte convessa del vaso che viene mostrata se esiste un motivo particolare.

 

 

Posted in Senza categoria |

38 il simbolismo dei vegetali

Siccome nell’attuale cultura occidentale alle tradizioni viene preferita la creatività individuale, è importante conoscere le tradizioni dell’ikebana, fra le quali troviamo il simbolismo dei vegetali usati.

 

 

 

Ogni cultura ha un suo simbolismo associato coi vegetali che, ad esempio in Occidente, può essere connesso alla religione (gigli), al militare (foglie di quercia), allo sport (corona d’alloro), alle superstizioni (trifoglio), alla poesia (la rosa), agli stemmi araldici (gigli del re di Francia) e altro.

Il simbolismo giapponese deriva da varie fonti ma soprattutto dalla Cina, tramite le associazioni con cerimonie religiose del buddhismo e confucianesimo, a cui si aggiunsero simbolismi autoctoni, di varie origine ma derivanti specialmente dalla poesia.

 

 

Questi simbolismi sono basati soprattutto su analogie o sembianze fra un vegetale e una qualità non visibile, come il coraggio o la perseveranza o il desiderio di lunga vita.

 

ventaglio con nadeshiko

 

 

Ad esempio il garofano di montagna, nadeshiko, (Dianthus superbus) è citato in ventisei poesie del Manyōshū e simboleggia la grazia femminile.

 

 

 

 

 

 

 

 

festa dei ragazzi il 5° giorno del 5° mese (al giorno d’oggi anche delle ragazze): si espongono bambole ed oggetti di foggia virile per augurare coraggio e forza ai figli. Notare gli Iris.

 

 

Le foglie d’iris rammentano le spade perciò gli iris sono usati nel 5° giorni del 5° mese per la festa dei ragazzi.

 

Importante è pure l’omofonia:

ad esempio il pino -matsu- è omofono del verbo -matsu- che significa attendere e lo troviamo citato in ben 71 poesie del Manyōshū

 

Fiori specifici simboleggiano le quattro stagioni o mesi dell’anno, ma l’elenco dei vegetali può differire, ad esempio, se usato nell’ambito della Cerimonia del Tè o dalle varie scuole d’ikebana o dai Bunjin o da altri gruppi.

In generale le piante sono considerate maschili (Yang) rispetto ai fiori e alle erbe ma anche fra le piante stesse ce ne possono essere di maschili o femminili (ad esempio il Pinus thunbergii è considerato maschile (Kuro-matsu e O-matsu) rispetto al Pinus densiflore, femminile (Aka-matsu e Me-matsu) rispetto al thumbergii.

Certe combinazioni di vegetali sono molto conosciute per il loro simbolismo, come

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

i 3 amici della stagione fredda

ossia

pino -simboleggia lunga vita-,

bambù -devozione-

albicocco giapponese (Prunus mume) -coraggio-,

usati nel periodo di capodanno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I quattro colleghi ( o quattro nobili caratteri ):

orchidea (primavera)

bambù (estate)

crisantemi (autunno)

Prunus mume (inverno)

 

vegetali usati in questa composizione Ohara, disegno  del 1935, rappresentanti le quattro stagioni

 

le sette erbe autunnali AKI NO NANA KUSA

Nel Manyōshū (= raccolta di 10.000 foglie), prima raccolta di poesie giapponesi del 750 d.C., c`è un tanka di Yamanoe No Okura dal titolo AKI (autunno) NO NANA (sette) KUSA (erbe) che dice:

 

 

Lespedeza
Miscanthus sinensis ( it: eulalia )
Pueria
Patrinia scabiosaefolia
Eupatorium cannabis ( it: valeriana )
Dianthus ( it: garofano di montagna )
Convolvolo

Da allora le “sette erbe d’autunno” sono da tutti conosciute quale simbolo dell’arrivo dell’autunno e, col passare del tempo, pittori e poeti hanno citato o fatto riferimento a questa poesia anche modificando o il numero ( 5 o 7 ) o sostituito una o più specie; le “sette erbe” sono presenti nei dipinti, sui ventagli, sui paraventi e porte scorrevoli, sui kakemono, sulle lacche, sui kimono e obi, nelle composizioni dalle Scuole d’ikebana.

 
(C) scuola Ohara
Attualmente la scuola Ohara utilizza solo quattro delle sette erbe in un Paesaggio tradizionale d’autunno poiché il numero totale dei vegetali usati dev’essere dispari e il licopodium, che non fa parte delle 7 erbe autunnali ma è prescritto dalla Scuola Ohara, entra in questa conta.
 
 
 
 
 

in questi disegni di composizioni Ohara del 1934, nel primo si usano tutte e sette le “erbe” mentre nel secondo se ne usa solo due “originali” (genziana e patrinia) a cui sono aggiunte altre due erbe tipicamente autunnali (Wax-tree e Anthistiria Arguens).

Interessante notare che questa composizione viene definita:
Moribana influenzato dallo stile Rimpa
Posted in Senza categoria |

37 origine mitologica del Giappone

Una delle molteplici ragioni per cui l’Ikebana si sia sviluppato, fra tutti i paesi con religione buddhista, solo in Giappone è dovuta al fatto che la tradizione giapponese ha un contatto con la Natura molto differente rispetto a quella occidentale; il conoscere i miti shintoisti sulla creazione del mondo e paragonarli ai nostri miti cristiani ci aiuta a capire meglio il perché di tale differenza nel rapporto con la natura, specialmente con i vegetali.

Con l’introduzione del buddismo in Giappone nel 522 d.C. si è sentita la necessità di coniare il nome SHINTO per la “religione” autoctona già esistente; per ordine imperiale furono scritti due libri:

 

 

 

 

il KOJIKI (libro delle antiche parole) nel 712 d.C.

il NIHONGI o NIHON SHOKI (annali del Giappone) nel 720 d.C.

ambedue scritti per tramandare i miti della nascita del Giappone ma anche con lo scopo di rafforzare l’idea che il clan imperiale discendeva direttamente dall’astro più importante del firmamento ossia la dea del sole AMATERASU .

Contrariamente al cristianesimo in cui un Dio crea il mondo, per lo shintoismo l’universo esiste senza un Dio che lo crei e i primi dèi vi appaiono in maniera spontanea e per se stessi. Questi testi a grandi linee ci dicono che :

– il Cielo, compiuto dall’inizio, si separa dalla Terra, molle, inconsistente, dispersa.

– appaiono le Divinità Primordiali:

cinque maschi “che nascondono il loro corpo agli sguardi” e risiedono nel Cielo seguiti da “sette generazioni divine” che fanno apparire le forze della natura sotto forma di potenze divine (KAMI) appaiate.

L’ultima coppia fratello-sorella/moglie-marito generata è quella di

IZANAGI, colui che invita, e IZANAMI, colei che invita.

Gli Dei Primordiali incaricano la coppia di consolidare la terra ed essa, dal Ponte Sospeso del Cielo (che permette di scendere sulla Terra) con una lancia muovono le acque fangose e dal fango che colava da essa ebbe origine la prima isola.

– avviene poi la prima esperienza sessuale nel mondo divino: IZANAMI, parlando per prima, si unisce con IZANAGI e dalla loro inesperta unione nasce un figlio-non-riuscito e un` isola .

– di fronte a questo parziale insuccesso tornano in Cielo;

gli Dei Primordiali dicono che dev’essere il maschio a prendere l’iniziativa; osservano anche una coppia di cutrettole mentre i due uccelli si accoppiano. Ritornano sulla terra e avviene una nuova unione sacra, dopo che il maschio ha parlato per primo, da cui nascono le otto isole del Giappone e vari Kami  delle acque, delle pianure e delle montagne, ecc. che a loro volta generano altri Kami. Isole e Kami sono generati sia per via sessuale che per auto-generazione e nel mondo dei Kami tutto nasce da tutto.

– IZANAMI muore dando alla luce il Kami del Fuoco che le brucia i genitali,  ma genera ancora sei divinità dal suo vomito, dai suoi escrementi, dalle sue urine (simboli della potenza biologica sacra) quali, ad esempio, il Principe e la Principessa della miniera e dell’argilla, Principessa dell’irrigazione e Principessa del cibo ricco .

– IZANAGI vendica la sorella-moglie uccidendo il Kami del Fuoco ed è nuovamente occasione di nuove nascite: otto Kami dalle gocce del suo sangue e otto dalle differenti parti del suo corpo (sono tutti Kami risoluti violenti come il tuono, acque violenti delle valli, sibili del vento).

– IZANAGI scende agli Inferi per ricuperare la moglie morta, senza riuscirci .

Torna sulla terra e deve purificarsi, essendo stato a contatto con la morte, ed è di nuovo l’occasione per procreare nuovi Kami:

-dodici dai suoi indumenti e oggetti personali che getta via

-quattordici dal suo bagno purificatore: fra questi

° dall’occhio sinistro la Dea AMATERASU, associata al Sole

° dall’occhio destro TSUKI-YOMI, Kami maschile associato alla luna

° dal naso SUSANO, Kami maschile associato all’uragano, al vento, al mare

da notare che il lato sinistro, essendo yang rispetto al destro, è il lato più importante.

– è IZANAGI che distribuisce i compiti fra i tre figli, con AMATERASU che predomina per le sue funzioni sui due fratelli (a beneficio dei futuri Imperatori)

– SUSANO contesta la supremazia della sorella; Izanagi li riappacifica facendo loro procreare altri Kami tramite la masticazione di oggetti che si regalano (spada di lui regalata alla sorella e gioielli di lei regalati al fratello): tre figlie dalla bocca di Amaterasu e cinque figli dalla bocca di Susano

da notare la preferenza per i numeri dispari, yang rispetto ai numeri pari

– SUSANO distrugge le dighe e le risaie della sorella Amaterasu e osa defecare sul suo trono (simbolo della violazione globale dell’ordine dei mondo).

– AMATERASU, offesa dal comportamento del fratello, si ritira nella Caverna del Cielo ed è l’oscuramento totale;  le miriadi di Kami si riuniscono e tentano inutilmente di farla uscire con danze, mostrando rami di Sakaki ornati con pezzetti di carta (modi che ritroviamo ancora oggi nei riti shintoisti !) e fanno cantare tutti gli uccelli all’unisono per far credere all’offesa che sia sorto un altro sole e farla così ingelosire. Ma tutti i loro sotterfugi falliscono.

– la dea AMENO rovescia un barile vuoto e vi sale facendo una danza “oscena” (mostrando seno e genitali) che scatena risate delle “otto miriadi” di Kami; incuriosita dalle risate AMATERASU guarda fuori, vede il suo viso in uno specchio messo appositamente davanti al suo viso e viene convinta che ci sia un altro kami, esce e viene afferrata saldamente: l’entrata della caverna suo rifugio viene sbarrata  e ritorna a splendere il sole sulla Terra. .

– SUSANO viene esiliato a IZUMO, sul mare del giappone, dove regna suo figlio­

– AMATERASU, per assicurare alla sua discendenza il Giappone, manda sulla terra NINIGI suo nipote, munito dei “3 oggetti divini” (specchio – spada – gioielli ricurvi) nel Kyushu. Il nipote di NINIGI, futuro imperatore JINMU (quinto discendente diretto della Dea Amaterasu), muove verso Nord, conquista Izumo e altre terre arrivando nello YAMATO ove è proclamato Imperatore.

All’ikebanista, per sottolineare il rispetto che dovrebbe mostra verso i vegetali quando crea un ikebana, è importante  rammentare come lo shintoismo consideri un rapporto di “consanguineità” fra individuo e il mondo intero, inclusa l’umanità, gli esseri viventi e non viventi, i morti, la terra, i corpi celesti e i kami.

Per lo shintoismo, ikebanista e vegetali sono “consanguinei”, perciò sia le parti dei vegetali usate nella composizione sia quelle che vengono scartate, sono considerate e rispettate nello stesso modo e trattate di conseguenza.

 

È anche interessante la descrizione della nascita di svariati vegetali nel KOJIKI; ad esempio quella di alcuni alberi nati da singoli peli di Susanoo: da uno della barba nacque la criptomeria, da uno del petto il cipresso, da quelli delle natiche il pino nero, dalle ciglia la canfora. Viene poi indicato l’uso: criptomeria e canfora per la costruzione delle barche, cipresso per le case, pino per le casse da morto.

 

 

In un altro capitolo si spiega l’origine dei cereali: Susano uccide il kami del nutrimento Oh-getsu-hime e dai suoi occhi nacquero i semi del riso, dalle orecchie il miglio, dal naso i fagioli rossi, dai genitali il grano e dall’ano la soia.

 

 

Molti altri vegetali vengono generati da altri kami ma è da notare che la nascita dell’uomo e degli animali non viene mai descritta.

Posted in Senza categoria |

36 introduzione storica alla composizione Bunjin: i Letterati

 

Noi conosciamo il Giappone soprattutto come patria della “Via”, del “Metodo” (-dō) ove l’accento è posto sulla disciplina e non c’è spazio per gli spiriti liberi .

Però in Giappone ci furono dei movimenti artistici che si scostarono da questa visione zen della vita : uno di questi fu il BUNJIN-GA (Bun = lettere, Jin = uomo, Ga = pittura), “pittura dei Letterati” chiamato anche Scuola Nanga formato da artisti-pittori provenienti dagli strati più elevati, educati e riflessivi della società giapponese .

 

In Cina, il termine “pittura dei Letterati” (Wên-Jên Huain in cinese, che diventa Bun-Jin-Ga, in giapponese) non faceva riferimento a un particolare stile pittorico, ma piuttosto ai requisiti di un pittore aristocratico (contrapposto al pittore artigiano-professionista), cioè la nascita, la posizione sociale, l’educazione, la cultura e persino lo stato d’animo; In Cina i Letterati, non avendo problemi di soldi, non dipingevano per guadagnarsi da vivere perciò erano al di fuori dei dettami ufficiali del gusto e potevano essere più spontanei e individualisti degli artisti vincolati ai loro mecenati. Le opere dei pittori artigiani-professionisti erano considerate inferiori a quelle dei dilettanti istruiti Wên-Jên .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1654 mentre era al potere il 4° shōgun Tokugawa, entrò in scena a Kyoto un monaco zen cinese, di nome Ingen che predicava uno zen più austero rispetto alle correnti zen presenti in quel tempo .

 

 

Il giovane shōgun, allora diciottenne, rimase affascinato da Ingen e gli offrì un vasto terreno e il sostegno finanziario per stabilirsi a sud di Kyoto

ove fondò, osteggiato dalle altre sette zen già esistenti, la sede della sua nuova setta zen, chiamata Obaku, facendo costruire il tempio di Mampuku-ji, in puro stile cinese, importando dall’estero tutto il costoso materiale necessario per la sua costruzione .

Ingen: Manpuku-ji

 

 

Lo shōgunato continuò le sue sovvenzioni permettendo alla setta zen Obaku di costruire

centinaia di templi in tutto il Giappone; alla guida della setta Obaku seguirono a Ingen ventun generazioni di monaci cinesi, con l’eccezione di uno o due giapponesi, per circa centoventi anni, finché intervennero i giapponesi, per mancanza di monaci immigrati cinesi.

 

Ingen introdusse in Giappone la calligrafia stile Ming e il Senchadō =via del tè infuso, modo cinese di gustare il tè in foglie intere, differente dal Matcha, praticato dai Maestri del Tè, cerimonia tutta wabi-sabi in cui si usa il tè in polvere. il tè preparato infondendo le foglie intere era già conosciuto a livello popolare e venduto dagli ambulanti nelle grandi città

 

differenza nell’ambiente e nella disposizione degli utensili fra:

 

MATCHA e SENCHA

 

 nel Sencha si potevano usare delle sedie, come era l’abitudine in Cina

 

Ancora al giorno d’oggi il Mampuku-ji è il quartiere generale nazionale delle varie scuole del tè sencha .

 

 

 

Il Sencha è una funzione molto più rilassata e pratica del Matcha, comportando un minimo di cerimoniale e un massimo di gioco; frequentemente il Sencha veniva svolto nella natura, vicino a un fiume o fra le montagne, luoghi che decantavano componendo poesie e dipinti mentre conversavano e bevevano il tè.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le radici dei letterati giapponesi (chiamati Bunjin) sono in Cina, ove si erano formati i letterati cinesi (persone la cui vita era dedicata all’arte e alla letteratura, ma per le quali nulla era tanto elevato da non poter essere messo in discussione o da non poterne ridere), un ibrido di confucianesimo e di taoismo.

 

Dal confucianesimo veniva il loro aspetto serio, colto, studioso

 

” se vuoi governare lo stato pacifica prima la tua famiglia.

Se vuoi pacificare la tua famiglia, disciplina prima te stesso.
Se vuoi disciplinare te stesso fai prima retto il tuo cuore.”

 

Per i letterati cinesi si rendeva “retto il cuore” praticando le arti quali la letteratura, “le tre perfezioni” di poesia , pittura e calligrafia, alle quali si aggiunse la musica, solo di strumenti a corde.

Col passare del tempo questa pratica si ampliò a tutte le arti che entravano nello studio di un intellettuale dalla lavorazione del bambù e del metallo, alla ceramica, la fabbricazione della carta, dell’inchiostro, dei pennelli, delle pietre da inchiostro.

 

Ma la pratica delle sole virtù non era molto attraente, perciò i letterati si riferirono anche al taoismo, da cui deriva il loro spirito libero amante della natura, mondo dei saggi che vedevano la vita libera come l’acqua o il vento, erano idealmente eremiti che non desideravano altro che ritirarsi dalla polvere del mondo e godere della “pura conversazione” con gli amici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Wên-Jên, letterati cinesi

Al tempo della dinastia MING 1368-1644 in Cina la figura del letterato era chiaramente distinguibile: senza problemi di soldi, viveva idealmente in semi isolamento in un eremitaggio ove riceveva gli amici .

Un famoso scrittore dell’epoca Ming diceva :

 

“l’ideale è vivere in cima ad una montagna ; altrimenti in campagna. Se no, nei sobborghi.

Quand’anche non si potesse abitare tra cime e vallate, l’abitazione del letterato deve avere l’aspetto di un luogo lontano dal mondo terreno: alberi secolari e fiori esotici in giardino, oggetti d’arte e libri nello studio. Chi dimora in questa casa non saprà del passare degli anni e gli ospiti dimenticheranno la partenza “.

 

Lo sviluppo dei letterati fino al XVI° sec. avvenne solo in Cina ; Il Giappone, intanto, era diventato il paese delle arti marziali, in contrapposizione alle arti letterarie .

 

Per il loro comportamento, anche se non chiamati in questo modo, i primi “letterati” emersi in Giappone si possono considerare i maestri del tè del XVI° sec., protetti dalle guerre e dagli sconvolgimenti dei loro tempo grazie alle istituzioni zen di Kyoto .

 

Essi adottarono l’ideale Ming dell’eremitaggio sviluppando la casa da tè wabi-sabi in cui si rifugiavano sottraendosi alla mondanità e lì trovavano tutte le arti dei letterati: la calligrafia nel Tokonoma, la poesia, la lavorazione della ceramica, del bambù, della pietra e del ferro.

 

Furuta Oribe (1544-1615) ideale sucessore di Sen-no-Rikyū, al servizio quale Maestro del Tè presso lo shogun, creava tazze da tè sbilenche con bordi ritorti e disuguali e colori e disegni tipici.

 

 

 

 

 

 

 

tazze di Oribe

 

 

 

 

 

 

 

Suiban con disegni tipo Oribe usato dalla Scuola Ohara

 

 

Kobori Enshu ( 1579 – 1647)

 

Enshu, suo successore, sorprendeva gli ospiti, dopo un acquazzone, gettando un secchio d’acqua nel tokonoma al posto della consueta composizioneChabana.

  

Grazie all’allentamento dei divieti d’importazione dei libri stranieri imposti dai Tokugawa, arrivarono in Giappone notizie sui letterati cinesi e le loro idee attecchirono anche su parte degli uomini di cultura giapponesi; i Bunjin iniziarono a contestare il sistema del potere shōgunale e alcuni letterati giapponesi pubblicarono libri in cui attaccavano lo shōgun e invocavano il ritorno al potere reale dell’imperatore, preparando così il terreno per la caduta del bakufu.

 

Il tempio fondato da Ingen fu preso come punto di riferimento dai Bunjin sia perché i monaci zen che venivano direttamente dalla Cina erano anche pittori e nel tempio, oltre che avere notizie di prima mano sulla cultura cinese, si usava bere il Sencha: questo modo di bere il del tè fu adottata dai Bunjin per differenziarsi dai samurai che usavano il Matcha.

 

Posted in Senza categoria |

35 ikebana e la storia: era Meiji (1868 – 1912), Taisho (1912-1925) e Showa (1926-1989)

All’inizio dell’era Meiji ci fu una “occidentalizzazione forzata” e tutto ciò che era giapponese, ikebana compreso, diventò impopolare e venne sostituito da ciò che era straniero.

 

 

 

 

 

l’imperatore Meiji con nobildonne

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Imperatore Meiji, giovanissimo,  in abito tradizionale

 
 

 

 

 

 

L’imperatore Meiji con moglie e figlio.

 evidente l’immensa composizione floreale occidentale

 

 

 

 

 

 

 

 

L’imperatore Meiji con famiglia.

notare la composizione floreale occidentale

 

Interessante notare che, nonostante l’occidentalizzazione evidente, gli schemi culturali giapponesi vengano mantenuti: “il nuovo si aggiunge al vecchio, invece di soppiantarlo”

Ad esempio gli uomini sono posizionati a sinistra del tavolo centrale mentre le donne alla sua destra: la sinistra è ritenuta più importante poiché yang, maschile, mentre la destra è meno importante ed è yin, femminile (il kami Amaterasu, dea del sole da cui discende la Famiglia Imperiale, è nata dall’occhio sinistro del padre Izanagi).

Sul tavolo ci sono tre oggetti che richiamano i tre oggetti sacri (incensiere-candelabro-ikebana) -vedi art. 13° la nascita dell’ikebana- ma la loro ripartizione è “occidentale”: la composizione floreale occidentale (associata al femminile) ha sostituito l’ikebana ed è posta dal lato (yin/femminile) delle signore mentre l’orologio e l’incensiere, ritenuti “oggetti maschili” sono dalla parte degli uomini

 

 

 

 

 

 

 

 

vestiti, vaso con fiori, strumento, motivi decorativi dei tessuti, mobilia, pavimento: tutto occidentale

 

 

 

 

consegna dei diplomi in una scuola di “decorazione floreale occidentale*

 

  ultimo shogun Tokugawa
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

in abiti cerimoniali giapponesi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

in abiti occidentali

 

 

 

 

In alcuni rescritti imperiali si affermava che le donne dovevano essere ” buone mogli e madri sagge ” e l’ikebana faceva parte delle mansioni che caratterizzavano questo ideale di donna.

Con il rescritto imperiale sull’educazione del 1890, il governo introdusse l’insegnamento dell’ikebana solo nelle scuole femminili, poiché in Occidente l’occuparsi di fiori era una attività legata solo al femminile .

Al giorno d’oggi alcune scuole insegnano l’ikebana alle allieve ma la maggior parte degli insegnamenti di quest’arte, per le scolare, avviene nei club del doposcuola.

 

 

Nel 1910 nasce la scuola Ohara, prima ad introdurre l’uso dei fiori “stranieri” e lo stile moribana

 

 

 

 

Al motto ” l’Ikebana fuori dal Tokonoma” si formano le nuove tendenze per cui la rivoluzione culturale porta a vedere l’Ikebana come un’arte che “deve adattarsi ai nuovi tempi”; ai vegetali vengono associati altri materiali creando il

JIYUBANA ( = arrangiamento libero ).

 

Viene declamato nel 1930 il

“Manifesto dei nuovi stili dell’Ikebana ”

in cui si rigetta il passato dell’Ikebana, dai suoi stili ( kata ), ai suoi concetti filosofici, alle restrizioni nell’uso dei vegetali. Si proclama l’uso libero dei contenitori, le forme libere e il sentirsi in sintonia col vivere moderno assumendo una forte connotazione artistica “occidentale” in cui l’ ikebanista deve lasciare “un segno della propria personalità” nella sua composizione .

 

La visione tradizionale dell’Ikebana, pur avendo tutte le costrizioni “artificiali” imposte, metteva sempre i vegetali in primo piano quale raffigurazione della Natura, residenza degli Dei; la nuova visione che si afferma in questo periodo storico vede i vegetali come “cose o oggetti” che possono essere manipolati (nell’ottica occidentale) al pari delle “cose” su cui l’artista occidentale imprime la sua personalità, banalizzando l’Ikebana, trasformando quest`arte in un semplice passatempo artistico basato sulla visione occidentale della Natura (Ikebana ­oggetto) .

 

In uno scritto del 1950 , intitolato ” l’Ikebana d’avanguardia “ Shigemori Mirei afferma :

“bisogna sbarazzarsi dell’idea che sia la natura o il vegetale che costituisca il materiale di base dell’Ikebana, altrimenti non arriveremo mai a fare dell’Ikebana un’arte nel senso pieno del termine ( ………. ). Il vegetale non è nient’altro che un pezzo di materia isolato che, in sé stesso, non ha nessun senso né contenuto (… ). Noi dobbiamo vedere nei vegetali solo le linee, i colori e le masse.”

 

È importante ricordare che questi movimenti artistici che parlano dell’Ikebana-oggetto erano anche una risposta “politica” che sottolineava un volontà di forzare un cambiamento di mentalità nel regime politico .

 

Dagli anni 1960 in poi, opponendosi alla riduzione dell’Ikebana a un oggetto, la tendenza di alcune Scuole è stata di ridare valore al materiale vegetale, ritornando al concetto di Ikeru: “far vivere i fiori ” mettendo in evidenza la differenza fra materiale solido e vegetali “vivi”, ricentrando l’Ikebana sui vegetali vivi e non solo sulle loro forme, volumi e colori .

 

Durante questo periodo storico di grandi cambiamenti, varie Scuole d’Ikebana sono sorte o scomparse; attualmente, fra le molteplici, tre di esse sono ritenute le più importanti. La Scuola Ikenobo che si “modernizza” nelle tecniche e negli stili (mantenendo la maggior parte degli allievi) e oltre alla Scuola Ohara (che ha creato il nuovo Moribana, stile che è stato incorporato nel curriculum di tutte le scuole) appare la Scuola SOGETSU (creata da Sofu Teshigahara) .

 

Queste tre Scuole rimangono le più importanti e frequentate in Giappone fino ai giorni nostri :

IKENOBO­

la più tradizionale, conservativa,  oltre al Moribana insegna ancora anche il Rikka e lo Shoka sia in versione “classica” che “moderna”

OHARA –

considerata a metà strada fra la tradizionale Ikenobo e la “moderna” Sogetsu

SOGETSU –

considerata la più “moderna”, mischia i vegetali anche con altro materiale, lascia moltissima libertà alla soggettività dello studente, i contenitori possono mancare paragonando la composizione a una scultura.

Posted in Senza categoria |

34 l’ikebana e la storia: periodo Edo

La nascita "storicamente provata" dell'ikebana è avvenuta nelle residenze degli shogun Ashikaga, nel 15° secolo, nell'ambito del kazari, decorazione e disposizione degli oggetti delle collezioni degli shogun.

Quest'arte si espanse fra la nobiltà della classe dei samurai ma fu ignorata, all'inizio, dalla nobiltà imperiale come all'inizio lo fu la Cerimonia del Tè, pure originatasi nella classe dei samurai. 
La Corte imperiale cominciò a praticare la Cerimonia del Tè  e l'ikebana una generazione dopo di quella che la introdusse presso la nobiltà guerriera, anche se, per quanto riguarda la Cerimonia del Tè, Hodeyoshi in due occasioni svolse questa cerimonia nella residenza del Tenno nella capanna trasportabile in oro e in sua presenza con alcuni membri della Famiglia imperiale, cerimonia svolta sia da Rikyu che da lui stesso.    vedi art. 47°

Nei diari dei nobili che attorniavano l'imperatore si parla di decorazioni con fiori che alcuni di essi eseguivano occasionalmente per l'imperatore ( ad esempio per Go-tsuchimikado, 1442-1500 ) e, più tardi, di composizioni eseguite anche dai maestri Ikenobo, ma queste erano piuttosto l'eccezione e non la regola. Gli autori di queste composizioni erano sempre solo maschi, sia monaci che laici.


Periodo Edo o Tokugawa (1603-1868 )

Go-mizunoo

I Rikka, sia nelle abitazioni degli shogun e daimyo che in quelle degli Imperatori e nobili, erano eseguiti da monaci. È grazie all’imperatore Go-mizunoo (1596-1680, 108-esimo imperatore) che, verso il 1620,  il creare dei Rikka divenne un’attività regolare anche fra parte della nobiltà maschile imperiale; egli fu l’unico Imperatore a praticare di persona l’ikebana: si appassionò talmente a quest’arte che divenne allievo di  Ikenobō  Sencho/Senko II°. Il Tenno si riuniva, anche due volte la settimana, con un gruppo socialmente eterogeneo composto da nobili, prelati di alto grado (pure loro, per tradizione, scelti fra i nati nella famiglia imperiale) ma anche da alcuni ricchi “cittadini”, talentuosi in quest’arte, appartenenti alla classe degli artigiani-mercanti, la più bassa nella scala sociale Tokugawa; questo gruppo studiava e creava i Rikka con vari maestri e sovente il Tenno chiamava Sencho affinché giudicasse le loro composizioni.

 


Nel 1628, con altri 49 ikebanisti, il Tenno e Sencho Ikenobō organizzarono una mostra di Rikka all’interno del Palazzo imperiale a Kyoto, aperta al pubblico di qualsiasi ceto sociale. La mostra venne ripetuta per vari anni e aiutò a divulgare l’ikebana in tutti gli strati sociali.                                                                                                                          esempio, datato 1790, di come avvenivano le mostre di Rikka
notare la presenza di ogni ceto sociale e di entrambi i sessi
 
 

 

 

 

 

 

Interessante sapere che, nei diari scritti dai membri del gruppo capeggiato dal Tenno, si dice che i vegetali venivano cercati fuori città ma anche nei giardini della nobiltà, nei giardini dei templi, ma anche “colti” nei giardini dei ricchi mercanti o artigiani che, ovviamente, non potevano opporsi alla loro raccolta.








 











Go-mizunoo ordinò che fossero disegnati (e radunati in un libro arrivato fino a noi, con 250 disegni ) i Rikka creati da Senko II°.

 

  

         
due dei disegni di Rikka eseguiti da Senko II°. 
 
                                                                                                                                                                      
  Lo shogunato, per non essere di meno della Corte imperiale, su ordine di Iemitzu , 3° shogun Tokugawa (1623-1651), fece venire da Tokyo a Edo lo Iemoto  Ikenobō  che realizzò tre Rikka nel palazzo shogunale, abitudine mantenuta fino alla caduta dei Tokugawa, nel 1868, ogni volta che si insediava un nuovo iemoto ikenobō.


Durante il Periodo Edo (Tokugawa) la ricchezza, e di conseguenza anche la cultura, della classe sociale dei mercanti/artigiani crebbe gradualmente sia in numero che in ricchezza a discapito di quella dei samurai e i "nuovi ricchi borghesi" volevano pure imitare la nobiltà anche nelle composizioni floreali,

                                                                                                     

 

La cultura delle Corti imperiale e shogunale, nei primi cento anni del Periodo Tokugawa, venne lentamente fatta propria dalla "gente comune" della classe dei mercanti/artigiani (la più bassa nella scala sociale tokugawa) abitanti delle grandi città, perciò nel 18° sec. l'eredità culturale, appartenuta fino allora solo alla Nobiltà imperiale e guerriera e agli alti dignitari del clero, era almeno in buona parte conosciuta dai ricchi cittadini; fra le "conoscenze di base" di questi troviamo ad esempio la poesia waka, i più famosi passaggi del teatro Nō, la storia di Genji o quella epica degli Heike, la poesia Haiku, il teatro Kabuki, i luoghi e templi famosi del Giappone, tutte conosciute grazie alla larga diffusione dei manuali stampati, venduti o prestati a pagamento da molti ambulanti sia nelle grandi che piccole città. 
                                                                                                                                                                                                       
 
disegno di venditore ambulante  di manuali di calligrafia, 1720, Torii Kijonobu bambola datata 1823 di un venditore ambulante  
                                                                                                                                                                                                                                                                                            

esempio di manuale che spiega come servire correttamente i pasti
esempio di manuale che spiega come servire correttamente il sake

 

I samurai erano attirati da questa cultura cittadina poiché più viva e spontanea rispetto a quella loro imposta dal bakufu e i "nuovi ricchi cittadini" volevano imitare la "prestigiosa" cultura dei samurai perciò apparvero dei gruppi misti samurai/-gente comune- che seguivano scuole per imparare le "arti tradizionali medioevali" come la Cerimonia del Tè, i canti e la tecnica del teatro Nō, l'ikebana, le composizione poetiche waka, l'etichetta da usare a tavola o in presenza di una persona appartenente a un ceto sociale superiore, ed altro. I manuali erano molto diffusi ed esistevano dei venditori ambulanti che li vendevano oppure li noleggiavano.
  

All’inizio queste scuole erano esclusivamente maschili ma verso la metà del 18° sec. queste si aprirono anche alle donne e anche l’ikebana, da esclusivamente maschile, cominciò ad essere praticato anche dalle donne:

il passaggio da un ikebana esclusivamente maschile ad un ikebana anche femminile fu un'evoluzione molto lenta e fu differente a seconda  della classe sociale  considerata:  
                                   
 - per la nobiltà shogunale e imperiale le donne impararono l'ikebana  vedendo, anche se non partecipavano direttamente, le lezioni impartite  ai fratelli o mariti; accadde pressapoco ciò che avvenne in Italia nel  campo della pittura, praticata solo dagli uomini: le poche pittrici a  noi note erano figlie o mogli di pittori a cui mariti o padri, andando  contro le regole sociali del tempo, avevano insegnato quest'arte.    
                                                                                               
 - per la classe dei commercianti-artigiani, fu un'altra ragione.  Questa classe sociale stava assumendo potere monetario nel periodo Edo ma rimaneva la  classe più bassa fra le quattro classi stabilite dai Tokugawa.  Le giovani di questa classe erano considerate un "buon partito" nella  loro stessa classe sociale se erano colte e il miglior "biglietto da  visita" era mandarle per qualche anno "a servizio" in una casa di un  daimyō   o di un importante samurai.


   
 

esempio di manuale con Seika

Grazie al "soggiorno obbligatorio" (sankinkotai), per cui le famiglie dei daimyō erano tenute permanentemente in ostaggio dallo shogun a Edo, in città c'era  l'ambita possibilità di servire la nobiltà shogunale e, di conseguenza,  farsi una cultura rimanendo direttamente a suo contatto. Però, per essere assunte. queste giovani donne  dovevano dimostrare di avere già una buona base culturale e conoscere  ciò che la famiglia del daimyō praticava o a cui dava importanza  (ikebana incluso). Per questa ragione i (ricchi) genitori spendevano  delle somme molto alte per mandare a scuola (di etichetta, di ikebana,  di cerimonia del Tè, di poesia, di teatro Nō, ecc.) le loro figlie affinché fossero  accettate "a servizio" e potessero così incrementare ulteriormente la loro cultura. 

La stabilità politica dei Tokugawa è sin dall'inizio basata su di un controllo totale del paese, ottenuto attraverso un regime burocratico e poliziesco e un rigido sistema sociale: per questo motivo le arti in generale, ikebana incluso, sono sottoposte a una censura shogunale e perdono a poco a poco la loro creatività. Il sistema dello Iemoto diventa la regola per tutte le arti e esposizioni di ikebana sono tenute nei ristoranti; i giornali parlano di quest'arte e citano i nomi e la Scuola dei maestri-ikebanisti che ottengono più successo presso il pubblico.


L’esposizione di Rikka rimane prerogativa dei membri della corte imperiale e shogunale; per la nascente  ricca borghesia cittadina (chōnin) queste composizioni -basate su sette o nove rami principali a cui si aggiungono numerosi ausiliari- sono troppo complicate, necessitano troppo tempo per crearle e grandi spazi per esporle perciò le varie scuole creano un nuovo stile più semplice mantenendo solo tre dei sette/nove rami principali; queste nuove forme vengono chiamate shōka dalla scuola Ikenobo e seika dalle altre scuole    vedi Art. 15° 

a lato un Seika con tre elementi principali (i due rami e il fiore indicato con -) a cui sono aggiunti due fiori ausiliari indicati con due e tre righette

      

 


Verso il 1820 appaiono le prime composizioni-bunjin, eseguite dai Letterati.

 

Posted in Senza categoria |

33 l’ikebana e la storia: periodo Muromachi e Azuchi-Momoyama

Periodo Muromachi 1333-1568 o Ashikaga, secondo shogunato

È in questo periodo che appare l’ikebana storicamente provato nell’ambito della decorazione e disposizione (kazari) degli oggetti mostrati agli ospiti dagli shogun Ashikaga.

Il clan Ashikaga, quando prende il potere, trasferisce la sede dello shogunato a Heian-kyo (che in quel periodo era stata ribatezzata Kyoto) ove risiede l’Imperatore con la sua Corte e i monaci zen diventano ufficialmente i consiglieri shogunali. La classe guerriera a contatto diretto con la Corte imperiale €œsi ingentilisce€ e la Corte shogunale, già  ai tempi del terzo shogun, sostituisce quella imperiale nel creare una nuova cultura. La Corte imperiale difende le forme di cultura giapponesi mentre quella shogunale è attratta dalla cultura cinese.

Due shogun Ashikaga hanno influenzato moltissimo le arti (vedi anche articolo 12° e 13°) e sono:

° il terzo, Yoshimitsu (1358-1408), grazie al quale l’arte e l’estetica zen si affermano. Egli fondò un monastero zen che divenne il centro della scuola di pittori paesaggisti, pittura Suiboku, favorì la nascita del teatro Nō (creato da Kan`ami e suo figlio Ze`ami), promosse l`arte del Kare Sansui (giardino secco), mise le fondamenta per lo sviluppo della Cerimonia del tè quale manifestazione estetica, diffuse la poesia renga e fu un grande uomo politico.

° l’ottavo, Yoshimasa (1443-1473), nipote di Yoshimitsu e pessimo politico che causò la fine del dominio Ashikaga, fu l’ultimo grande patrono delle arti zen.

Ritirandosi dalla carica di shogun e istallandosi nel Padiglione d’argento, Yoshimasa favorì tutte le arti che oggi conosciamo come tipicamente giapponesi.

I maggiori artefici di questi cambiamenti culturali del Periodo Ashikaga furono i monaci della setta Ji, riconoscibili dal suffisso -ami nel loro nome in onore del Buddha Amida, che erano alle dipendenze degli Ashikaga quali inservienti e facevano parte dei dōbōshū, ossia “compagni”€, gente di umili origini ma la cui cultura era tenuta in grandissima considerazione e ammirata da tutti; erano loro gli arbitri indiscussi del buon gusto ed erano loro che davano gli standard della cultura alla Corte shogunale e, di conseguenza, a tutto il paese.

Quale riscontro dell’importanza dei nomi terminanti in -ami dei dōbōshū, a Kan`ami e suo figlio Ze`ami, ritenuti i fondatori del teatro Nō, il nome fu dato loro dallo shogun Yoshimitsu, anche se erano attori e  dunque fuori-casta e non monaci della setta Ji, poiché un nome che finiva in -ami richiamava il rispetto in cui erano tenuti i monaci della setta Ji e la desinenza -ami di un nome venne assunta anche da non-monaci.

Fra i veri monaci della setta Ji al servizio degli Ashikaga si ricordano:

° So`ami, Mon`ami e Ritsu`ami che, oltre ad essere rinomati pittori, erano conosciuti per le loro composizioni tatebana€; Mon`ami scrisse il Mon`ami Densho, libro sui Tatebana

° Zen`ami, celebre progettista di giardini

° Sen`ami, No`ami e Gei`ami, nonno-padre-figlio conosciuti come “i tre Ami”, celebri sia come artisti che come curatori€ e catalogatori delle opere d’arte cinesi degli shogun.

I dōbōshū, per evidenziare agli ospiti la ricchezza ed il buon gusto degli Ashikaga, iniziarono ad esporre molti oggetti cinesi della collezione privata degli Shogun, specialmente vasi, che all’inizio erano vuoti ed ammirati unicamente per la loro bellezza ma, col passare del tempo, furono usati come contenitori di vegetali, riducendone il loro numero e dando maggior importanza al contenuto vegetale disposto all’inizio con semplici regole che si raffinarono col passare del tempo; contemporaneamente il luogo in cui venivano esposte queste composizioni venne strutturato diventando il Tokonoma vedi Art. 13°

I primi creatori di composizioni strutturate, chiamate Tatebana, i monaci della setta Ji.

Al servizio di Yoshimasa entrò anche un monaco della setta Tendai, la cui bravura nel comporre i Tatebana impressionò talmente lo shogun che questi nel 1479 lo insignì del titolo di Dai Nippon Kadō no Iemoto ossia -colui che originò l’arte della Via dei “fiori”€-.

Il suo nome, Senjun Ikenobō, appare per la prima volta nel 1462, nel diario di un abate che parla di una sua composizione in un vaso d’argento che aveva stupito la popolazione di Kyoto. Le sue composizioni cominciarono ad essere preferite a quella dei dōbōshū della setta Ji e, con la caduta degli Ashikaga nel 1573 e la conseguente caduta in disgrazia della setta Ji troppo legata agli Ashikaga, gli Ikenobō assunsero il monopolio dell’ikebana che mantennero per più di due secoli. Nel periodo Edo apparvero altre scuole, tutte derivanti dagli Ikenobō. Anche i due primi Iemoto della Scuola Ohara hanno imparato l’ikebana alla Scuola Ikenobō.

I primi manoscritti sull’ikebana a noi pervenuti appaiono durante lo shogunato di Yoshimasa e sono:

° SENDENSHO, di vari autori anonimi, datato 1445 dal suo primo proprietario Fu`ami e 1536 dall’ultimo proprietario Ikenobō.

Descrive cinquantatrè composizioni chiamate Tatebana, con alcuni Nageire, composte non in funzioni estetiche ma solo cerimoniali come sposalizio, passaggio alla maggior età  o al ritiro dalla vita attiva, partenza per la guerra, diventar monaco, ed altro.

Non descrive nomi tecnici al di fuori del ramo principale, sempre verticale e centrale, che chiama shin e dei rami-secondari che chiama indistintamente soe-mono, differenzia la posizione hongatte e gyakugatte e dice di non usare mai il numero quattro, omofono di morte. Tutte le cinquantatrè composizioni sono usate nell’ambito della disposizione del Mitsu-Gusoku, i tre oggetti sacri che diventeranno più tardi cinque, Gogusoku, con l’aggiunta di due vasi con “€œfiori”€ ai lati vedi Art. 13°

° MON`AMI DENSHO, autore Mon`ami, monaco della setta Ji, più sistematico ed evoluto nella teoria del precedente, contiene interpretazioni buddhiste delle composizioni.

° HISAMORI-KI, otto volumi manoscritti dal samurai Isamori Osawa dal 1460 al 1492, in cui si parla per la prima volta di stile shin, gyō, sō.

° SENNO KUDEN datato 1542, primo testo scritto dagli Ikenobō, mostra un’evidente differenziazione delle composizioni Ikenobō rispetto alle altre eseguite dagli -ami.

° Ikenobō SEN`EI DENSHO, 1545, elenca i sette rami principali del Rikka

 

 

 

Periodo Azuchi-Momoyama 1573-1603 o dei tre unificatori:

,

Oda Nobunaga Toyotomi Hideyoshi Ieyasu Tokugawa

Gli Ikenobō sono gli incontrastati maestri dell’ikebana. Causa l’introduzione delle armi da fuoco e per esaltare il loro potere, i tre unificatori costruiscono castelli fortificati le cui stanze sono molto ampie; i Tatebana si trasformano in Rikka, mostrati per ostentare la ricchezza e il potere dei capi guerrieri.

Lo Zen non è più sostenuto e preferito ufficialmente dai tre unificatori come nel periodo Ashikaga ma continua ad influenzare nettamente parte della vita quotidiana dei samurai.

In questo periodo la Cerimonia del Tè raggiunge il suo apice con Sen no Rikyū, influenzando anche il modo di concepire le decorazioni in generale, e quindi anche l’ikebana, contrapponendo alle decorazioni formali dei Tatebana-Rikka la semplicità  informale del Nageire-Chabana.

Rikka e Nageire sono usati entrambi nella quotidianità , i primi nelle situazioni ufficiali e i secondi in quelle informali.

Rikyū era uno dei vari Maestri del Tè al servizio di Hideyoshi

L’arte della Cerimonia del Tè si era evoluta a partire dai primi Ashikaga; all’inizio essa era tenuta nelle grandi sale del palazzo shogunale e serviva a sottolineare la ricchezza dello shogun; i dōbōshū esponevano gli oggetti preziosi della collezione Ashikaga, per lo più  d’origine cinese e perciò chiamati Karamono (mono=”oggetti” dei 唐 Kara lettura kun del kanji Tang,  ossia cinesi)) in contrapposizione ai Wamono (“oggetti” giapponesi) e Kōraimono (“oggetti” koreani)

Interessante notare che Sen no Rikyū, uno dei cinque Maestri della Cerimonia del Tè al servizio di Hideyoshi, a seconda delle situazioni, eseguiva immensi Rikka nei palazzi e minuscoli chabana per il Wabi-cha, cerimonia tenuta sia nella umile capanna di legno tutta wabi-sabi, sia nell’altra -Casa da Tè trasportabile- , in oro e con il vasellame pure in oro usata da Hideyoshi per impressionare gli invitati durante le campagne militari e due volte presso la Corte Imperiale.

 

 
originale della Capanna da tè wabi-sabi riproduzione sala da Tè in oro, traspostabile di Hideyoshi

 

 

Posted in Senza categoria |

32 l’ikebana e la storia: dal periodo Asuka al Kamakura

PREAMBOLO

 

Nelle composizioni che utilizzano materiale appena colto, come rami, foglie, erbe, fiori, più o meno inconsapevolmente viene proiettata la relazione che una civiltà intrattiene con il proprio ambiente naturale.

Tale rapporto con la natura, in Giappone, ha un’origine religiosa perciò è importante evidenziare le differenze religiose giapponesi rispetto alle europee.

Europa cristiana

nella Genesi il mondo e gli esseri umani che vi abitano, all’origine immortali, vengono creati da un Dio concepito essenzialmente in forma umana. Causa la disobbedienza a Dio (la mela mangiata) uomini, animali e natura perdono la loro sacralità conoscendo la sofferenza e la morte.

Si opera così una scissione fra l’uomo e il suo ambiente naturale nel quale egli dovrà con fatica strappare il proprio sostentamento perciò l’uomo dovrà dominare l’ambiente e la natura che lo circondano.

Giappone

la cosmogonia sino-giapponese è invece organizzata da un punto di vista più ampio: essa vede un cosmo nel quale ogni fenomeno è parte integrante del tutto. All’origine al posto di un Dio creatore troviamo le manifestazioni molteplici di una forza universale Ki, concepita senza forma ma dotata di una contrazione ritmica, un “respiro”, che dà origine alla distinzione fra Yang e Yin. L’interazione fra queste due forze rappresenta il principio d’organizzazione essenziale di tutto l’universo e genera gli elementi naturali, gli esseri umani e tutto il mondo fenomenico.

Il Male non viene separato dal Bene; esistono piuttosto manifestazioni positive o negative, strettamente interdipendenti, di un’energia universale perennemente in trasformazione attraverso il movimento ciclico dello Yang e dello Yin.

Inoltre per lo shintoismo uomo e vegetali sono “consanguinei” poiché generati dagli stessi kami e questo spiega il rispetto per i vegetali.

 

 

 

STORIA DELL’IKEBANA

esempio di emakimono

Prima del Periodo Muromachi (1333-1573), le informazioni storiche derivano da diari, da dipinti -sia laici che religiosi-, da annotazioni personali sulla vita quotidiana e da emakimono, rotoli orizzontali miniati, specie di fumetti lunghi anche fino a dieci metri, che si leggono da destra a sinistra.

Periodo Asuka 552-710 d.C.

La Corte imperiale, pur mantenendo lo shintoismo autoctono, accetta il buddhismo come religione salvifica dello stato e il confucianesimo, ambedue arrivati dalla Cina attraverso la Corea. Con essi penetrano anche le manifestazioni artistiche cinesi e coreane, influenzate a loro volta dall’arte indiana, persiana, romana e greca, con una spiccata preferenza per i colori sgargianti, brillanti, per l’oro, per il disporre gli oggetti sfarzosamente e in modo simmetrico, per l’ornato, l’intaglio, lo splendente, la magnificenza dei riti e delle cerimonie. Questo gusto prevarrà fino all’apparire dello zen nel Periodo Kamakura.

 

 

 

 

 

 

 

figura tratta dall’emakimono Choju Giga, tardo periodo Heian, rappresentante Buddha, una rana, davanti al quale c’è un monaco buddhista, una scimmia.

 

 

I tre fiori di loto nel vaso davanti a Buddha mostrano già “îl seme” dell’ikebana ossia il numero tre degli elementi principali e una disposizione di-destra (poiché il vaso non è posto al centro del tavolino bensì leggermente a destra di Buddha-rana) definita anche hongatte -vedi articoli 16° e 17°

La composizione è detta di-destra o hongatte in riferimento alla posizione relativa dei tre elementi poiché Il loto fiorito e più voluminoso è al centro della composizione, il secondo loto in boccio -meno voluminoso- alla sua destra e il terzo, il più piccolo dei tre, alla sua sinistra.

 

È evidenziata anche la transitorietà, con i tre fiori a stadi differenti di apertura,

Appaiono i kuge, arrivati a noi solo nelle incisioni delle pietre tombali , offerte floreali non strutturate, senza regole compositive, sull’altare buddhista in cui è già visibile l’uso dei numeri dispari 5 suddiviso in 3 fiori (2 aperti + 1 chiuso) + 2 foglie     vedi Art. 62°

 

È in questo periodo che, secondo la tradizione ma non la storia, appare l’ikebana vedi art. 12° e 13°

Per alcuni autori, l’origine dell’ikebana è dovuta all’unione dell’uso dei rami sempreverde, derivante dai riti shintoisti, associato all’uso dei fiori, derivante dalle offerte floreali a Buddha.

 

 

 

 

 

 

 

Lo shintoismo usa ancora oggi dei rami di sempreverde, specialmente il sakaki

Dallo shintoismo deriva l’uso dello shu diritto e fatto con rami (futura parte yang) mentre dal buddhismo deriva il lato kyaku, con fiori derivante dall’abitudine di offrire fiori a Buddha (futura parte yin).

Vari autori pensano che il tateru-kuge derivi dallo yorishiro, specie di antenna-richiamo, usata ancora oggi, formata da rami sempreverdi legati sulla cima di un palo che lo shintoismo costruisce negli spazi vuoti, resi momentaneamente sacri tramite la recensione con una corda (shimenawa), per aiutare i kami a trovare la strada quando scendono sulla terra.

Lo yorishiro può essere formato da un palo con un ciuffo di rami sempreverde, da cui probabilmente deriva l’ikebana, come è visibile nelle foto sopra:

a sinistra, su di un terreno, o in  alto a destra, usando sakaki, nell’acqua di una risaia per ingraziarsi i Kami durante la messa in terra delle piantine di riso.

Altre forme di yorishiro possono essere un vecchio e maestoso albero già sul posto, contornato dallo shimenawa per evidenziarne la sacralità, oppure dei coni di ghiaia come nelle foto.

Ancora oggi sull’altare nei riti shintoisti si usa un sempreverde, il sakaki

Il kami Amaterasu, dea del sole, viene frequentemente rappresentato con un sempreverde nelle mani

 

La tradizione della scuola Ikenobō afferma che l’origine dell’ikebana avviene in questo periodo, al tempo dell’imperatrice SUIKO: essa nominò Reggente un suo nipote SHOTOKU TAISHI; un cugino di Shotoku di nome Ono no Imoko è ritenuto dalla tradizione il fondatore della scuola Ikenobō vedi articolo 12°

  Ono no Imoko

Shotoku Taishi con due dignitari (disegnati più piccoli poiché meno importanti)

 evidente l’influsso cinese nel modo di vestire

 

Periodo Nara 710-794

 

La Corte imperiale, che prima cambiava sede alla morte di ogni imperatore poiché lo shintoismo considera la morte un’impurità, si stabilisce a Nara, costruita sul modello cinese di città ideale, ossia sull’asse nord-sud e con il palazzo imperiale situato a nord, come suggerisce il feng-shui (vedi articolo 9°)

L’influsso cinese nel modo di vita della Corte imperiale è sempre presente.

L’ikebana come arte non esiste ancora ma si formano e si stabilizzano le religioni e filosofie i cui simboli verranno incamerati nelle regole compositive del’ikebana quando queste si formeranno circa 600 anni dopo, nel periodo Ashikaga

Periodo Heian 794-1185

caratterizzato dall’uso raffinatissimo dei colori, i nomi dei quali frequentemente erano associati a nomi di fiori o altri vegetali. Dalla descrizione dei diari delle dame di corte si deduce che all’interno dei palazzi o nelle processioni o cortei venivano usati vasi preziosi con almeno cinque rami fioriti, disposti in modo naturale, senza regole.

L’ikebana non esiste ancora ma la moda dei giochi awase (paragoni fra cose, poesie, animali ed altro) comprendeva anche i paragoni fra vasi contenenti dei rami o fiori, anche se non si dava importanza alla disposizione dei vegetali ma piuttosto al buon-gusto sia nella scelta del vaso, d’origine cinese, che nella bellezza della concordanza vaso-vegetali.

Solo verso la fine di questo periodo si osserva l’apparire di una identità giapponese non più influenzata dal gusto cinese.

Periodo Kamakura    (1185-1333)  primo shogunato

 

L’ikebana non esiste ancora; con la presa del potere da parte dei guerrieri del clan Minamoto e il loro stabilirsi a Kamakura, lontano dalle “mollezze” della Corte Heian, il clan Hojo assume il potere reale, solo nominalmente tenuto dagli shogun Minamoto, e preferisce al buddhismo tradizionale, seguito dalla Corte imperiale, il buddhismo zen; alcuni capi Hojo diventano monaci zen.

Alla cultura “femminile” della Corte imperiale, fin qui unico modello culturale, si contrappone una cultura “maschile”, semplice, forte, tagliata su misura per i Samurai; sotto l’influsso dello zen, all’uso sfarzoso dei colori della Corte imperiale si contrappone il semplice bianco-nero del suiboku-ga, pittura ad inchiostro e il vuoto dei kare-sansui, giardini secchi.

I monaci zen diventano consiglieri del clan Hojo influente famiglia di reggenti degli shogun, assumendo sempre più importanza nella cultura della Corte shogunale: di conseguenza la loro visione della vita diventa lo standard della classe dominante dei samurai.

Posted in Senza categoria |

31 haiku e ikebana

Il famoso detto:

meno è più

è una componente degli ideali estetici della cultura zen che ritroviamo sia nell’ikebana sia in tutte quelle arti che sono state influenzate dallo zen; fra queste c’è l’haiku.

 

Zeami (1364?-1443), fondatore del Nō come arte teatrale, ha scritto nel suo libro Kakyō (lo specchio del fiore):

“ciò che l’attore non fa è interessante”

concetto valido anche nella lettura di un haiku in cui pochissime parole scritte fanno intuire al lettore l’immenso non-scritto.

 

Pensando al proverbio taoista che dice:

coloro che sanno non parlano, coloro che parlano non sanno

non tento di “spiegare” cosa sia un haiku;

Roland Barthes scrive:

 

…..le vie dell’interpretazione non possono che sciupare lo haiku: perché il lavoro di lettura che vi è connesso è quello di sospendere il linguaggio, non di provocarlo……

 

ma ne segnalo solo alcuni, per stimolare la curiosità di quegli ikebanisti che ancora non conoscono questa forma di poesia.

 

Siccome la metrica di  5 – 7- 5  sillabe, caratteristica dell’haiku, viene persa nella traduzione dal giapponese, cito solo degli haiku scritti in italiano, francese e inglese, in cui questo schema è mantenuto.

 

Due di Alfredo Martini

 

altri due, tratti da “Haiku golosi”

 

 

e altri, di vari autori

Cambio di armadi:

rimbalzano i ricordi

in naftalina

Stefano Ferrucci

Le biciclette

svernano sui balconi

– tra i sempreverdi

Gianluigi Sacco

Le pain, on s’en fiche

on vien pour la boulangère

– qui en croit ses yeux?

Jaques Bussy

After falling down

she asks for a bandaid

for her doll too

Garry Gay

 

Profuma lieve

una rosa nel vaso:

il mio giardino

Giovanna Negri Rizzi

 

Posted in Senza categoria |

30 l’asimmetria nell’ikebana

(C) Ohara School of ikebana

Nell’ikebana le misure e la disposizione dei tre elementi principali ( con i loro ausiliari) sono asimmetriche: in questo moribana della Scuola Ohara -stile alto-, shu, fuku e kyaku i tre elementi principali della composizione formano un triangolo scaleno

Una possibile ragione della preferenza per l’asimmetria in Giappone, rispetto alla simmetria occidentale, è d’origine religiosa: in Occidente c’è un Dio, centro di tutto (nell’antica Grecia c’era Zeus), mentre in Giappone ci sono “ottomila Kami”, ossia un numero infinito, nessuno dei quali è così dominante da essere un centro.

 

 

statico : dal greco statikòs= che fa stare fermo, che pesa
numeri pari e fiori aperti sono statici, sono fermi
dinamico : dal greco dynamis=forza, potenza = che mostra forza, potenza
numeri dispari e fiori chiusi sono dinamici, si muovono

 

 

Esempio in cui è evidente la differenza d’inquadratura: statica -la barca appare ferma nel disegno “simmetrico” alla nostra sinistra- e dinamica -la barca appare in movimento nel disegno “asimmetrico” a destra-.

 

L’asimmetria tipica dell’ikebana la ritroviamo in altri frangenti nella cultura giapponese come ad esempio:

nei disegni dei kosode

 

 

nell’uso dei contenitori per il cibo ove non c’è un contenitore uguale ad un altro

 

 

contrapposto al modo occidentale  in cui regna la simmetria e la ripetitività.

 

ma anche nella disposizione del cibo nel piatto

notare la raffinatezza nella disposizione delle tre vivande nel contenitore quadrato: per non ripetere le due direzioni dei suoi bordi, un cibo rettangolare è disposto lungo una diagonale; l’altro, di forma ovale, lungo l’altra diagonale mentre il terzo non ha una direzione poiché è rotondo, per non ripetere né la forma quadrata del contenitore né quella rettangolare e ovale degli altri elementi.

 

 

Osservare la similitudine fra ikebana e disposizione del cibo nel rappresentare il tai-ji (vedi art. 15°, origine simbolica dell’ikebana): si usa un numero dispari di elementi e nel piatto rotondo rosso, i tre elementi di cibo sono disposti esattamente come i punti di inserzione e “forza” di shu-fuku-kyaku nel Moribana stile alto: il cibo più importante è al centro (corrisponde alla posizione di shu), il secondo per importanza al suo lato destro (corrisponde a fuku) e il meno importante dei tre al suo lato sinistro (corrisponde a kyaku). Notare anche che i due gruppi di cibo più importanti sono “simili” fra loro (due qualità di cibo e loro “forza”/volume) poiché sono nella parte yang della disposizione mentre il terzo elemento, composto da sole verdure, si differenzia dagli altri due poiché rappresentante la parte yin della disposizione (la sola verdura è più “debole” degli altri due cibi), esattamente come nell’ikebana in cui shu e fuku sono dello stesso materiale vegetale “forte”, rappresentante il lato yang, e kyaku di materiale differente e “debole” rispetto a shu-fuku, rappresentante il lato yin.

Vale lo stesso ragionamento, anche se meno evidente, per il piatto quadrato.

 

Nel karesansui (“giardino secco”) del Royan-ji a Kyoto i cinque gruppi di pietre sono disposti in modo asimmetrico e formano dei triangoli scaleni

 

 

Le tazze per la cerimonia del tè,  stile wabi-cha, sono asimmetriche

 

Nel tokonoma ritroviamo la stessa asimmetria

 

 

nella disposizione dei tre elementi (kakemono, ikebana e piccolo contenitore) che è la stessa dei tre elementi ( shu, fuku e kyaku ) nell’ikebana stile alto, Ohara; anche l’importanza dei tre elementi è la stessa: shu/kakemono più importante di fuku/ikebana, a sua volta più importante di kyaku/piccolo oggetto. da ricordare che la disposizione degli elementi dell’attuale Stile Alto è il primo modo di disporre i vegetali secondo delle regole che sia apparso nell’ikebana; tutti gli altri stili apparvero dopo e derivano da questo

Anche in questo caso ritroviamo il simbolismo taoista, il tai-jitu, associato alla triade buddhista e la disposizione dei tre oggetti si basa, come nello stile Alto dell’ikebana, sul simbolo del Tai-ji: il kakemono, l’elemento principale del tokonoma, è al centro contornato da un ikebana e da un terzo oggetto: kakemono e ikebana sono relativamente vicini poiché simboleggiano la parte yang mentre il terzo oggetto è relativamente più distante e più “debole” e rappresenta la parte yin esattamente come nello stile Alto (da cui derivano tutti gli altri stili dell’ikebana) shu (kakemono) e fuku (ikebana) rappresentano la parte yang della composizione e sono otticamente più vicini rispetto a kyaku (terzo oggetto) che rappresenta la parte yin.

Come nell’ikebana shu e fuku, rappresentando il lato yang del tai-ji, devono apparire più vicini fra di loro rispetto a kyaku, che rappresenta il lato yin, anche nel tokonoma, kakemono e ikebana sono posizionati più vicini rispetto al terzo elemento ossia la distanza BA è minore di AC.

Altro esempio di dipinto posto in modo asimmetrico in contrapposizione alla simmetria “occidentale”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’asimmetria la ritroviamo pure nell’uso del furoshiki

 

 

 

oppure nel modo di avvolgere i biglietti o i piccoli oggetti

 

 

 

Posted in Senza categoria |

29 visione orientale della bellezza

 

INTRODUZIONE :

parlando in generale, tutti noi abbiamo una visione personale del mondo che si è formata sin dalla nascita sia attraverso la cultura dei nostri genitori e del luogo in cui siamo nati sia tramite le nostre esperienze personali, perciò utilizzeremo la definizione di “bello o brutto” “giusto o ingiusto” , corretto o scorretto” ,”normale o anormale”,  basandoci sullo schema di bellezza, giustizia, correttezza, normalità, che abbiamo imparato.

Questo schema, anche se condiviso da una maggioranza -famiglia, gruppi etnici o religiosi o culturali o politici o sociali o nazionali – rimane sempre uno schema acquisito. Ogni evento della nostra vita ed ogni cosa vengono classificati in base a questo schema, perciò non è l’evento stesso o la cosa che abbia una connotazione “bella o brutta” “giusta o ingiusta” “corretta o scorretta” “normale o anormale” ma è l’opinione che noi abbiamo dell’evento o della cosa ossia “la lettura” che noi facciamo basandoci sui nostri schemi personali soggettivi e imparati.

Detto in modo schematico, drastico e rozzo : per il buddhismo, l`illuminazione o satori (tori=rimuovere, sa=distinzioni) è il ritorno allo schema mentale antecedente agli schemi dualistici imparati, ossia il “rimuovere le distinzioni acquisite”.

 

Nei precedenti articoli si è evidenziato che la  maggioranza delle regole compositive dell’ikebana sono una “messa in pratica” di idee religiose o filosofiche come, ad esempio, la direzione dei tre elementi principali, il vuoto, l’asimmetria, le proporzioni.

Anche il concetto di “bellezza”, usato anche per “giudicare” un ikebana, per il giapponese tradizionale colto, è basato sugli stessi concetti d’origine religiosa e filosofica che sono alla base delle regole compositive dell’ikebana.

Detto in modo schematico, drastico e rozzo : bello è ciò che fa intravvedere nell`opera esaminata dei concetti religioso-filosofici soprattutto shintoisti  e buddhisti.

 

A) SHINTO

parlando in modo schematico, drastico e rozzo, per il Cristianesimo Natura e Uomo sono stati creati da Dio in momenti separati – dunque ben distinti – e l’Uomo ha sempre avuto un atteggiamento predatorio verso la Natura.

Per lo Shintoismo sia l’uomo che la Natura sono discendenti diretti dei Kami (alcune componenti della Natura sono persino state partorite – vedi le isole e il kami del Fuoco che, durante il  parto, ha bruciato sua madre kami Izanami causandone la morte) perciò il giapponese di religione shintoista percepisce la Natura come suo consimile vedendo in essa una sacralità e “consanguineità” che lo porta ad un rispetto verso essa, rispetto sconosciuto alla cultura occidentale .

 

Importante è pure l’attenzione (d’origine shinto) che l’uomo ha nei confronti di oggetti comuni come spade, specchi, gioielli, rami d’albero, pietre, ecc. poiché ritenuti sede di Kami che possono determinare, in senso positivo o negativo, lo stato di salute di chi li possiede o li usa .

Anche quando questa operazione di “investimento magico” cominciò ad indebolirsi è stato mantenuto un minuzioso interesse per tutti gli oggetti, con un atteggiamento, parlando in modo generico, particolarmente attento al loro aspetto, ai minimi dettagli per le loro forme, alle minime sfumature dei colori, alle diverse possibilità di rifrangere la luce.

Detto in modo schematico, drastico e rozzo : la messa in evidenza di queste caratteristiche d`origine shintoista è una delle componenti nella definizione di “bello”

 

 

B) BUDDHISMO

 

I due concetti religiosi che hanno (direttamente o indirettamente) influenzato l’idea

di “bello” sono l’impermanenza e l’insostanzialità, già tratti brevemente nell’articolo

22°

 

 

 

1) L’ IMPERMANENZA, IL CAMBIAMENTO

(MUJO in giapponese, ANICCA in lingua pali)

 

ogni cosa che nasce comincia a consumarsi appena vede la luce e procede fatalmente verso la sua fine, quindi ogni cosa, come ogni forma , vale non in quanto permanente ma in quanto scompare, si trasforma, si dilegua .

 

“Bello” è considerato ciò che esalta l’impermanenza:
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ciliegi in fiore a Yoshinogama-Watanabe Shikō 1683-1755

 

 dai fiori di ciliegio – che durano pochi giorni – paravento

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

paravento Sakai Hōitsu 1761-1828

 
 
 

alla luna piena, che dura solo una notte

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Susini e uccelli Kano Sanraku 1559-1635

 
 
al ramo vecchio e contorto -magari coperto di licheni- su cui sboccia una “giovane” infiorescenza
 
 
 
 
 

2) L’INSOSTANZIALITÀ

( MUGA in giapponese, ANATTA in lingua pali )

 
Ciascun sé, sia inteso come semplice elemento fisico o come singolo individuo vivente, non è né costituito né pensato come unità separata, come ente autonomo e indipendente.
Ogni realtà non esiste in modo isolato e autonomo ma in dipendenza da un’infinita serie di fattori esterni.
Ogni ente è sempre e necessariamente costituito da relazioni sia a livello biologico che etico.
 
 
Detto in modo schematico, drastico e rozzo: nel concetto di bello gioca un ruolo anche l’evidenza delle relazioni; per l’ikebana è importante ottimizzare le relazioni di misure dei vegetali in funzione delle misure del vaso, le relazioni fra forme, le relazioni fra colori, le relazione fra composizione e luogo dove questi è posto.
Posted in Senza categoria |
Utilizziamo solo i cookies indispensabili per il buon funzionamento del sito. Nessun dato verrà utilizzato da noi o trasmesso a terzi View more
Cookies settings
Accetto
rifiuto
Gestione cookies e rispetto privacy
Privacy & Cookies policy
Cookie name Active
Questo sito utilizza unicamente le cookies necessarie per il suo corretto funzionamento. Posso assicurare che:
  • non registriamo dati personali
  • non diffondiamo nessuna informazione che potesse essere registrata
  • non viene effettuato nessun pistaggio della navigazione
  • siamo un sito unicamente di informazione, senza nessuno scopo commerciale o pubblicitario
Buona navigazione su questo sito Errico Lupi, webmaster
   
Save settings
Cookies settings