La nascita dello Zen, nella tradizione, è legata a un fiore :

 

un giorno a Buddha, sul picco dell’Avvoltoio, fu chiesto di tenere un sermone: egli colse un fiore e in silenzio lo mostrò ai suoi seguaci: solo uno, il più sagace (Kashyapa), intuì il messaggio “silenzioso“ del Maestro e sorrise con comprensione; nacque così l’insegnamento silenzioso dello Zen e Kashyapa fu il primo di una serie di Patriarchi che dall’India portarono lo Zen in Cina e poi in Giappone ove la nobiltà shogunale, nel periodo Kamakura, lo preferì alle altre correnti buddhiste seguite dalla nobiltà imperiale poiché più consono alla mentalità guerriera.

Lo Zen diede all`Ikebana le stesse caratteristiche date allo stile di vita ideale della nobiltà shogunale, ossia queste caratteristiche furono applicate in tutte le manifestazioni della vita quotidiana dalle arti marziali alle altre arti non-marziali, apparse più tardi nel Periodo Ashikaga e Muromachi, quali la cerimonia del tè, la ceramica Raku, il teatro Nō, poesia Haiku, Karesansui “giardini secchi”, cucina Kaiseki, stile di costruire le case, ed altro.

 

La cultura zen, contrariamente a quella occidentale, considera positive le seguenti caratteristiche :

° uno            oppure      uni-, mono- (in opposizione a “molti”)

° piccolo           “            poco

° povero            “           misero

° vecchio           “           brutto , sporco (nel senso che presenti i segni dell`usura)

° senza              “            in- (ad es. incompleto , incolore , ecc.)

° buio                 “           scuro

° quieto              “           silenzioso

° semplice          “           sobrio , disadorno

° fermo               “            lento

° irregolare          “           deforme (ad es. tazze raku), asimmetrico

 

Queste caratteristiche sono riassunte dal monaco zen, filosofo, Maestro della cerimonia del Tè, professore universitario a Kyoto, Shin’ichi Hisamatsu (1889-1980) nel suo libro “ZEN and the fine ARTS”

 

Le prime cinque caratteristiche sono relativamente facili da capire:

ad esempio una tazza da Tè Raku è semplice, austera, asimmetrica, appare naturale, dà il senso di tranquillità se vista o presa in mano; un ikebana dev’essere semplice, austero, asimmetrico, apparire naturale come se i vegetali fossero cresciuti spontaneamente in quel vaso e la composizione nel suo insieme deve dare un senso di calma.

tazze da Tè Raku eseguite da

Raku Kichizaemon xv°  (1949)

Sonyu v° Raku (1664-1716)
 

 

Le ultime due caratteristiche necessitano di spiegazioni.

PROFONDITÀ MISTERIOSA

questo termine è connesso con concetti già presenti nella cultura giapponese, fra i quali i più importanti sono :

MONO NO AWARE (turbamento delle cose)

° caratterizza la vita della Corte imperiale già in epoca Heian

° è una sensazione di malinconia, ma non di pessimismo, e deriva dall’espressione

AA ARE che significa: “oh , quella cosa!” trasformata col tempo in AWARE e poi in MONO NO AWARE che indica ciò che porta l’animo, per un breve ma eterno attimo, a vibrare all’unisono con il pulsare della vita tutt’intorno.

In esso sono presenti due diversi aspetti:

  • l’incanto della natura, connesso principalmente con lo shintoismo

  • la fugacità del tempo, connessa col buddhismo

 Ariwara no Narihira

Col passare del tempo, il concetto di Mono no Aware si trasforma in

Yūgen che significa profondo, misterioso, impenetrabile, imperscrutabile

° si riferisce ad un clima psicologico tendente alla malinconia causata dalla presenza di due elementi che si sovrappongono, come un terzo colore che si ottiene sovrapponendo due vetri colorati.

 

 

 

In questo waka il primo elemento ricordato dall’autore è il vivace colore di fiori e delle foglie autunnali al quale si sovrappone il secondo elemento che è il grigio del crepuscolo autunnale associato all’incolore e sobria disadorna capanna di giunchi. La sovrapposizione di questi due elementi contrastanti genera questa “malinconia” definita Yūgen .

con l’introduzione dello Zen, lo Yūgen si sviluppa dall’epoca Kamakura fino al suo apice con Sen no Rikyū in:

Wabi/Sabi

Praticamente sono equivalenti e sono termini difficili da spiegare anche per un giapponese:

Wabi è usato in tutto ciò che ha a che fare con la Cerimonia del tè

Sabi è usato nell’arte e letteratura

° mentre nello Yūgen un elemento, anche se parzialmente offuscato dall’elemento che gli si sovrappone, è ancora visibile, nel Wabi/Sabi un elemento copre totalmente l’altro cosicché l’elemento completamente occultato dev’essere percepito, indovinato, sentito col cuore da chi osserva.

Murata Jukō (1423-1502), considerato il primo Maestro del Tè di cui si abbia notizia, diceva:

“sarebbe buona cosa tenere uno splendido cavallo in una stalla dal tetto di paglia”

ossia la semplicità, l’estrema povertà dell’elemento totalmente coprente, l’umile stalla col tetto di paglia, corrisponde a qualcosa di grande significato dell’elemento coperto, lo splendido cavallo.

Altra frase a lui attribuita: “non è interessante la luna senza nubi”

Bashō (1644-1694 ), più di  centocinquanta anni dopo, esprime lo stesso concetto in sole tre righe

Nebbia e pioggia
il Fuji non si vede.
È suggestivo

Il Wabi/Sabi è la bellezza delle cose imperfette, temporanee, incompiute, umili e modeste, insolite, senz’arte, non sofisticate, ruvide e irregolari, che diano sensazione di protezione, calma e tranquillità.

Concludendo il tentativo di spiegare il concetto di PROFONDITÀ MISTERIOSA, basato principalmente sul Wabi/Sabi, ci sono alcuni autori che parlano anche di SUBLIME AUSTERITÀ o anche di SECCHEZZA SUBLIME, termini che esprimono anche il passare degli anni, la maturazione, la stagionatura, lo sparire delle carni e della pelle per lasciare solo l’essenziale, solo le “ossa”:

quale esempio si può immaginare un vecchio pino che ha lottato tutta la vita contro le intemperie, la cui corteccia è segnata da questi eventi, di cui è rimasto solo l’essenziale della sua struttura oppure il viso di un vecchio contadino con la pelle rugosa, segnata dall’età, dal sole e dalle fatiche.

Nell’arte sono Wabi/Sabi tutte quelle forme influenzate dallo Zen e dal Teismo quali, fra le molte,  il teatro Nō, i giardini secchi, la pittura a inchiostro -suiboku-, la ceramica Raku.

Nell’ikebana l’unica forma veramente Wabi/Sabi è  il Chabana, composizione usata per la Cerimonia del Tè.

Nell’ikebana, di qualsiasi scuola, la composizione sarà Wabi/Sabi a dipendenza da quanto l’ikebanista si senta “percorrente la Via (Dō)” e lo esprima durante la composizione sia tramite l’atteggiamento mentale e corporeo sia con la scelta del tipo di vegetali e del contenitore e da quanto le caratteristiche elencate da Shin’ichi Hisamatsu siano percepibili nella sua composizione.

LIBERTÀ DAGLI ATTACCAMENTI, DA OGNI LEGAME

è la perdita del senso del mondano e significa essere libero nell’eseguire l’opera, dalle abitudini, dalle convenzioni, dalle consuetudini, dai concetti religiosi, dalle regole scolastiche, dall’attaccamento al proprio Ego, dal voler ottenere un risultato.

Nello Zen si parla della “regola della non-regola”.

Il fatto di appartenere ad una Scuola di Ikebana e seguirne le regole esclude questa libertà; questa settima caratteristica esiste, per quanto riguarda l’ikebana, solo parzialmente nello Cha-bana, in cui non esistono regole scolastiche ma solo modi di esprimersi legati allo zen.

Per arrivare a questa libertà dagli attaccamenti bisogna imparare a controllare l’esuberanza del proprio Ego, ipertrofico e ipersensibile nell’Uomo comune di cultura occidentale moderna; la pratica di tutte le arti tradizionali giapponesi, nei loro modi differenti, aiutano in questo senso.

Una frase di Bashō (1644-1694), conosciuto sopratutto come autore del celebre Haiku sulla rana , dice :

“Rivolgiti al pino, se vuoi imparare tutto sul pino, e al bambù, se vuoi imparare tutto sul bambù , e facendolo, lascia via i tuoi preconcetti, altrimenti tu imponi te stesso sul soggetto e non imparerai niente”

 

Secondo lo Zen, la meditazione è parte essenziale per arrivare al “risveglio”, all’illuminazione (satori). Uno dei tanti possibili modi di “meditare” è quello praticato nel Ka-dō tramite l’esecuzione di un ikebana .

La meditazione utilizzata nello Zen non è la meditazione nel senso occidentale, ossia considerare con attenzione e a lungo un’idea, un testo, ma è esattamente l’opposto; concentrarsi su un’idea, su un problema è proprio ciò che non si deve fare poiché meditare, per lo Zen, significa tentare di liberare la mente dai pensieri associati ai problemi personali delle ore precedenti alla lezione e da quelli che ci saranno dopo la lezione poiché questi pensieri limitano la concentrazione dell’allievo sul ciò che sta facendo in quel momento;

meditando si impara a considerare i pensieri solo dei pensieri, senza lasciarsi influenzare dal loro contenuto.

Chi vuole utilizzare il tempo dedicato all’ikebana quale pratica di meditazione, dopo un breve momento di concentramento sulla respirazione, applica la regola del QUI e ORA e si concentra, cosciente che sta utilizzando la “Via dei Fiori” durante il tempo dedicato alla composizione, sul proprio corpo, sui vegetali e sulle regole compositive non in modo cartesiano ma nell’ottica buddhista che gli rammenta la transitorietà , l’interdipendenza , la sobrietà , l’essenzialità e il rispetto .